Omelia (20-03-2008) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Nella sua ora di ostilità Quella che Gesù e i suoi discepoli stavano trascorrendo non era una serata di festa, a differenza che in tutte le altre case, nelle quali si consumava l'agnello "con i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone in mano" (Es 12, 11) per celebrare la Festa degli Azzimi comunemente detta Pasqua, in memoria del glorioso evento della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto. Nella stanza al piano superiore di quella casa messa a disposizione del Signore, si cenava di agnello e di azzimi, tuttavia incombeva uno stato generale di mestizia e di abbandono, paura, angoscia e anche una venata di rabbia e di tensione. Che cosa stava succedendo? Gesù, che già aveva preannunciato il suo ingresso a Gerusalemme per la sua condanna a morte, ora aveva comunicato che "uno di voi mi tradirà". Riflettiamo un istante su questo personaggio e su questa azione di tradimento: Per arrestare Gesù, il distaccamento di uomini preposti alla cattura non avrebbe avuto certo la necessità di una persona intermedia che ne rivelasse il rifugio: uomini competenti nel procedere a un arresto possono benissimo porre fine alla latitanza di un ricercato e trovare luoghi e metodi adeguati per catturarlo, senza il bisogno di intervento alcuno da parte di terzi. e lo stesso Gesù infatti farà poi una constatazione: "Tutti i giorni ero seduto ad insegnare nel tempio e non mi avete (mai) catturato...". Se invece è stato necessario che Giuda si frapponesse nella cattura di Gesù, questo spiega l'incapacità e forse anche la vigliaccheria di quegli uomini nell'eseguire una ricerca per una cattura, un po' come quando (cosa riprovevole) la polizia si serva dei delinquenti per cercare persone latitanti. Tuttavia spiega anche quanto sia stata profonda e sentita la volontà di Gesù di consegnarsi alla crudeltà umana: non contento di giungere al supplizio cruento della condanna a morte, egli si sottopone perfino all'infedeltà e alla cattiveria di un suo discepolo, conoscendo in prima persona la viltà e la meschinità dell'uomo, il tradimento delle persone amiche a cui tutti (prima o poi, chi più chi meno) siamo sempre soggetti, la precarietà delle stesse amicizie terrene; soprattutto però si sottopone alle potenze del demonio che egli stesso aveva dominato in precedenza negli esorcismi e che avrebbe potuto anche adesso governare e accetta le vessazioni da parte dell'antico avversario per colpa del quale oltre che a Giuda anche altri discepoli, sia pure nella misura differente, lo tradiranno chi rinnegandolo tre volte (Pietro), chi abbandonandolo fuggendo via tutti vigliaccamente. E' il diavolo infatti il vero protagonista del tradimento e il cuore di Giuda non è altro che sottomesso alle sue sottili e perfide insidie, al punto che lo stesso Gesù, mentre subirà la condanna, verrà nientemeno definito egli stesso un agente di Satana o un maledetto da Dio, proprio lui che del demonio si era sempre mostrato il dominatore incontrastato. Il tutto perché adesso le "tenebre" per volontà del Padre, devono avere la prevalenza sul bene affinché l'amore trovi il pieno compimento: in precedenza (Gv 2) Gesù aveva affermato che non era ancora giunta la sua "ora", e adesso riscontra che il maligno da lui sconfitto nella prova delle tentazioni, sta avendo la sua ora di ostilità e sempre col favore del maligno insidioso la cena destinata a rallegrare adesso sta solo deprimendo. Ma anche in questa penosa circostanza Cristo ha una parola da dire a svantaggio del dolore e della morte e a beneficio della salvezza degli uomini e ancora una volta questa parola, che in realtà è una serie di gesti concreti, si esprime come amore divino che spasima per l'uomo. Gesù lava ai piedi ai suoi discepoli e con tale atto riafferma che la modalità migliore di disfatta del male è l'amore