Omelia (20-03-2008) |
Marco Pedron |
Giovedì Santo Inizia con questa sera il Triduo Pasquale che celebra il Giovedì, il Venerdì e il Sabato Santo. Non sono 3 giorni staccati, separati, indipendenti l'uno dall'altro, per cui uno viene al Giovedì, un altro invece al Venerdì "perché c'è la processione alla croce", qualcuno non viene il Sabato "perché è lunga" o perché è Sabato sera. Sono invece un'unica grande celebrazione che facciamo in tre giorni, perché sono misteri, eventi, vangeli, pagine così grandi che non basta un giorno per capirli un po', per farli nostri e per digerirli. C'è una storia che racconta così: una carovana di mercanti abituati da molto tempo a percorrere insieme le lunghe piste d'oriente si preparava ad attraversare un grande e pericoloso deserto. Il percorso richiedeva una buona conoscenza dei luoghi e delle piste, delle oasi e anche delle abitudini degli indigeni. Così si assicurarono i servizi di una guida locale famosa per la sua esperienza. Dopo dieci giorni di rapido cammino, la colonna si arrestò contro una barriera di uomini armati, fermi attorno alla statua di una delle loro orribili divinità dall'aspetto crudele, che incombeva sulla pista: "Non potete proseguire" gridò il capo degli uomini armati, "se non sacrificate un uomo al nostro Dio. E' la regola di ogni nuova luna. Se non lo farete morirete tutti immediatamente". I mercanti si radunarono e cominciarono a parlottare tra di loro. La scelta era drammatica e l'accordo molto difficile: "Noi ci conosciamo tutti da molto tempo. Siamo parenti tra di noi. Non possiamo sacrificare uno di noi per placare questo odio!". I loro sguardi allora si concentrarono tutti sulla guida. Così dopo aver immolato il pover'uomo, secondo il rito, ai piedi della statua, la carovana riprese il cammino. Ma nessuno conosceva la via e ben presto si persero nel deserto. Morirono tutti uno dopo l'altro di sete e di sfinimento. Quando si è spenta la luce allora si è al buio. Adesso spegneremo le luci della chiesa: se non ci fossero queste lampade, sarebbe buio pesto. Se non c'è Gesù nella nostra vita allora è buio pesto. Con i ragazzi di prima comunione siamo entrati in chiesa con questa lampada in cui c'è della cera liquida. Non ci sarebbe nessuna luce se non vi fosse la cera o l'olio nella lampada. Il giorno in cui finirà la cera, l'olio, scenderà il buio. Ci saranno dei giorni in cui tutto andrà bene e avere o non avere accesa questa luce sarà quasi lo stesso. Ma ci saranno dei giorni in cui sarà buio pesto, totale e allora sarà essenziale questa luce. Gesù è questa guida, questo compagno che vi aiuta nel vostro viaggio di vita: non smarritelo e non uccidetelo mai perché in quel giorno scenderà il buio. Quando avete trovato la luce non spegnetela. Quando non mi curo della mia anima, o lascio stare, o oggi non vado e ci vado solo quando ne ho voglia, all'inizio sembra non succedere niente ma verrà un giorno in cui l'olio finirà. E quando l'olio finisce non c'è più luce. Quando non si da più spazio all'amore, agli abbracci "perché sono cose da bambini", ai sorrisi e alle "sganassate" perché ci sono cose ben più serie nella vita, alle carezze e alle coccole "perché noi grandi non ne abbiamo bisogno", allora senza accorgersene l'olio finisce, si esaurisce e un giorno ci si ritrova senza. Quando non c'è più spazio al dialogo fra marito e moglie, quando lo spazio per l'amore si riduce a dieci minuti a letto, quando non c'è più lo stupore di parlarsi di ciò che si vive dentro, di ciò che si prova, quando non c'è più tempo per alimentare il nostro rapporto, piano piano – all'inizio mica ce se