Omelia (06-02-2008) |
don Daniele Muraro |
L'elemosina, la preghiera e il digiuno erano pratiche fondamentali della fede ebraica al tempo di Gesù. L'elenco si trova già nel libro di Tobia. Prima di separarsi da lui, l'arcangelo Raffaele istruisce il giovane Tobi con queste parole: "Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia" e per rafforzare il proprio insegnamento lo stesso Raffaele aggiunge: "L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita. Coloro che commettono il peccato e l'ingiustizia sono nemici della propria vita". Poco prima lo stesso angelo aveva detto: "Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto, e non trascurate di ringraziarlo". L'ordine con cui vengono presentate queste tre pratiche è vario: nel Vangelo secondo Matteo abbiamo sentito Gesù parlare prima dell'elemosina, poi della preghiera e infine del digiuno. Più che l'ordine di presentazione di queste tre pratiche penitenziali vale considerare il rapporto fra di loro. Sant'Agostino spiega che il digiuno è ordinato contro la concupiscienza della carne, l'elemosina contro la concupiscienza degli occhi; la preghiera contro la superbia della vita. La prima lettera di san Giovanni determina così le radici del peccato: "concupiscienza della carne, concupiscienza degli occhi e superbia della vita". San Pietro Crisologo afferma che ciò che la preghiera chiede, il digiuno e l'elemosina lo ottengono. Non vale una preghiera fatta senza convinzione e senza generosità. Per essere valida la preghiera chiede sempre un certo sacrificio di se stessi e una qualche rinuncia materiale da adoperare per soccorrere chi è nella necessità. Il digiuno è l'anima della preghiera, perché non si può pregare con la mente impedita dal peso del cibo; e la misericordia è la vita del digiuno, in quanto ciò di cui uno si priva per amore di Dio deve servire a aiutare il prossimo. Dalla preghiera, vale a dire la giusta relazione con Dio nasce anche il modo giusto di rapportarsi con se stessi attraverso il digiuno e con gli altri attraverso l'elemosina. Elemosina, preghiera e digiuno: all'epoca di Gesù queste tre pratiche principali della vita religiosa ebraica avevano bisogno di un rinnovamento radicale. Non che elemosina, preghiera e digiuno fossero trascurate, ma queste pratiche religiose venivano svuotate di valore e ridotte a puro esercizio esterno proprio da coloro che il popolo individuava come suoi Maestri e Modelli. C'era chi dava il cattivo esempio, ed erano gli Ipocriti. Questo aggettivo Gesù lo attribuisce in genere a Scribi e Farisei, ossia ai più qualificati conoscitori e ai più accaniti osservanti della legge di Mosè. Letteralmente gli Scribi erano gli uomini della Scrittura, ridotta a pura lettera senza spirito, e i Farisei erano i Separati, ossia coloro che a motivo del loro modo rigido di osservare i precetti si vantavano di staccarsi dalla gran massa che per ignoranza, cattiva volontà o impossibilità materiale non riusciva a tenere loro dietro. Mentre per loro era un vanto essere riconosciuti come Maestri e Modelli, il titolo di Ipocriti, ossia di falsi, dissimulatori e senza timor di Dio, non poteva non dare loro fastidio, eppure era la verità. Infatti lo scopo dei loro gesti di penitenza, fatti rigorosamente in pubblico, non era quello di piacere a Dio, ma di sollevare l'ammirazione della gente semplice. Per la prodigalità delle loro offerte essi si aspettavano essere lodati dagli uomini, mentre con l'affettazione delle loro preghiere e la messa in scena dei loro digiuni ambivano a dare nell'occhio e così aumentare il loro prestigio sociale. Gesù invece raccomanda al suo discepolo di fare tutto con discrezione e, se possibile, di nascosto, in maniera che la sua pratica di pietà non corra il pericolo di essere inquinata dall'esteriorità, ma si indirizzi a Dio solo, il quale troverà la maniera di ricompensare il suo fedele servitore. "Un boccone di pane per amore di Dio" si leggeva una volta sulle cassette di chiesa destinate alle offerte per i poveri, e anche la preghiera non può che essere manifestazione di amore per Dio, quando è fatta con il cuore. Più complicato è il rinvio a Dio al digiuno che ai nostri giorni risponde per lo più a funzioni salutistiche, ma è chiaro che si può rinunciare a qualcosa di buono solo in vista di un bene migliore e qual è il bene più grande se non l'amicizia con Dio stesso e la sua approvazione nella coscienza? Sembra dunque che Gesù contrapponga piacere a Dio a piacere agli uomini, vita sociale e vita interiore. Le cose però non stanno precisamente così. La speranza cristiana non è individualistica ricerca della salvezza per se stessi e basta. Già l'inserimento nelle tre pratiche penitenziali dell'elemosina ci dovrebbe mettere sull'avviso. Fin dai primi secoli del suo sviluppo la fede cristiana è stata sempre vissuta in maniera comunitaria ci dice il papa Benedetto nella Enciclica "Spe Salvi". La Lettera agli Ebrei parla di una "città" che è la meta del nostro pellegrinaggio e quindi intende prospettare una salvezza comunitaria. Anzi la "redenzione" appare proprio come il ristabilimento dell'unità della famiglia umana, dopo la rottura causata dal peccato. Non è la vita comune che viene rifiutata, ma Babele, il luogo della confusione delle lingue e della separazione, espressione di ciò che in radice è il peccato. I Cristiani invece aspettano dal Cielo, da Dio, la nuova Gerusalemme nella quale avrà stabile dimora la giustizia e in cui Dio sarà adorato dai salvati tutti assieme. Lo spirito del Vangelo è il contrario del lievito dei Farisei, ossia della volontà di distacco. Il papa nella sua enciclica porta l'esempio dei monasteri fioriti nel Medioevo. Essi ci possono apparire come luoghi della fuga dal mondo. Papa Benedetto osserva però che i giovani nobili che intraprendevano la vita religiosa dovevano piegarsi al lavoro manuale. Oltre a dissodare gli appezzamenti selvatici di bosco ciò serviva loro ad abbattere la superbia ed ad estirpare ciò che di selvatico cresce nelle anime. Nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire là dove le anime inselvatichiscono: questa osservazione ci è particolarmente preziosa all'inizio della Quaresima. La Quaresima è il tempo della penitenza e della rinuncia non solo per se stessi, ma per rendere migliore la nostra società. Per ottenere questo risultato però si deve iniziare dal proprio comportamento personale, dalla propria famiglia e della propria comunità, perché o si trascina con l'esempio e lo sforzo personale, o inevitabilmente si viene trascinati dalla banalità del mondo. |