Omelia (01-11-2001)
Totustuus
Omelia per il 1 novembre 2001 - Solennità di Tutti i Santi

NESSO TRA LE LETTURE

Su che altra cosa può essere incentrata la liturgia di questa festa, se non sulla santità? Il vangelo sintetizza ammirevolmente le vie della santità cristiana mediante le beatitudini. Nella prima lettura, tratta dall'Apocalisse, si pone davanti ai nostri occhi l'infinito numero dei chiamati ad essere santi e a partecipare qui e nell'eternità del dono della santità. Infine, con la prima lettera di san Giovanni, l'assemblea cristiana è introdotta nella misteriosa relazione esistente tra l'amore che Dio ha per noi, amore di Padre, e la santità che ci concede, in quanto figli in suo Figlio.

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Beatitudini e santità. Gli otto tipi di persone che sono chiamate 'beati' sono, con la massima proprietà, i santi. Per questo, invece di dire "beati i poveri di spirito, i mansueti, quelli che piangono, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace e i perseguitati a causa della giustizia", basterebbe aver detto "beati i santi". Perché ciascuna di codeste categorie di persone sono espressione, e, per così dire, via di santità. I poveri di spirito sono i santi, perché la loro vera ricchezza è Dio. Santi sono i mansueti, perché la mansuetudine o umiltà è l'atteggiamento proprio degli uomini davanti al Creatore e Signore. Santi sono, allo stesso modo, coloro che piangono, perché le loro sono lacrime di pentimento per propri peccati e per quelli degli uomini, loro fratelli. Chi più dei santi ha fame e sete di giustizia, cioè, che Dio giustifichi e salvi l'umanità intera? I santi sono i più misericordiosi del mondo, perché esercitano la misericordia con i più derelitti della terra, che sono i peccatori. I puri di cuore sono i santi, perché il loro cuore e le loro pupille sono state lavate con il sangue dell'Agnello, affinché vedano con chiarezza divina le cose del cielo e quelle della terra. I santi sono coloro che più lavorano per la pace, ossia, perché si diano nella società umana quelle condizioni che favoriscano la concordia tra i popoli, e soprattutto lo sviluppo e il progresso umano e spirituale. I perseguitati a causa della giustizia, quale altro nome dovranno ricevere, se non quello di santi, martiri la cui vita è stata santificata nella solitudine del carcere o sul patibolo di una camera a gas? Molte sono le strade che Dio ha aperto agli uomini con il suo Vangelo, ma la meta è sempre la stessa: la santità. Una sola santità, o, per meglio, dire, UN SOLO SANTO, GESU' CRISTO, e molte maniere di pronunciare e confessare il suo nome con la vita. "Beati i santi, perché di essi è il Regno dei cieli, di essi la fecondità spirituale sulla terra". Il santo è colui del quale si può dire con maggior proprietà che, stando sulla terra, vive già nel cielo, e, giungendo al cielo, non cesserà di essere molto presente sulla terra.

2. Amore e santità. La santità è il precipitato di un incontro di amore tra Dio e la creatura. "Dio è amore", abbiamo letto nella seconda lettura. Essendo Dio il principio di tutto il creato, il suo amore non può essere se non fecondo, amore di Padre. Dato che Dio è Padre, la maggior meraviglia che è potuta accadere all'uomo è di essere figlio di Dio. E la sua maggior ricchezza non sarà altro che il vivere come tale, seguendo le orme del Figlio incarnato. L'amore di Dio concede all'uomo la capacità e la forza spirituale per esser santo. L'amore dell'uomo a Dio pone in azione la capacità ricevuta e la forza per la santificazione. In questa azione B reazione di amore, Gesù Cristo è il caso unico e il portabandiera. Caso unico, perché solo lui è il Figlio di Dio in senso stretto, tutti noi siamo figli nel Figlio, in quanto il Padre vede nell'uomo il riflesso di suo Figlio. Portabandiera, perché tutti gli uomini santi non fanno altro che guardare a Cristo, Via, Verità e Vita, e proseguire dietro alle sue orme. Quando Gesù Cristo è venuto in questo mondo, gli abbiamo dato i nostri occhi perché con essi veda il Padre, sebbene in modo opaco e imperfetto. Quando noi passeremo la porta dell'eternità, Gesù Cristo ci darà i suoi, affinché non vediamo più il Padre come nell'ombra, ma come realmente è. "Vedremo Dio così come è" (seconda lettura). Nella relazione amore-santità si deve menzionare l'infinito numero dei chiamati, a cui fa riferimento la prima lettura, tratta dall'Apocalisse. Non dodici, come le tribù di Israele, ma dodici per dodici, riunendo così le tribù di Israele e i Dodici apostoli di Gesù Cristo: i giudei e i cristiani. E inoltre, non solo 144, ma questi moltiplicati per mille, cioè, l'intera umanità. Sì, Dio vuole che l'umanità nella sua totalità sia santificata dall'amore e dalla grazia, e così abbia accesso all'eterno destino di felicità nel cielo. Il numero di 144.000 non è un numero riduttivo, ma simbolo dell'universo umano.