ne accorge – l'olio si consuma e una mattina sarà buio pesto. Mio nonno tagliava gli alberi e usava la motosega. Un giorno, per sbaglio, tagliò il ramo sul quale era seduto: lui piangeva dal male, ma noi ridemmo così tanto (vi fa ridere? è successo per davvero, per fortuna fu solo una bella botta ma niente di più). Stai attento a non tagliare l'essenziale, la cosa più importante che hai, il ramo che ti sostiene. Gesù vi farà compagnia per sempre nel vostro cuore e sarà la vostra fiamma. Ma toccherà a voi mettere l'olio in quella lampada, altrimenti un giorno si spegnerà. E nessuno si arrabbi quando l'olio è finito: "Dovevi pensarci prima. Adesso è tardi!". E nessuno dica: "Sono ansioso, angosciato, non ho più voglia di vivere, sono esaurito, sono nervoso, acido con tutti; soffro di depressione". Non ti lamentare: cosa pensavi sarebbe successo? Ovvio, l'hai voluto tu. Quante persone hanno perso la luce: si sono perse, smarrite, sono vuote, non ti danno niente, sono realmente spente, morte: la luce è finita. Il primo gesto di Gesù: ci dona il suo Corpo. Questa sera noi celebriamo che la vita è un dono. Penso a quanto ogni mamma dona al proprio figlio. Ogni mese ogni donna ha a che fare con i suoi cicli, con la possibilità di donare vita dalla sua vita. La gravidanza non è un dono di attesa, di speranza, di tempo in cui si prepara ad accogliere il bimbo? Il parto non è un dono di coraggio, di rottura, di sofferenza perché venga alla luce il suo bimbo? L'allattamento non è un dono di tempo dedicato, di latte versato, di attenzioni per il figlio? Una donna dovrebbe capire benissimo cosa dice il prete. Una donna sa, ha provato, ha sperimentato tutto questo. Una donna quando guarda suo figlio può dirgli: "Questo è il mio corpo". E può anche dirgli: "Questo è il mio sangue", "Tu sei carne della mia carne". Una donna sa che donare è passare tempo con lui. Sa che rinuncia a qualcosa (la linea, tempo, preoccupazioni future) per il suo bimbo. Una donna sa di donare la vita, ma sa anche che la vita la sorpassa. Quando guarda suo figlio dice: "Questo l'ho fatto io". Ma, se è sincera, dice anche: "Ma come è possibile che questo sia nato da noi". E' un mistero, uno stupore, una meraviglia; percepisce cioè un mistero che la supera, più grande di lei. Per questo quando guarda suo figlio piange, si entusiasma. Prova a sottrarre il figlio ad una donna e vedrai come reagisce: ti sbrana!!! La donna sa che donare vuol dire correre il rischio di perdere la vita. Dare alla luce vuol dire impegnarsi in prima persona; fare un bimbo, per Un'idea può lasciarti indifferente oppure no. Costruire una casa, comprare un auto, il tuo lavoro è importante, ti tocca da vicino. Ma fare un figlio, ti tocca dentro. E' qualcosa di tuo che sarà tuo per sempre. Una donna sa che donare è un "movimento" per tutta la vita. Vivere una vita di dono vuol dire impegnarsi per sempre, lasciarsi coinvolgere. Quando si ha voglia e quando non se ne ha, quando dentro c'è il sole e quando c'è la pioggia, quando ti aiutano e quando hai solo le tue forze. L'uomo può capire tutto questo solo se è molto sensibile. E neanche in questo caso è sufficiente. Io credo che le donne, e chiunque abbia questa sensibilità capiscano benissimo Gesù e il Giovedì Santo. I gesti che celebriamo questa sera sono i gesti di chi si dona, di chi si mette a servizio di qualcuno, di chi s'appassiona e ama tutto ciò che è bello, profondo e vero, di chi è disposto a pagare di persona per tutto ciò. Forse non è proprio un caso che tutti gli uomini abbandonino Gesù: Pietro, Giuda, gli apostoli, i discepoli, Pilato, Anna e le