Omelia (21-03-2008) |
Marco Pedron |
Il Figlio di Dio condannato dai servi di Dio Questa sera noi celebriamo il Venerdì Santo: Gesù viene preso, condannato e crocifisso. In questa vicenda noi viviamo il dramma dell'innocente che viene crocefisso. In questa vicenda noi ci riconosciamo perché a volte, in parte, siamo anche noi quell'uomo che viene deriso, attaccato, giudicato, colpito, assassinato, svergognato. In questa vicenda si ritrovano e si identificano tutti i crocefissi dell'umanità: tutte le persone che per colpa di qualche Pilato o Caifa di turno, ripercorrono la stessa via crucis. Ciò che è successo allora succede ogni giorno sulle strade della vita. Il venerdì Santo non dice: "Dio ti tira fuori dalle situazioni". Dio non ha fatto così neanche con suo Figlio Gesù. Elie Wiesel racconta che un giorno furono impiccati in un campo di concentramento tre ebrei. Uno era un ragazzo che dopo che il laccio fu teso, si dimenava e tentava, invano, con tutte le forze di liberarsi. Allora, un ebreo tra la folla costretta ad assistere allo spettacolo, disse: "Dio, dove sei?". E uno gli rispose: "Lì, in quel ragazzo!". Il Venerdì Santo dice: "Dio sa cosa vuol dire tutto questo. C'è passato anche lui prima di te". Dio dice: "Non ho la bacchetta magica per toglierti dalla situazione, ma ti sto vicino, ci sono anch'io, veglio con te". E poi aggiunge: "E ti assicuro che tutto questo finirà, che tutto questo avrà un senso e che questo buio si trasformerà in luce". Ieri sera ci siamo soffermati sulle figure di Giuda e di Pietro. Questa sera ci soffermiamo su altre due grandi figure, sinistre, ombrose, fosche, demoniache. Sono i manovratori della passione, coloro che potevano ma che non hanno fatto, coloro che hanno eseguito e condannato Gesù: Pilato da una parte e Anna e Caifa dall'altra. La prima figura è Pilato. Pilato è colui che materialmente ha giustiziato Gesù. Pilato deteneva il potere anche se in realtà era in balia della massa e della sua paura. Pilato era prefetto della Giudea. I prefetti erano funzionari avidi e assetati di sangue. Pilato fu così dall'inizio alla fine del suo mandato; un uomo duro e ostinato che per la carriera era disposto a sacrificare ogni cosa. Pilato è un soprannome e viene da pilum, che era il giavellotto con il quale puniva i soldati per far rispettare la disciplina (e il suo nome dice bene chi fosse). Pilato era il protetto di Seiano, il favorito dell'imperatore Tiberio. Cercò in tutte le maniere di scalare il potere. Proprio per questa ambizione sposò Claudia Procura, figlia illegittima della moglie di Tiberio. Non riuscì, però, a farsi spazio nel senato di Roma e fu mandato in Giudea. Qui ci stette di malavoglia, disprezzava profondamente i Giudei e li provocava direttamente anche con gesti espliciti. Così aveva esibito le insegne e gli stendardi romani a dispetto del sentimento religioso degli ebrei e per costruire l'acquedotto prelevò il denaro del tempio. Gesù viene presentato a Pilato come un pericolo e Pilato gli chiederà: "Tu sei il re dei Giudei?" (18,33). Ma di fronte a Gesù, Pilato si rende conto subito che quest'uomo non è un pericolo per il regno. Fallita l'accusa politica, le autorità religiose spostano l'accusa sul campo religioso: "Si è fatto figlio di Dio" (19,7). Di fronte a ciò Pilato ha paura, crede di aver a che fare con un essere celeste e quindi di dover rispondere del suo operato e che qualche divinità voglia vendicarsi. Pilato, infatti lo interroga sulla sua natura e gli chiede: "Di dove sei?" (19,8). Ma Gesù non risponde e questo aumenta l'ansia e il terrore di Pilato (senso di colpa; 19,9-11). Pilato ha paura degli dei e riconosce che l'uomo politicamente non è pericoloso, per questo, per sicurezza, aorrebbe rilasciarlo. Ma le autorità religiose giocano la carta decisiva: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare" (19,12). Pilato viene ricattato: "Se liberi Gesù, lo faremo sapere a Cesare che ti sei comportato contro di lui, liberando un sovversivo del potere, e tu verrai destituito". E Tiberio non ci avrebbe pensato su molto! Pilato deve decidere: scegliere se sacrificare la carriera o la vita di un innocente. Pilato fa ancora un ultimo, estremo, tentativo: "Metterò in croce il vostro re?" (19,15). E la risposta delle autorità religiose è drammatica: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare" (19,15). Le autorità religiose si sono vendute al potere: hanno scelto la sottomissione, la dominazione, pur di non perdere i loro privilegi. Gesù verrà ucciso e di Pilato perdiamo le tracce. Sappiamo che verrà destituito per aver compiuto una ulteriore strage. Nel frattempo i suoi protettori, Seiano e Tiberio erano morti. Secondo le leggende fu percorso da così tante sventure che si suicidò, ma è una leggenda. Guardo a Pilato e vedo come la paura uccida e deformi l'uomo. Un mafioso aveva iniziato a collaborare con Paolo Borsellino prima della strage di Capaci. Quando fu minacciato dagli altri mafiosi, ritrattò tutto e non disse più nulla. Borsellino lo andò a trovare in carcere e gli disse: "Perché non dici più nulla?". "Perché ho paura". "Ma che uomo sei? E' meglio morire una volta sola o morire tutti i giorni per paura?". Dopo queste parole riprese a parlare. La paura è così: ti uccide ogni giorno e ti costringe a commettere cose che mai avresti voluto. In una famiglia il padre picchiava i figli e aveva abusato della figlia dodicenne. La madre vedeva e sapeva tutto. Ma non disse mai nulla perché la paura delle conseguenze e delle dicerie la bloccarono. C'è una ragazza che ha avuto alcune crisi dovute ad attacchi di panico. Così adesso ha paura che le possano risuccedere finché guida o magari è da sola o è in viaggio. Così non esce più e non si muove più da sola. Ma più fa così e più alimenta la paura (e la possibilità). C'è un uomo che quando la moglie lo attacca, lui non dice più nulla, si zittisce e diventa il suo "cagnolino". Ha una paura così folle di perderla che si annulla. Una donna ha un dolore immenso dentro di sé: da quando le è morta la madre non si è più ripresa. