Omelia (27-12-2007) |
Messa Meditazione |
Credere con gli occhi Ancora una primizia. Giovanni è il discepolo che Gesù amava, e quindi il più vicino al suo cuore. Dopo la totalità del martirio, proclamata ieri attraverso il diacono Stefano, contempliamo oggi la totalità dell'amore, nato dalla quotidiana familiarità con Cristo, che ha condotto l'apostolo-evangelista a cogliere il mistero della sua umanità e della sua divinità. L'apostolo che ha intravisto le profondità del mistero di Gesù, non è un mistico che ha divagato dentro visioni notturne o diurne, ma è un uomo concreto che ci riferisce la sua esperienza, un uomo che ha visto e udito e ha toccato con le proprie mani. Il prologo della sua prima lettera esprime l'esperienza del discepolo-testimone con il ritmo di un duetto musicale, dove i termini binari si inseguono per confermarsi a vicenda: udito e veduto, contemplato e toccato; la vita visibile e l'abbiamo veduta; rendiamo testimonianza e annunciamo... Quanto lo stesso Giovanni ha espresso nella profondità del prologo del Vangelo, egli ha avuto modo di verificarlo con la percezione dei sensi. Gesù è oggetto di una realtà sperimentabile; incontrandolo si riconosce non soltanto l'uomo, ma il Verbo stesso di Dio. Per questo, l'annuncio cristiano non si limita a una proposta verbale, ma diventa un invito a coinvolgersi con noi che abbiamo visto e udito, non perché i nostri interlocutori vengano condotti al nostro livello, ma perché possano sperimentare insieme con noi la comunione con Padre e il suo Figlio Gesù. Questo testo riceve conferma dal racconto del Vangelo, intensamente descrittivo: la corsa dei due apostoli al sepolcro; la discrezione di Giovanni che lascia entrare per primo nel sepolcro il capo degli Apostoli, Pietro; e il suo sguardo acuto, che esamina con precisa attenzione la postura delle bende e del sudario sulla pietra del sepolcro, dove non si nota alcun trafugamento, come è stato recentemente rilevato dopo un esame attento dei verbi impiegati dall'evangelista. Ecco dunque che cos'è la fede: si crede non per un impulso o una suggestione interiore, ma in forza di quel che si è visto e udito, trascinati dalla grazia a riconoscere il segno del Dio presente. "Credo o Signore, ma tu sostieni la mia incredulità". Dammi occhi per vedere e mani per toccare. Donami la grazia di avvicinarmi ai luoghi e alle persone che rendono visibile la tua presenza. Evitare la superficialità e la sentimentalità della fede, significa anche riconoscere i fatti attraverso i quali il Signore si manifesta. Una conoscenza accurata del Vangelo, introdotto da qualche opera pregevole come il libro del Papa su Gesù, costituisce una buona premessa alla fede. Commento a cura di don Angelo Busetto Clicca qui se vuoi abbonarti a "Messa Meditazione". |