altre autorità che potevano salvarlo. Solo le donne rimangono vicino a Lui. E proprio loro saranno le testimoni della resurrezione. Cristianesimo non è donare, ma donarsi. Non è tanto fare cose buone: volontariato, "fioretti", gesti d'amore. Sono importanti, ma Cristianesimo è soprattutto donarsi, lasciarci coinvolgere, fare della nostra vita un dono. Donare è una cosa, ma donarsi è un'altra. Gesù si è donato con la sua vita: una vita vissuta in modo così radicale che l'ha portato ad essere ucciso. Gesù si dona a noi ogni volta che andiamo a fare la comunione. Dice: "Questo è il mio corpo... vengo in te... dentro di te... cosicché tu sei carne della mia carne (figlio di Dio) e io sono carne della tua carne (figlio dell'uomo)". C'è qualcosa in cui ti dai del tutto? C'è qualcosa per la quale saresti disposto anche a morire pur di non rinunciarvi? C'è qualcosa per il quale sei disposto a dare la vita? Felicità è donare tutto ciò che si è per una causa, per dei volti. Felicità è donare se stessi. Felicità è donarsi del tutto, è lasciarsi coinvolgere. "Vivi solo quando hai trovato un tesoro per il quale saresti disposto a morire!. Molte persone non si danno, non si concedono mai: se parli con loro non ti fanno mai vedere quello che hanno dentro. Altre hanno troppo paura di impegnarsi per qualcosa di grande, di bello. Altre si giustificano dicendo: "E' troppo difficile". Quando parli con le persone cosa gli doni? Certa gente non ti trasmette niente se non luoghi comuni, frasi fatte: i soliti discorsi. Non si rivelano mai, non senti mai qualcosa di loro: entusiasmo, passione energia. Sembrano statue: freddi. E tra marito e moglie? A che serve condividere il corpo quando neppure ci si parla? A che serve condividere il letto quando non ci si racconta, non ci si apre? Possiamo dire che "stiamo insieme" perché facciamo tante cose insieme, ma non che "siamo insieme", non che c'è comunicazione, non che le nostre anime si incontrino, si tocchino, si parlino, si guardino. Il dono più grande che io genitore posso dare a te figlio mio non sono i miei soldi, né il mio cognome famoso, né i miei beni, né un'adeguata posizione sociale. Il vero dono è darti ciò che ho dentro, la mia parte più vera, più profonda; è darti la mia anima, i miei dubbi, le mie paure e i miei slanci. Perché se ti do tante cose ma non me stesso, tu non mi avrai mai, tu non mi conoscerai mai, tu non potrai avermi con te nel tuo cuore e nella tua anima. E se un genitore non avesse niente dentro da donare? E se un genitore non sapesse manifestare nessun sentimento? E se un genitore non provasse niente, ma tutto fosse rinchiuso dietro ad un muro spesso? Gesù non ci ha lasciato nulla: non una casa, non un libro, neppure una dottrina, neppure una regola. Gesù ci ha lasciato il suo cuore, la sua anima, il suo spirito e questo è tutto. E se un uomo non può lasciare il suo spirito, quello che è nella sua parte più vera, più profonda, intima, in verità non lascia nulla. E la vita, in questo senso, è giusta: perché la vita ci ritorna quello che noi le diamo. Se noi diamo poco di noi, avremo ben poco da lei. Elias, 37 anni, era un uomo impegnato per la liberazione dei ragazzi dalla prigionia delle favelas. Un giorno i squadroni della morte andarono a casa sua e lo uccisero. Sua madre quando lo vide sanguinante gli disse: "Te l'avevo detto, perché ti sei impicciato con quella gentaglia?". "Mamma sono stato al mondo 37 anni e ho vissuto 37 anni. Sono stato felice di ciò che ho fatto. Lasciami andare!". E così morì. Alcune persone stanno al mondo 90 anni, altre 100, ma quanto vivono? Vivere è