Omelia (21-03-2008) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il soffrire divino in carne umana In orari alquanto pigri e scomodi, oggi si raggiungerà la chiesa parrocchiale per partecipare alla funzione di commemorazione della crocifissione di Gesù, celebrando e rendendo attuale per noi il percorso a cui fu costretto il Signore nella via verso il Calvario, prima fustigato, picchiato, deriso, insultato e vilipeso, poi costretto a caricare il legno trasversale (non la croce intera) man mano che procede verso il luogo della sua condanna e a cedere per tre volte sotto il gravame del tronco trasportato per subire ancora ingiurie, calci e frustate che lo fanno rialzare, quindi indotto a fissare il palo trasversale incrociandolo su quello già posto sul luogo del patibolo per formare la croce propriamente detta. Viene caricato di conseguenza da più uomini su questo strumento di supplizio perché i suoi arti (i polsi e le caviglie) vengano trapassati da possenti chiodi che lo fanno stremare dal dolore. Nonostante le forze gli vengano a mancare Gesù ha il fiato per chiedere perdono al Padre per i suoi aggressori che "non sanno quello che fanno" e per gridare a gran voce l'affidamento di Maria al discepolo che egli ama e di questi a Maria. Gesù spira sulla croce dopo aver gridato ancora l'abbandono da parte di Dio. Su tutti questi episodi si sono girati film e si sono stesi numerosissimi racconti e moltissimi commenti di vario genere; c'è addirittura chi si sofferma sui particolari crudi e inauditi del flagello che squarcia le carni del Signore e sul sangue che ne scaturisce imbrattando il cortile dando l'idea del macello, ma quello che maggiormente deve essere preso in considerazione è che nelle membra di Cristo è Dio che stesso che si consegna all'umanità barbara e assassina lasciandosi ammazzare di una morte crudele e spietata e provando il dolore e l'abbandono. Kitamori insiste sulla croce per notarvi il dispiegarsi della teologia del dolore di Dio, essendo questa il luogo ineluttabile del soffrire e del patire, nel quale si riscontra la capacità di sofferenza di un Dio amore che concede se stesso ai patimenti e ai sacrifici: "Il dolore di Dio è l'amore di Dio fondato nel dolore"; Karl Rahner nota nel patibolo di Cristo il luogo della "morte di Dio", poiché nel Figlio di Dio è il Padre che muore abbandonando se stesso. Il Venerdi santo in tutti i casi è il concedersi di Dio alle prerogative che l'uomo solitamente sfugge e l'assumerle consapevolmente per uno scopo che non è null'altro se non il ricupero dell'umanità. Nella croce Dio sceglie l'inimmaginabile, l'assurdo e l'inconcepibile pur di raggiungere la precarietà dell'uomo, paragonandosi all'agnello immolato sfregiato e sfigurato nell'aspetto che viene macellato per diventare il Servo Sofferente (Is 52 - 53) C'è un senso al mistero del dolore e della morte che attanagliano l'uomo nella fattispecie di moltissime esperienze di sofferenza e di lutto? C'è un fondamento o un valore al patire e al morire a cui sono costretti molto spesso soprattutto i giusti, i pii e le persone fedeli? Hanno spiegazione in questo mondo le lacrime, i pianti disperati e le urla di quanti periscono sotto le bombe o colpiti dagli spari e dalle raffiche? Se tutto questo ancora oggi si verifica ciò vuol dire che siamo chiamati tutti e ciascuno a che la ragionevolezza e il buon senso vi pongano fine e si cerchino insieme le soluzioni ai problemi che generano odi e violenze, poiché tutto dipende in fondo dalla capacità umana di sopravvivenza e di interazione reciproca adeguata; ma solo il dolore e la morte del Dio crocifisso possono svelarci il significato del persistere di eventi sanguinosi perché ci ragguagliano su un Dio che continua a soffrire nelle membra dell'uomo per trarre con l'uomo conseguenze di salvezza. Dio sofferente di dolore umano lancinante e morente di un'atrocissima condanna da' valore e senso alla sofferenza umana continuando a soffrire nel dolore di chi è malato e oppresso e noi compartecipiamo alla croce di Cristo nella nostra carne sofferente, secondo la pedagogia di Paolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa." E la sofferenza scaturisce sempre nella resurrezione, nel premio finale conseguente ad ogni lotta; quindi la croce è anche il luogo della speranza e del dischiudimento delle nostre porte alla prospettiva futura. Soffrire con l'uomo e attraverso l'uomo è proprio di un Dio capace di umanità assurda, visto che in tutto questo Egli ha scelto quello che da parte nostra si tende ad eludere e a rifuggire e ha assunto nella sua carne il disonore e la disfatta che nessun uomo al mondo si augurerebbe ma è proprio l'assurdo che fonda la grandezza di Dio e palesa la sua infinita onnipotenza d'amore: un Dio che patisce e muore non disdegnando quindi il sepolcro dopo aver abbandonato se stesso, poiché la croce è anche il luogo dove Dio abbandona Dio (Jungel). Non possiamo certamente considerare la morte come parola definitiva ma collocarla come tappa necessaria e irrinunciabile per la gloria piena della vita nella Risurrezione, giacché Cristo muore non una volta per tutte, ma per uscire vittorioso dai meandri oscuri del sepolcro, e tuttavia adesso non possiamo non considerare lo strumento ligneo come dimensione del soffrire divino nella carne umana e il tutto per una sola e unica prerogativa che ha sempre del divino: amore. |