Omelia (21-12-2007) |
Messa Meditazione |
La gioia dell'incontro Gioisci! Questo è il senso della formula standardizzata 'Ave'. E' la gioia che ha attraversato l'Antico Testamento e che trova il culmine nelle due letture proposte oggi a libera scelta, dal Cantico o da Sofonia. Si gioisce per una presenza, per uno che ci viene donato. E' lo sposo del Cantico, immagine splendente di Dio che ci ama; è il Re d'Israele 'in mezzo a te' come Salvatore potente. Elisabetta lo riconosce già nel bambino presente nel grembo di Maria; il bambino Giovanni Battista ne accoglie in un rimbalzo gioioso l'effetto salvifico. La gioia della vita è Uno che è presente. L'incontro tra Elisabetta e Maria è l'incontro tra l'attesa e il compimento, tra la promessa e il suo realizzarsi. Avviene il primo riconoscimento del Fatto nuovo che è entrato nella storia: 'il mio Signore', come esclama Elisabetta. Ciascuna delle due mamme è contenta per il proprio figlio e per il figlio dell'altra: già questo è un raddoppio di gioia. Ma qui arriva a compimento l'attesa dei secoli. Si incontrano le acque che scendono scroscianti dalle rocce della storia di Israele e quelle del nuovo ruscello sgorgato dalla potenza di Dio. L'anziana Elisabetta e la giovane Maria. Colui che porta a termine l'Antico Testamento, e il Messia che inizia una nuova storia. I discepoli di Giovanni passeranno al nuovo Maestro, all'Uomo nuovo, iniziatore della nuova umanità. Tutto questo comincia ad accadere nel buon terreno delle Madri, e queste donne realizzano la propria vocazione e missione materna riconoscendo e accogliendo l'identità, la vocazione e la missione dei figli. L'esito è la gioia. Si gioisce per una persona presente. E quale persona! La gioia vera della vita coincide con un bimbo che nasce, con un amico che si incontra, con un amore che sboccia. La gioia è l'altro. Qui, l'altro coincide con l'Altro, con Colui che è il tutto della vita, il Valore supremo e il senso di ogni cosa. La gioia non sta nell'avere delle cose, ma in un rapporto vero, capace di riconoscere l'altro, la sua dignità, la sua personalità; capace di riceverlo, ospitarlo, e quindi amarlo e seguirlo. Ci sono tante piccole e normali esperienze umane che documentano la verità di questo fatto nei rapporti familiari, amicali, amorosi. Ma tutto viene esaltato al massimo, quando l'altro è riconosciuto come segno di Dio e quindi la sua accoglienza coincide con l'accoglienza di Dio stesso, divenuto visibile e vicino come un amico. 'Benedetta tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!". Lo dico a te o Maria, e nello stesso tempo lo dico alla Chiesa Madre, che mi dona Cristo rendendolo presente come un amico e come un figlio. Ogni rapporto umano, di amicizia o di amore, trova compimento nella sua apertura a Cristo. La pienezza della gioia non sta nel contrapporre gli affetti umani all'amore di Cristo, ma nel viverli come segno che apre a un amore più grande. Domando di vivere in questo modo le mie amicizie e i miei amori. Commento a cura di don Angelo Busetto Clicca qui se vuoi abbonarti a "Messa Meditazione". |