Omelia (01-01-2008)
don Maurizio Prandi
Offrire un grembo, per benedire

All'inizio di un nuovo anno ci viene consegnato una parola che credo sia il desiderio di ognuno di noi: la parola della benedizione "benedirete gli israeliti... ti benedica il Signore... io li benedirò..." Non il desiderio che tutto vada bene, che tutto sia più facile, che tutto scorra liscio, senza inciampi, ma il desiderio di una benedizione, di una parola bella e buona sulla nostra vita. In tutto questo c'è anche il desiderio di sentirsi guardati e per chi riesce a vivere l'abbandono della fede la consapevolezza di una vita vissuta sotto lo sguardo di Dio. Il benedire allora... il dire bene del mio fratello, della mia sorella... merce rara oggigiorno... più facile la parola del sospetto, del mettere in cattiva luce, del seminare zizzania. Più facile, appunto! Scelgo la strada più facile perché benedire è impegnativo, mi chiede un rapporto, una conoscenza, una fatica, una onestà di fondo che spesso preferisco mascherare... forse il benedire mi chiede di ricominciare sempre da capo con l'altro. Non solo... la benedizione (non sembri fuori luogo questo proprio nel giorno in cui celebriamo la maternità divina di Maria) nella famiglia ebraica è opera paterna. Essa risale a Dio Padre attraverso mediatori umani come padri di famiglia e sacerdoti del tempio. Forse è proprio per questo che non sono capace di benedire, forse è proprio per questo che non siamo capaci di benedire, perché la benedizione è roba da grandi, cioè opera di adulti, opera di padri che sanno farsi carico e sanno dare un nome: porranno il mio nome sugli israeliti ( prima lettura)... gli fu messo nome Gesù (vangelo). Posso benedire qualcuno soltanto se questi ha un nome per me... soltanto se sono disponibile a porre su di lui il nome di Dio, cioè ( mi pare di poter interpretare così...) soltanto se questi è per me un rimando, un rinvio al volto di Dio e se Dio è una cosa e i fratelli sono un'altra e per giunta su un piano differente allora la prima lettura di oggi, splendida, rimane impraticabile, invivibile, esterna a me.

Forte la sottolineatura sul nome che prima lettura e brano di vangelo fanno... mi colpisce perché oggi pare non essere più così essenziale, importante dare un nome che sia significativo... anzi. Più esotico è meglio è, più straniero è meglio è. A volte, per la scelta del nome vale di più il criterio mediatico (televisivo in particolare) o sportivo (sempre bello il nome di un campione del mondo del calcio) che non quello di rendere viva una memoria o di iscrivere la vita del figlio in una storia di famiglia. Mi pare di avvertire questo oggi, che il nome è una cosa molto seria... il nome è un volto, è una storia, è un carattere, è un battito di cuore, a volte è un senso di rifiuto. Ascoltavo una canzone in questi giorni che a un certo punto dice così: il tuo nome è un segreto, è un passaggio segreto, dove niente è perduto, dove niente è svelato (Maria Pierantoni Giua) che mi pare dica tutta la bellezza ma anche tutta la fatica dell'entrare in relazione, perché è necessario trovare ed attraversare quel passaggio segreto, è necessario desiderare di vivere una intimità con l'altro. Guardando alla festa di oggi, guardando a Maria mi viene da dire che questo possiamo farlo soltanto se offriamo una casa al nostro fratello, alla nostra sorella, soltanto se, come lei, offriamo il nostro grembo. Mi piace questa immagine, perché dice un coinvolgimento necessario... alle volte pensiamo a quali spazi possiamo offrire a Dio e ai nostri fratelli cercando magari di salvaguardarci un po'... ecco che la risposta di Maria è chiara: a Dio e ai fratelli non si danno spazi a lato della vita, a Dio e ai fratelli si dà spazio dentro di sé, si fa spazio in sé, si offre il nostro grembo. Maria offre a Dio un grembo, gli offre il calore del suo grembo. E così Dio non si sente soffocare in una casa, si sente vivere nel calore di un grembo. Cos' Dio non si sente fermato in un posto, si sente in cammino per tutte le strade di quella donna, verso tutte le case in cui la donna lo porterà. Così Dio non si sente relegato in istituzioni che hanno fatto il loro tempo, ma si sente vivo nella carne degli uomini e delle donne di ogni tempo (don Angelo Casati). Offrire a Dio un grembo mi pare voglia dire allora affrontare un pericolo che è sempre in agguato: quello di trasformare la fede, che è affidamento e cammino, nella immobilità della religione.

Mi pare l'augurio più bello questo, per l'anno che comincia: che ognuno di noi possa offrire a Dio e ai fratelli il proprio grembo, per accogliere, custodire, benedire.