spendersi, darsi, mettere tutte le proprie energie per un'unica causa, per qualcosa di significativo, per qualcosa che liberi l'uomo: questa è la felicità! Gesù ci dona il suo Corpo: come in vita si è dato completamente per la verità, per la liberazione dell'uomo, per trasmettergli la fiducia e la forza di Dio, così si dà del tutto a noi, tanto da farsi mangiare, nel pane e nel vino. C'è una storia che dice così: c'era una volta, in un paese di questo mondo, due sposi il cui amore non aveva smesso di crescere dal giorno del loro matrimonio. Erano molto poveri, ma ciascuno sapeva che l'altro portava nel cuore un desiderio inappagato: lui possedeva un orologio da tasca d'oro, ereditato dal padre, e sognava di comprare una catena dello stesso metallo prezioso; lei sognava un pettine di madreperla da poter infilare tra i capelli come un diadema. Passarono gli anni e continuava il loro sogno. Il giorno del decimo anniversario del loro matrimonio, il marito vide la moglie venirgli incontro sorridente, ma con la testa quasi rasata, senza i suoi lunghi e bellissimi capelli. "Che cosa hai fatto, cara?", chiese pieno di stupore. La donna aprì le sue mani nella quali brillava la catena d'oro per il suo orologio: "Li ho venduti per comprare la catena d'oro per il tuo orologio". "Ah, tesoro, che hai fatto?", disse l'uomo, aprendo le mani in cui splendeva un prezioso pettine di madreperla: "Io ho venduto l'orologio per comprarti il pettine!". E si abbracciarono, senza più niente, poveri di tutto ma ricchi soltanto l'uno dell'altro. E tu cosa doni alle persone? Poi c'è il secondo gesto di Gesù: la lavanda dei piedi. Tutti si devono lavare i piedi? Sì, proprio tutti. Anche Gesù prima di lavarli ai discepoli (Gv 13) permise ad una donna (Gv 12) di lavargli i piedi: con un profumo li unse e li asciugò con i propri capelli. A Pietro Gesù dice: "Se non ti laverò non avrai parte con me". Gesù si china su tutti noi per lavare con le sue mani i nostri piedi: 1. Vuole che prendiamo coscienza delle nostre ferite, del nostro dolore, della sofferenza che ci sentiamo dentro. Per non sentire il dolore ci chiudiamo, ci facciamo una corazza, un'armatura per non soffrire più, ma facendo così non possiamo più percepire l'amore di Dio, non possiamo sentire la sua mano che ci tocca e che ci sfiora. 2. Gesù dice: "Lasciati amare". "Me lo merito?". "No". E se non permetti al sacerdote di lavarti i piedi, come puoi permetterglielo a Dio? "No, non te lo meriti, ma non ti voglio bene perché te lo meriti. Ti voglio bene perché sei carne della mia carne, sangue del mio sangue, corpo del mio corpo". "Ti voglio bene perché sei mio figlio, figlio di Dio, non perché te lo meriti", ecco cosa ci dice Dio. Ogni volta che noi andiamo a fare la comunione Dio ci dice così: "Ti voglio bene perché sei mio figlio, non perché te lo meriti". Ogni volta che lavo i piedi a qualcuno gli dico semplicemente: "Ti voglio bene, non perché mi aspetto qualcosa in cambio, ti voglio bene perché ti voglio bene". Ogni volta che io lascio che il sacerdote (o qualcuno) mi lavi i piedi permetto a Dio di amarmi. Ho letto le domande che i ragazzi hanno fatto per la Prima Comunione: sono veramente sincere e belle. Finché le leggevo ho pensato: "I nostri figli ci guardano e vedono benissimo tutto. Anche se gliela 'raccontiamo', anche se glielo nascondiamo, anche se noi stessi a volte non vediamo, loro ci vedono benissimo. Possiamo raccontargli un sacco di cose o di giustificazioni, ma non si può mentirgli. E imparano e divengono quello che noi siamo. Sono i nostri specchi. Guardando loro noi possiamo vedere chi siamo". Un uomo