Omelia (06-01-2008) |
Il pane della domenica |
Cercare, adorare, cambiare strada Siamo venuti dall'oriente per adorare il re Cercare la verità ci è necessario, anzi indispensabile - più dell'aria che respiriamo, più dell'acqua che beviamo - ma è possibile? Dove trovare una via sicura, rapida, efficace, che ci porti verso "la verità tutta intera"? Dobbiamo tornare al vangelo dei Magi: nel racconto di s. Matteo emergono tre reazioni diverse all'annuncio della nascita di Gesù: quella di Erode, quella dei sacerdoti, e quella dei Magi. 1. La reazione di Erode è improntata allo sconcerto: il re "si turba" e convoca subito una riunione dei responsabili ufficiali della vita religiosa del paese: i membri dell'aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, e gli scribi, gli interpreti accreditati della legge. Ma l'intenzione segreta di Erode non è quella di conoscere la verità dei fatti, quanto piuttosto di ordire un inganno per far fuori l'ennesimo pretendente al trono, e forse stavolta un rivale invincibile e perciò il più temibile. Questa intenzione viene allo scoperto nella raccomandazione finale che Erode rivolge ai Magi, di andare e poi tornare a riferirgli l'esatto domicilio di questo millantato "re dei Giudei". Erode rappresenta il "tipo" che ha già fatto la sua scelta: non cerca sinceramente la verità, perché è ostinatamente convinto di averla già trovata. È accecato da quello che s. Agostino chiamava "l'amore di sé fino al disprezzo di Dio". È stregato dall'idolo del potere che, pur di indurlo a stroncare qualsiasi minaccia al suo trono, porterà il sanguinario tiranno a ordinare la feroce strage degli innocenti. L'atteggiamento dei sacerdoti è quello degli "esperti" delle Scritture: le conoscono a memoria e sanno dire esattamente dove-come-quando deve essersi verificato l'evento - a Betlemme, secondo gli antichi oracoli profetici - ma loro non si muovono. Da gente che non attendeva altro che la venuta del Messia, ci si doveva aspettare che si precipitassero di corsa a Betlemme, e invece restano comodamente installati nelle loro case o pomposamente insediati sulle loro cattedre. Essi - diceva s. Agostino - si comportano come le pietre miliari - oggi noi diremmo, i cartelli stradali - indicano la strada, ma restano attaccati al palo che li sorregge. Quello dei sacerdoti e degli scribi di Gerusalemme è l'atteggiamento di chi non cerca la verità, perché la conosce già. Ma l'errore di fondo non è quello di conoscerla, bensì quello di ridurla a un argomento da insegnare ad altri, al massimo da discutere; non la trattano come messaggio da vivere. È quanto avviene nella vita di noi cristiani, quando riduciamo Cristo ad argomento di cui parlare, a oggetto di discussione, più che a persona che mi interpella, a soggetto che mi chiama a rinunciare a tutto per seguirlo. Non sono né la via del sapere "carnale", il sapere ridotto a calcolo - rappresentato da Erode - e neanche quella del sapere intellettuale, il sapere scambiato per informazione ed erudizione - rappresentato dai sacerdoti e dagli scribi - le vie che portano alla verità, ma la via della stella, seguita dai Magi. Loro non ci hanno pensato due volte a mettersi in cammino: hanno lasciato palazzi e stanze dei bottoni, notorietà, comfort e, forse, anche dolce vita, e hanno intrapreso un aspro cammino per andare ad adorare il Bambino Gesù. Perché quel Messia bambino è la Verità, la verità fatta carne e sangue: fatta pane per la nostra fame d'amore, fatta acqua per l'arsura dei nostri desideri infiniti, fatta luce per la nostra rischiosa ricerca, fatta via per il nostro incerto, e spesso penoso cammino. 