Omelia (06-01-2008) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Epifania: il Natale che attira e coinvolge Se nelle prime battute del tempo di Natale abbiamo avuto l'opportunità di commuoverci davanti al mistero della grotta di Betlemme in cui Dio si rende Bambino, osservando la Famiglia umana di Dio e soffermandoci sulla figura della Mamma che ha voluto scegliere per sé e anche per noi, ciò è stato perché noi potessimo meditare sul Mistero di Dio in se stesso per valutare di quanto è capace il Signore dell'eternità che per amore dell'uomo ha valicato l'inconcepibile per noi assumendo la storia e l'umanità fino in fondo. E' stato insomma un meditare sull'onnipotenza di Dio a nostro vantaggio che diventa Amore Bambino. In questa liturgia siamo invece edotti su come lo stesso Mistero di Amore del Natale diventi attivo e ministeriale e mostri già ora la sua efficacia dischiudendo se stesso per accogliere e attrarre: sia pure nel silenzio, nell'innocenza e nella mansuetudine, il Fanciullo divino attrae e accoglie da ogni parte diverse categorie di umanità, rappresentate in primo luogo dalla figura di alcuni uomini eccellenti per dottrina, raziocinio e conoscenza scientifica quali erano i cosiddetti Magi, che partendo dall'Oriente si incamminano verso la terra di Giudea, in quella cittadina ignota e dispersa di Betlemme, per rendere singolare omaggio al Fanciullo esternando una fede che inconsapevolmente avevano da sempre coltivato e nella quale forse inconsciamente si erano sempre radicati, che adesso diventa palese mentre elargiscono i tre famosi doni: questi esprimono infatti come da parte loro si riconosca in quel Bambino il Sovrano universale e incontrastato (oro); lo si riverisca come il Dio eterno e glorioso (incenso) e si comprenda che tuttavia tali ineffabilità e grandezze saranno da Egli accantonate poché si consegnerà alla morte (mirra) per il riscatto dell'umanità. Anche il Profeta Isaia (I Lettura) menziona l'oro e l'incenso come elementi di glorificazione e di culto solenne all'unico Dio oggetto di lode da parte di ogni popolo. Questi uomini sapienti, osservatori e studiosi dei fenomeni astrali, sono sempre stati refrattari ad ogni linguaggio metafisico e sacrale, del tutto estranei all'idea del divino, del sacro e del religioso e hanno da sempre ripudiato argomenti che non fossero in linea con il sottile razionalismo della filosofia naturale e con l'empirismo scientifico che li portava a bizantineggiare sulle stelle, dal cui linguaggio determinavano anche l'andamento degli eventi della vita terrena, un po' alla stregua dei nostri astrologi odierni; eppure, proprio loro per una volta omettono il criterio della razionalità esasperata e si lasciano sedurre dalla misteriosità del dato rivelato che si accoglie solamente a cuore aperto e alla fine professano la fede nel Verbo Incarnato per la nostra salvezza con una spontaneità e un'immediatezza che non hanno paragone neppure ai nostri giorni. Certamente la ricerca del vero e l'inquietitudine fondamentale che li caratterizzava come uomini devono averli spronati ancora una volta alla visione delle stelle e degli astri, ma devono aver concluso che verso la verità non si può mai giungere camminando alla cieca e senza reali obiettivi e che in realtà è la Verità stessa che viene a cercarci nelle cose umili, semplici e immediate, proponendosi a tutti come Amore nei panni di un Dio Bambino. I Magi rispecchiano anche il nostro cercare a tentoni quello che in realtà si trova a portata di mano, il nostro procedere al buio mentre l'interruttore sotto le nostre dita potrebbe illuminare a giorno interi saloni, le nostre corse verso i treni in partenza mentre a pochi passi l'aereo è pronto a decollare solo per noi. La sola differenza è che i Magi hanno saputo decollano lasciandosi trasportare e accendono la luce senza brancolare nel buio; ciò che da sempre l'uomo cerca per vie traverse esperendo anche l'inimmaginario e perdendosi nel vortice delle confusioni ci è stato in realtà donato nella rivelazione del Figlio di Dio che è la pienezza della verità che ci fa liberi. Come abbiamo detto in apertura, il Dio Fanciullo non è solo oggetto di meraviglia e di esaltazione altrui, ma anche soggetto di azione salvifica soprattutto nell'accoglienza che realizza la grotta che è focolaio di adunanza di moltissima gente di ogni provenienza: oltre ai Magi, anche i pastori sono stati resi destinatari della letizia del Bambino per diventare partecipi della salvezza; proprio loro che erano considerati fra le categorie socialmente più reiette e abbandonate a motivo dell'ignoranza che impediva loro di conoscere la Legge di Mosè diventano i privilegiati di Dio nell'essere destinatari del lieto annuncio e hanno ragione di accorrere nella mangiatoia; ma oltre alla grotta l'evangelista ci informa che "entrati nella casa, i Magi videro il bambino con Maria, sua madre". Questo termine "casa" viene interpretato dagli esegeti come il luogo dell'accoglienza, della comunione e della fraternità universale nel quale si riuniscono uomini, popoli, etnie e culture differenti. Viene quindi identificata con la Chiesa, che di fatto scaturisce dall'alleanza del sangue di Cristo che riscatta l'umanità ed è formata dalla comunione in Lui di tutti gli uomini di ogni provenienza: la chiesa è luogo di cattolicità, ossia di accoglienza indiscriminata di ogni uomo e di apertura verso la molteplicità delle culture nonché focolaio di comunione e di raccolta dei dispersi e nel mistero dell'Incarnazione dei Dio fanciullo essa traspare già nella persona di uomini e categorie sociali che vengono attirati e stupiti da siffatto mistero che cambia la vita. Proprio in questo contesto epifanico Paolo parla infatti di un mistero che ci è dato conoscere per rivelazione e per il quale tutte le genti condividono la stessa eredità in Cristo (II Lettura) e tale mistero fonda la ministerialità dello stesso apostolo che lo ha gratuitamente ricevuto, come gratuitamente si dipana nella vita della chiesa particolarmente in questo prodigio della grotta, ma ancora una volta è il carattere di accoglienza e di comunione che esso suscita a motivarci e a spronarci in un crescendo di pace e di giustizia nella concordia. L'Epifania, allora, quale manifestazione (questa l'accezione greca del termine) agli uomini di Dio che si è appena reso carne, non può che incuterci amore alla verità da riscontrarsi nella rivelazione e nel dono di grazia, e incoraggiarci ad accogliere il bene attraverso un sensibilissimo e umile aderire del cuore e della mente alla Trascendenza perché la fede abbia la prevalenza sul dubbio e il timore venga estinto dalla gioia della certezza che tutti vuole trasformare e rinnovare. |