Omelia (16-03-2003) |
don Mario Campisi |
Il mistero dell'ombra e della luce Fa impressione leggere negli occhi, che tante volte sono il volto dell'anima, la grave incertezza, per non chiamarla paura, che è in tutti noi in questi giorni. Si guarda verso il Cielo, come ad attendere una risposta dal Padre, che sappiamo guida i passi della storia di noi uomini. Dovunque ti trovi, l'unico segno che troneggia è l'arcobaleno con scritto "PACE". Ma abbiamo paura che l'uomo, male usando della liberta, dono di Dio, dato solo per amare e non per tradire l'amore, si lasci prendere la mano dalla violenza, con una guerra che nessuno vuole...come se non ci fosse spazio per le vie di una giustizia, di un dialogo, di una riconciliazione. E' la Parola di Dio che oggi ci dà quelle certezze che cerchiamo, se le cerchiamo in Dio e non negli uomini o negli eventi. Gesù aveva sempre davanti agli occhi quella che Giovanni Evangelista ama definire la "Sua Ora": ossia il momento in cui "tutto sarebbe compiuto" nella crocifissione sul Calvario. Sulla croce sembrava davvero fosse morta la speranza: fosse morto L'UNICO in cui si poteva mettere tutta la fiducia, perché era il Figlio di Dio ed aveva mostrato la verità e un amore, che gli uomini non AVEVANO MAI CONOSCIUTO E CHE ERA PROPRIO IL SENSO DELLA ESISTENZA. Cosa potevano mai più fare quelle mani buone, immobilizzate dai chiodi: o cosa poteva dire quella voce, chiusa dal dolore? Può sembrare strano che la liturgia di oggi proponga, all'inizio della Quaresima, questo brano tutto pieno di gloriosa rivelazione del Cristo. La sorpresa diminuisce, però, quando si riflette sui due personaggi che stanno a fianco di Gesù. Perché Mosè ed Elia sono due figure che richiamano alla mente una storia di sacrificio, di lotta, di incomprensione. Mosè è stato un capo, una guida per il popolo ebreo, un liberatore: ma a che prezzo! Egli ha dovuto portare il peso del suo popolo ingrato e ribelle. E alla fine non è stato ritenuto degno di entrare con Israele nella Terra Promessa che aveva additato agli altri. Elia è stato un profeta che ha vissuto le tensioni di una lotta senza quartiere con l'idolatria, con i suoi rappresentanti, con il potere costituito. Ed egli alla fine, pur avendo vinto, si è sentito molto stanco e miserabile, tanto da invocare la morte. Non ci stupisce il fatto che Gesù parlava con Mosè ed Elia delle sua morte che sarebbe avvenuta a Gerusalemme. Come sul Tabor, anche nel Getsemani Gesù vuole restare solo con Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche qui essi restano sbigottiti e presi dallo spavento. E Dio si manifesta in una nube tenebrosa, la stessa che scenderà sulla terra nell'ora della crocifissione. Perciò è al suo posto anche l'accenno di Gesù alla sua morte e resurrezione. Come è al suo posto l'incomprensione da parte dei tre discepoli prescelti, la cui perplessità sottolinea la solitudine del Signore. Così è nella vita cristiana. La luce e l'ombra non si contraddicono, non si escludono. Ma l'una e l'altra si richiamano. E anche noi, come gli apostoli, non finiremo mai di restare meravigliati mentre scendiamo dal monte Tabor verso le difficoltà e le croci della vita quotidiana, come sia possibile questo mistero dell'ombra e della luce. |