Omelia (19-02-2008)
Comunità Missionaria Villaregia (giovani)


Anche oggi nel Vangelo troviamo Gesù che rimprovera i Farisei. Proprio non gli andavano giù. Anzitutto chi sono? I farisei, al tempo di Gesù, erano un gruppo di persone che, come dice Gesù, "dicono ma non fanno" e ciò che fanno è "per essere ammirati dagli uomini".

Di cosa dunque li rimprovera Gesù? Anzitutto di incoerenza: "dicono e non fanno", legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non vogliono neppure toccarli con un dito; li rimprovera, inoltre, di ipocrisia e ostentazione: fanno tutte le loro opere per essere ammirati dagli uomini, vogliono essere riveriti, salutati, allargano i loro filatteri.

Per meglio comprendere il rimprovero di Gesù cerchiamo di capire cosa sono i filatteri. I Filatteri erano quelle piccole teche di cuoio a forma cubica che contenevano dei rotolini di pergamena con passi biblici e che si legavano al braccio sinistro e sulla fronte mediante legacci. Il rituale per indossarli era ed è molto complesso e minuzioso. Si legava innanzitutto una teca al braccio, al di sopra del gomito di fronte al cuore, avvolgendo accuratamente i legacci attorno all'avambraccio, alla mano e al dito medio. Si passava poi all'altro astuccio, suddiviso in quattro piccoli scompartimenti, ciascuno con un suo rotolino a scritta biblica: lo si applicava al centro della fronte annodandolo dietro il capo. Chi è stato al Muro del Pianto di Gerusalemme avrà visto molti ebrei ortodossi pregare indossando i filatteri.
La loro origine era in realtà simbolica e suggestiva, come si dice nei passi scritti sui rotolini: "Questi precetti che oggi ti do ti restino incisi nel cuore, te li legherai come segno sopra la tua mano e come ricordo tra i tuoi occhi". Era questa la rappresentazione viva della fede nella parola di Dio che è alimento e guida della coscienza (il cuore), dell'azione (la mano) e della mente (la fronte). Purtroppo la pura esecuzione rituale aveva trasformato questo simbolo in un freddo atto religioso estrinseco. Gesù, poi, evoca il gesto di "allungare le frange", dette in ebraico zizit: erano delle nappe o treccine di tessuto munite di un cordoncino violaceo o blu poste ai quattro angoli della veste esterna. Queste frange sono ancor oggi applicate dagli ebrei soprattutto al loro mantello ufficiale di preghiera, il talled o tallit. Anche in questo caso il significato spirituale dell'ornamento era suggestivo, come spiega la Bibbia: "Le frange saranno per voi un segno: vedendole, vi ricorderete di tutti i comandamenti del Signore e li metterete in pratica. Così non vi smarrirete seguendo i desideri dei vostri cuori e dei vostri occhi che vi trascinano all'infedeltà" (Nm 15, 38-39).
Naturalmente tutta la spiritualità si perde quando il gesto diventa solo una rubrica da osservare minuziosamente, come facevano i Farisei. Da ultimo Gesù polemizza coi titoli "accademici" e ufficiali che scribi e sacerdoti esigevano dal popolo e dai discepoli. Si tratta di un vezzo che perdura nei secoli e che è penetrato anche nella cristianità: piuttosto inoffensivo quando è espressione di ingenuità, neutro quando è semplice indicazione di funzione, pericoloso quando è manifestazione di vanagloria. Tra quei titoli Gesù in particolare sottolinea il più noto, rabbi, "mio maestro", attribuito anticamente agli studiosi delle tradizioni giudaiche e ai dottori della legge e divenuto poi il nostro termine "rabbino". Anche in questo caso Gesù non respinge la missione dell'insegnamento, tant'è vero che dichiara, proprio in apertura al brano che oggi leggiamo: "Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo". Egli denunzia, invece, l'altezzosa boria di questi "sapienti" che si ammantano della loro scienza teologica e disprezzano "la gente maledetta che non conosce la Legge" (Gv 7, 49).