2. Ma vediamo più da vicino che cosa significa cercare Dio. Come per i Magi, cercare Dio vuol dire camminare, fissando gli abissi del cielo e sondando i crepacci del cuore: occorre guardare in alto, guardare dentro, guardare oltre... Adattando un proverbio cinese, si potrebbe dire: "Se vuoi andare per la via diritta che porta a Cristo, lega il tuo carro ad una stella". La stella è la parola di Dio, come si legge nella stessa Scrittura, che si autoaccredita come "lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori" (1Pt 1,19). Quando poi trovano il Messia-bambino, i Magi aprono gli scrigni e gli offrono i loro doni. Conoscere Dio è adorare, è ri-conoscerlo nella forma povera da lui scelta per non schiacciarci con il peso della sua gloria: e la povertà di Dio è sempre sconcertante, scandalosa! Di fronte a quel piccolo bambino - apparentemente così uguale a tanti altri - i Magi hanno fatto il salto della fede e lo hanno adorato. Solo la fede permette di superare lo scandalo della ragione, perché solo la fede permette di arrivare alla conclusione giusta di fronte al presepe di Betlem: "Umano così poteva essere solo Dio". E adorare si traduce concretamente nel verbo "offrire". Ma cosa possiamo offrire noi miseri all'Altissimo che non ha bisogno di nulla? "Accogli, Signore, i nostri doni in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza: noi non ti offriamo oro, incenso e mirra, ma ti doniamo le cose che tu stesso ci hai donato, e tu donaci in cambio te stesso". Offrire è "ri-donare" quanto si è ricevuto, ma il dono più gradito a Dio è la nostra povertà. Come si racconta in una delicata leggenda natalizia. Oltre i tre Magi, che, vista la stella, si erano già messi in cammino, c'era un quarto re, il quale si era dovuto attardare per poter preparare il suo dono. Aveva venduto tutto e acquistato tre gemme preziose: uno zaffiro, un rubino, un diamante e, montato sul suo dromedario, si era messo finalmente in cammino. Ma non ce la fece a raggiungere i primi tre, perché durante il viaggio aveva dovuto soccorrere un uomo assalito dai briganti e per pagare l'albergatore che si sarebbe preso cura di lui, impegnò il suo zaffiro. Più avanti gli capitò di incontrare un drappello di soldati che portavano a vendere schiava una povera ragazza incatenata, e per riscattarla, dette via il suo rubino. Finalmente arrivò a Betlemme, ma trovò la città a ferro e fuoco: gli sgherri di Erode stavano uccidendo tutti i bambini. Si avvicinò e fu colpito da una povera mamma che tentava di strappare il suo bambino dalle mani di un soldato. Impietositosi, diede il suo diamante al soldato che, abbagliato dal suo splendore, si lasciò sfuggire la povera donna con la sua creatura. Più tardi, passando vicino a una baracca, fu incuriosito dalla voce di una mamma che cantava una dolce ninna-nanna. Entrò e trovò un uomo che stava preparando i bagagli per fuggire in Egitto, e riconobbe Maria e il Bambino in quella mamma e nel bambino, per la cui liberazione aveva impegnato la sua ultima perla preziosa. Allora crollò in ginocchio, perché non aveva più il suo dono da offrire. Ma il Bambino tese le sue manine verso le mani vuote del re e sorrise. Non avere più nulla da offrire gli procurò la felicità: quella di prendere il Bambino tra le sue braccia... Infine - è il terzo messaggio dei Magi - cercare Dio è cambiare strada. I Magi non sono né turisti né vagabondi: hanno cercato, hanno trovato. Poi "per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" e certamente non si saranno tenuti la cosa per sé. Perché quando si è trovata la parola che cambia la vita, allora la gioia straripa, proprio come avvenne per loro che - racconta testualmente Matteo - "gioirono di una gioia grande assai". La parola incontrata è incontenibile e il minimo che si possa fare è passarla agli altri. Il cristiano è un portavoce, un passa-parola. Da tante parti sale il grido: dov'è il vostro Dio? Cosa rispondi, tu fratello prete, tu monaca di clausura, tu laico impegnato nel mondo: hai incontrato Dio? Dov'è la sua casa, quale stella hai seguito? Dimmelo perché venga anch'io ad adorarlo; diccelo perché vogliamo anche noi fargli dono della nostra povera vita. Credere amando, amare adorando, adorare donando, come i santi Magi: non è forse qui il senso di tutto? Commento di Mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2007 |