Omelia (07-12-2007) |
Messa Meditazione |
Il grido della mendicanza Un urlo. Quando si sperimenta veramente il bisogno di salvezza, non si rimane fermi: magari ci si mette insieme, come i due ciechi, non per trascinarsi insieme nella fossa, come dice un altro testo evangelico, ma per sostenersi, per gridare più forte ed poter essere ascoltati. Le letture evidenziano questo bisogno di salvezza, che coincide anche con la 'distruzione' dei malvagi, o piuttosto con la sconfitta e l'abolizione del male. Quando il nostro bisogno è stato così urgente da esprimersi in un grido? Quando abbiamo udito attorno a noi il grido di chi è bisognoso e ferito? L'invocazione di aiuto non è cosa secondaria o inutile, né semplicemente lo sfogo necessario di un'anima ferita. Il grido è implorazione e domanda, ed esprime la coscienza del bisogno e l'esperienza della propria povertà, in quanto è il riconoscimento della propria incapacità strutturale a salvarsi da solo. Il grido e la domanda esprimono una posizione profondamente umana e leale con se stessi, un atteggiamento di verità e di umiltà; il male che soffriamo non ci chiude in noi stessi, ma diventa occasione propizia per riconoscere il nostro bisogno di Dio. Siamo abitati da un'esigenza così grande, che non è possibile colmarla con le sole forze umane. Dio ci viene incontro: il povero grida e Dio lo ascolta. La cosa ancora più sorprendente è che Dio, mentre si piega verso di noi, ci concede i suoi benefici secondo la misura della nostra fede, perché egli non vuole agire da solo e in modo magico ma in dialogo con l'uomo e in collaborazione con lui. La preghiera e l'invocazione stabiliscono un dialogo reale tra Dio e l'uomo, e ci aprono la strada a diventare suoi figli. In Gesù abbiamo conosciuto e sperimentato questo volto e questo cuore di Dio così vicino all'uomo: "Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo". Cristo domanda la nostra fede e corrisponde al nostro bisogno con una misura adeguata e sovrabbondante, aprendoci a un altro grido, quello della gioia e della testimonianza irrefrenabile, come è accaduto ai due ciechi guariti. Dal profondo a te grido o Signore, Signore ascolta la mia voce. Mi affido a te o Signore, con la fiducia che tu conosci il mio bisogno e vi sai rispondere secondo la tua infinita misura. C'è una superbia del mio essere, che mi impedisce di gridare a Dio e di domandare ai fratelli. Con semplicità e umiltà non voglio rimanere chiuso nel mio male e nella mia fatica, ma voglio che diventino occasione per gridare al Signore e domandare ai fratelli. Commento a cura di don Angelo Busetto Clicca qui se vuoi abbonarti a "Messa Meditazione". |