reciproco da realizzarsi con disinvoltura, immediatamente e senza mezzi termini anche nelle cose più banali e insignificanti. Prendendo poi in mano il pane e il vino benedetti e pronunciando su di essi quelle famose parole "Questo è il mio corpo... questo è il mio Sangue" Gesù riafferma il suo potere sul demonio mostrando al contempo la grandezza e l'ineffabilità dell'amore che sta fondando il suo sacrificio sulla croce: il sacramento dell'Eucaristia sarà infatti un modo con cui nel tempo (finché egli venga) verrà ripresentato a tutti l'estremo sacrificio compiuto una volta per tutte dal Signore sulla croce e sarà avallato l'atto di amore che è stato suggellato una volta per tutte sul Golgota e di cui tutti quanti beneficeranno, poiché nel Sacramento avviene che Cristo sarà presente realmente e sostanzialmente egli medesimo nelle sembianze del pane e del vino e ripresenterà a tutti lo stesso sacrificio compiuto una volta per tutte. Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia infatti non soltanto abbiamo modo del presenziare vivo e costante del Cristo ma realizziamo altresì la memoria della croce, riviviamo l'evento della passione di amore e di salvezza del dono di Dio in Cristo per l'umanità, ci meravigliamo della prontezza con cui Cristo sa amarci al punto di straziare se stesso annichilendosi e addossando sulle sue spalle il supplizio del sangue e della crudeltà, insomma assistiamo all'evento sacrificale della croce poiché questo ci viene ripresentato pur essendo stato compiuto una volta per tutte. . Scrive il Card. Biffi che l'Eucarestia è "memoria della morte del Signore, ma non è memoria che si separi, o si distanzi dalla presenza, ma al contrario è una memoria che, rappresentando, ripresenta." Nella quale cioè non soltanto ricordiamo un evento passato, ma tale evento ci viene riproposto come attuale mentre attuale è il beneficio di salvezza che ne riceviamo. L'Eucarestia è il luogo privilegiato nel quale il credente ricorda e sperimenta sul momento di essere oggetto di amore da parte di Dio che in Cristo si è umiliato e ha sofferto per lui; è il luogo in cui noi possiamo esperire di continuo lo stesso amore che ha segnato sul Cranio la svolta della storia dell'umanità poiché di esso facciamo memoria ripresentata e nella sua stessa ripresentazione averne persuasione. Amore eucaristico è anche il concedersi di Cristo come pane vivo disceso dal cielo che si lascia mangiare per qualificare la nostra vita da uomini affermati e fondare il carattere della comunione con sé e fra di noi e per questo, secondo quanto affermano in tanti "l'Eucaristia fa' la Chiesa", poiché la comunione ecclesiale si realizza appunto attorno alla mensa del pane e del vino e nell'assunzione dello stesso Sacramento che vincola nell'unione le persone disperse e fomenta la condivisione e la solidarietà, sicché l'Eucaristia non può che essere il litemotiv della missionarietà e di ogni intraprendenza ecclesiale come pure il termine e il fine ultimo di ogni attività che nella Chiesa si realizzi. Nella fatidica notte prima di consegnarsi agli aggressori Cristo quindi nell'istituire l'Eucaristia, se pure realizza il progetto del Padre per cui le tenebre prevalgano e il male abbia il momentaneo sopravvento nella sua "ora" di ostilità, riconferma la superiorità dell'amore divino sul potere delle tenebre affermando la durevolezza nel tempo di questo amore che assume consistenza di sostanzialità eucaristica fino al momento in cui egli non tornerà definitivamente nella gloria; ancora adesso nutrendoci del pane divino che scaturisce dalla vita e per la vita nell'Eucarestia il cui termine greco significa "ringraziamento" rendiamo grazie, una volta constatatolo e rammentatocelo a noi stessi attualizzandolo nel pane di vita ingerito nella comunione, dell'amore che Dio con estrema gratuità ha voluto darci nel suo Figlio morto e risorto. |