racconta ad un amico: "Quand'ero adolescente mio padre mi mise in guardia da certi posti in città. Mi disse: «Non andare mai in discoteca figlio mio». «Perché no, papà?». «Perché vedresti cose che non devi vedere». Questo ovviamente suscitò la mia curiosità e alla prima occasione andai in discoteca". "E hai visto qualcosa che non dovevi vedere?", domandò l'amico. "Certo", rispose l'uomo, "ho visto mio padre!". I ragazzi ci vedono anche se noi non lo vogliamo. Vorrei concludere con una poesia che un ragazzo adulto, grande, ha scritto per sua madre in occasione del suo settantesimo compleanno. "Quando pensavi che non stessi guardando, tu hai appeso il mio primo disegno al frigorifero e io ho avuto voglia di continuare a stare a casa a dipingere. Quando pensavi che non stessi guardando, hai dato da mangiare al mio gatto, e così io ho imparato che dovevo prendermi cura delle mie cose. Quando pensavi che non stessi guardando, hai cucinato a posta per me una torta di compleanno e lì ho compreso che le piccole cose possono essere molto speciali. Quando pensavi che non stessi guardando, hai recitato una preghiera e io ho cominciato a credere nell'esistenza di un Dio con cui si può sempre parlare. Quando pensavi che non stessi guardando, ho visto le lacrime scorrere dai tuoi occhi e ho imparato che, a volte, le cose fanno male ma che piangere fa bene. Quando pensavi che non stessi guardando, ti sei preoccupata per me e ho avuto voglia di diventare me stesso. Quando pensavi che non stessi guardando, io guardavo e mi sono accorto e ho visto tutto quello che hai fatto per me, anche se tu pensavi che io non stessi guardando. Io mi sono accorto di tutto quello che hai fatto per me anche se non te l'ho detto. Sappi che ho visto tutto quello che hai fatto per me. E... grazie per ciò che sei stata". Pensiero della Settimana "Questo è il Tuo corpo". Guardo al pane di domenica e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo al mio corpo e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo a mio figlio e dico: "Questo è carne della mia carne e sangue del mio sangue"; ma anche: "Questo è il Tuo corpo". Guardo le mie mani, i miei piedi, i miei occhi, la mia pelle, tutto il mio essere e dico: "Tu abiti qui. Questo è il Tuo corpo". Guardo la Terra con i suoi venti e la sua aria, con i suoi terreni, con l'acqua e la neve, le montagne e i mari e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo le persone che amano, quelle che s'appassionano, quelle che si dedicano tutte ad una causa, quelle che lottano con il sangue e con tutte le forze per la verità, per la giustizia, per la libertà in tutti i suoi aspetti e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo le persone che non amano, quelle che hanno deciso di non vivere, di vegetare, di sopravvivere, di lasciarsi portare; quelle che hanno rinunciato a sé, alla propria coscienza e a percorrere la propria strada, la strada della Vita e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo il corpo bello e vigoroso, forte e atletico di un giovane e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo ad un corpo vecchio e anchilosato, piegato dagli anni e dalla malattia e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo a me; guardo a te; guardo ogni cosa che mi circonda e dico: "Questo è il Tuo corpo". Guardo ogni cosa che pulsa, che vive, che respira, che freme e dico: "Questo è il Tuo sangue". E pieno di meraviglia mi lascio riempire da quest'eucarestia vivente che risiede nel tempio di ogni creatura e che ogni uomo-sacerdote celebra riconoscendo Dio in tutte le cose. Tutto è Eucaristia. |