Omelia (23-01-2008)
Messa Meditazione
Mosso dalla compassione

Lettura
Nella prima lettura, Davide, armato solo di un bastone, cinque pietre e la fionda, sconfigge Golia, guerriero filisteo armato di spada, lancia e asta. Nel vangelo, Gesù guarisce un uomo dalla mano inaridita, anche se, per lui, questo significa la condanna a morte.

Meditazione
Sabato, Gesù va in sinagoga – probabilmente, quella di Cafarnao. Lì trova un uomo con la mano inaridita, ma anche i farisei pronti ad accusarlo se guarisce quell'uomo in quel giorno: ancora una volta la disputa riguarda l'osservanza del riposo del sabato. La casistica, infatti, prevedeva la possibilità di curare solo persone in grave necessità, in pericolo di vita: non certo, dunque, un uomo con una paralisi. Tutto parte da Gesù: questa volta non gli è chiesto di guarire, né di esprimere una sua opinione, ma, di sua iniziativa, invita l'ammalato ad alzarsi e a mettersi in mezzo all'assemblea. La domanda che pone ai farisei suona ai loro orecchi molto provocatoria, al punto tale che si chiudono nel silenzio per non dover prendere posizione. Se è a tutti evidente che in nessun giorno è permesso fare del male, uccidere, rimane da scoprire se in giorno di sabato sia permesso fare del bene, salvare una vita. Di sabato, infatti, vi sono azioni buone che sono vietate perché comportano un lavoro e, non essendo urgenti, posso essere compiute il giorno seguente. Ora, apparentemente, la guarigione di un uomo con la mano inaridita sembra rientrare in questa categoria: l'uomo non è in pericolo di vita, la guarigione può essere rinviata. il Signore, invece, insiste nel guarirlo di sabato, anche se questo ne decreta la condanna a morte. Perché? Quella mano inaridita, anche se non pone a rischio la vita dell'uomo, gli impedisce di lavorare, gli toglie la sua dignità costringendolo a dipendere da altri. Per questo deve essere guarito di sabato, perché quello è il giorno in cui si celebra la dignità e la libertà dell'uomo. Gesù, guarendo l'ammalato, fa proprio questo: lo libera dalla sua schiavitù, gli restituisce la capacità di lavorare, lo salva ridonandogli la pienezza della vita. Possiamo chiederci se il nostro agire, come singoli e come comunità, è animato da questa passione per la vita dell'uomo o se, invece, il nostro cuore rimane duro e insensibile davanti alle situazioni di schiavitù, di mancanza di vita, presenti nel nostro quotidiano

Preghiera
«Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10): provocati da queste parole, chiediamo al Padre la grazia di un cuore che sappia "patire-con".

Agire
Come singolo, come famiglia o come comunità, cerco di fare qualcosa di concreto per ridonare la libertà e la pienezza di vita a qualcuno che ne è stato privato.

Commento a cura di Marzia Blarasin

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