C'è, quindi, una teologia che può essere orgogliosa, che si autocompiace, che si illude di possedere tutta la verità, come c'è una religiosità di superficie, colorata e vana, che non intacca la profondità del cuore e della vita. Oggi Gesù scuote certi "praticanti" troppo convinti di salvarsi con un po' di osservanza, polemizza contro un certo devozionismo risorgente, ci invita a non confondere grandi manifestazioni di massa con adesioni genuine al Cristo, ci convince a fondere fede e religione per essere veramente i discepoli che "dicono e fanno".
Incoerenza e ipocrisia: due mali di cui forse oggi nessuno è esente. Quanti "dicono e non fanno"? Abbiamo riempito la storia di parole vuote, e molti ostentano se stessi, anziché essere autentici testimoni della verità proclamata. Siamo tutti tentati di fariseismo e dunque l'ammonimento di Gesù oggi è rivolto a ciascuno di noi. Se oggi Gesù dovesse guardare a chi riveste ruoli di responsabilità probabilmente rivolgerebbe gli stessi rimproveri. Il Fariseo non è solo un personaggio del giudaismo, egli è un "tipico" personaggio di ogni esperienza religiosa, compresa quella cristiana. Fariseo è ognuno di noi quando riduce il Vangelo all'apparire più che all'essere, al dire più che al fare, alla legalità più che alla moralità interiore, alle opere della legge più che alla fede che vivifica le opere, al compromesso accomodante più che alla testimonianza coraggiosa e crocifissa, alla glorificazione del proprio io più che alla gloria di Dio.
A cosa invita Gesù? Egli vuole fondare una società diversa, vuole stabilire tra i suoi, rapporti nuovi. Per questo non si ferma al rimprovero, ma come spesso fa', rivolge ai suoi una esortazione. "Non fatevi chiamare Rabbi, cioè maestri: uno solo è il Maestro, voi siete tutti fratelli." La fraternità è dunque il rapporto nuovo che Gesù instaura tra i suoi. Fratello è uno che appartiene alla stessa famiglia, porta lo stesso nome, ha gli stessi diritti. I fratelli più piccoli, all'interno della famiglia, imparano dai fratelli maggiori, dal loro agire. I fratelli maggiori guardano ai minori scoprendovi sempre novità: è un affetto mutuo che lega i fratelli e il perdono circola come linfa normale, che ristabilisce i rapporti interrotti.

L'uomo ha in se stesso il desiderio di primeggiare. E Gesù non annulla questo, ma dice: "In questa relazione, se c'è un primato sia quello del servizio": "Il più grande tra voi sia vostro servo". E' il servizio che ci rende fratelli. Servire è accorgersi del bisogno dell'altro, è avere uno sguardo costantemente rivolto all'altro e non centrato in se stessi. E' l'altro, allora, la mia verità. E' l'altro che determina il mio agire, il mio pensare, il mio modo di amare.
Gesù inoltre fa un'altra affermazione importante, anche per noi oggi: "Nessuno tra voi è maestro, uno solo è il Maestro". Cosa vuole dirci Gesù? Nessuno possiede in se stesso la Verità, solo Gesù è la Verità. Ciascuno possiede solo un pezzetto di verità, ha in mano come un piccolo pezzo di un puzzle e solo insieme componiamo la verità tutta intera. La verità non è data nemmeno dalla maggioranza, non è un rapporto democratico; la verità va cercata insieme, nell'ascolto mutuo, nella invocazione dello Spirito, rivelatore della Verità tutta intera, la verità è raggiunta nell'accordo che rende presente Gesù, in Persona, lui è la Verità, l'unico Maestro.
Più che mai oggi il mondo ha bisogno di maestri, ma come diceva Paolo VI, di testimoni della Verità, di persone coerenti che dicono quanto fanno: Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta.... di ciascuno di noi.