Omelia (25-12-2001)
Totustuus
Omelia per il 25 dicembre 2001 - Natale del Signore (Messa della notte)

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Tra i vari punti di contatto delle letture, scelgo quello della nascita. L'annuncio dell'angelo ai pastori è: "Vi è nato oggi...un Salvatore" (Vangelo). Il testo di San Luca, eco del testo di Isaia, proclama profeticamente la nascita del Messia: "Un bambino è nato per noi". Nella seconda lettura, San Paolo, entro un contesto parenetico, fonda e motiva la condotta etica dei cristiani nella quale la grazia di Dio si è fatta visibile nella nascita e nella vita di Gesù Cristo.

MESSAGGIO DOTTRINALE

San Luca, narrando la nascita di Gesù, mette già in rilievo le due dimensioni della sua esistenza: quella umana e quella divina. Gesù è uomo: nasce in un tempo storicamente determinato, con una genealogia documentabile, in una città conosciuta, in un luogo e in condizioni proprie della classe povera della Palestina. San Luca abbonda nell'umanità di Gesù riferendo, nel suo racconto, l'arrivo per Maria del tempo del parto, il dare alla luce suo figlio, l'avvolgerlo in pannolini, il coricarlo in una mangiatoia. Queste azioni confluiscono in una accentuazione dell'umanità di Gesù, umanità interamente uguale alla nostra. San Luca, come evangelista della comunità e per la comunità, non poteva non aggiungere la presentazione della divinità di Gesù. Nel bimbo nato da Maria si compie la profezia messianica di Isaia, e in essa si dice: "Il suo nome è Dio forte", un nome esclusivo di Yavé nell'Antico Testamento. Inoltre, Dio, per mezzo del suo angelo, annuncia i titoli di questo bambino: Salvatore, Messia, Signore. Salvatore, e perciò, Dio, poiché soltanto Dio ha potere per salvare. Messia, in quanto è il Salvatore dei giudei. Signore, in quanto è il Salvatore del mondo pagano, per cui "Signore" era il titolo più applicato alla divinità. Infine, un coro angelico esalta e loda Dio per la nascita del bambino. Ciò significa che questo bambino è più grande degli stessi angeli, è Dio.

In Gesù, umanità e divinità convivono in forma perfetta. È, allo stesso tempo: Perfectus Deus, perfectus homo. Gli stessi tratti che Isaia canta del Messia futuro mostrano la perfezione e l'armonia tra l'umano e il divino: "Consigliere prudente, Dio forte, padre eterno, principe della pace". Al Dio forte (divinità) si unisce un "padre eterno" (in relazione a Davide), consigliere prudente e principe della pace (in relazione a Salomone), e con ciò si sottolinea la somma perfezione umana del bambino preannunciato. San Paolo nella seconda lettura esorta i cristiani a non separare la fede dalla vita, la verità etica dalla verità dogmatica. Il cristiano è interamente uomo e assume tutto il buono che c'è nell'uomo (vedere Tit 2,1-10). Ma il cristiano non separerà mai il suo inserimento nel mondo dalla sua fede in Gesù Cristo e dal mistero di salvezza che Egli rappresenta e rende efficace tra gli uomini (seconda lettura). La nascita del Figlio di Dio, senza cambiare le azioni buone degli uomini nelle loro componenti etiche, dà a queste ultime un significato nuovo, la linfa nuova del Vangelo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Forse in alcune comunità cristiane si sottolinea troppo l'umanità di Gesù, trasformandolo in un modello di esistenza perfetta, e lasciando quasi in oblio la sua divinità. In altre comunità è possibile che si ricalchi tanto la divinità del Bambino, da far passare in secondo piano la sua meravigliosa umanità. Di fronte a questa doppia possibilità, si deve fare una catechesi in cui si mantenga, in modo equilibrato, tanto l'umanità quanto la divinità, e in cui si facciano applicazioni concrete e pratiche per la vita del cristiano, a partire da questa visione equilibrata del mistero di Cristo. Menziono alcune possibili applicazioni: adorare ma allo stesso tempo imitare questo Bambino; convincersi che il cristiano è chiamato ad essere e a vivere come figlio adottivo di Dio e simultaneamente ad essere e a vivere come uomo; essere coscienti che non c'è dicotomia tra le verità di fede e la realtà concreta dell'esistenza, e che, anche se apparentemente ci fosse tale dicotomia, si deve cercare di distruggerla e trovare il punto di equilibrio (per esempio, nel compimento e nel rispetto delle leggi fiscali, delle leggi che governano e reggono una nazione, ecc.). La seconda lettura ci insegna a rinunciare alla vita senza religione e ai desideri del mondo, per vivere nel tempo presente con moderazione, giustizia e religiosità.

Nella nostra comunità ci saranno senza dubbio più poveri che ricchi, e forse molti cristiani, che non hanno abbondanza di ricchezze, ma non ne sono nemmeno sprovvisti. Lo stato socio-economico delle persone non lo cambierà il cristianesimo, anche se lo può migliorare. Forse la forma più adatta per un miglioramento potrebbe essere il considerare la povertà, non come un male che si deve evitare o alleviare, ma come un grandissimo valore che dobbiamo amare, e, secondo il nostro stato e la nostra condizione, anche vivere. Un imprenditore può amare e vivere la povertà, anche se il suo modo di farlo può essere diverso da come ama e vive la povertà un operaio della sua impresa. Un professionista può amarla e viverla, ma lo farà in modo differente da come la vive una persona disoccupata o che ancora non ha trovato il primo lavoro. I modi di essere povero, di incarnare la povertà, possono variare, ma dovrà essere uguale l'apprezzamento della povertà, l'interesse e lo sforzo per applicarla alla propria vita, sapendo che non siamo signori ma amministratori di alcuni beni che Dio ha dato al servizio, certamente di se stessi e della propria famiglia, ma allo stesso modo anche al servizio degli altri.