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. La dossologia di una vita santa. "Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potere e forza, al nostro Dio nei secoli dei secoli": questa è la dossologia che risuona incessantemente sulle labbra dei santi nel cielo. Questa dossologia la dobbiamo pronunciare qui sulla terra, in modo particolare, noi cristiani, mediante una vita santa. Una dossologia con cui manifestiamo la nostra felicità e la nostra gratitudine a Dio. Siamo felici in mezzo alla sofferenza, e lodiamo Dio. Siamo felici, sebbene agli occhi degli uomini le cose non ci vadano bene, perché intuiamo in ciò la sapienza divina. Siamo felici, pur vivendo nella povertà e nella mancanza di potere, e ringraziamo Dio per le manifestazioni della sua provvidenza su di noi. Siamo felici, per quanto la malattia ci abbia prostrato e reso perfino inutili, perché Dio sia glorificato nella nostra carne inferma e renda più patente il potere della sua resurrezione. Siamo felici, perché siamo in pace con Dio e con la nostra coscienza, perché crediamo nella vittoria della grazia sul peccato, perché cerchiamo unicamente la volontà e la gloria di Dio. L'occasione di felicità che il mondo vende al maggior offerente, ma che dura quanto il fiore di in giorno, e che riceve nomi effimeri come divertimento, passatempo, piacere, spasso, baldoria, allegria, ed altri simili, sono soltanto particelle, atomi di felicità. Noi riserviamo il nome di felicità per qualcosa di più grande: il possesso dell'amore di Dio, iniziato qui sulla terra, e che avrà il suo culmine nel cielo. Questa dossologia di una vita santa si può cantare, qui sulla terra, da qualsiasi parte: nella Chiesa e in casa, in ufficio e a scuola, in montagna o al mare, eccetera. Dobbiamo solo tener conto del consiglio di sant'Agostino "Cantate ore, cantate corde, cantate semper, cantate bene": "cantate con le labbra, cantate con il cuore, cantate sempre, cantate bene".

2. Comunione con i santi del cielo. La Chiesa, con la festa di tutti i santi, celebra tutti i defunti che già godono definitivamente e per sempre dell'amore verso Dio, dell'amore verso gli uomini e tra di loro. Abbiamo la certezza, d'altra parte, che, se viviamo nella grazia e nell'amicizia con Dio, siamo santi già qui sulla terra. Esiste, pertanto, una comunione dei santi. Cioè, i santi del cielo sono uniti a noi, si interessano di noi, illuminano la nostra vita con la loro, intercedono per noi presso Dio. Tutti potrebbero dire, come santa Teresa di Lisieux: "Vivrò nel cielo facendo il bene sulla terra". Io voglio, tuttavia, riferirmi specialmente alla comunione dei santi della terra con i santi del cielo. Sono i nostri fratelli maggiori, che ci hanno preceduto nell'arrivo alla meta e che anelano a che tutta la famiglia torni a riunirsi nell'eternità. Sono le stelle del nostro firmamento, che ci illuminano nella notte, non con luce propria, ma con quella che hanno ricevuto dal Sole Invitto, che è Cristo. Sono modelli, per così dire, di casa, che ci avvicinano in qualche modo una virtù o un aspetto della pienezza di perfezione e santità che è Gesù Cristo. Non si dovrà, allora, rinnovare e vitalizzare la nostra comunione con i santi del cielo? Oggi è un buon giorno per farlo.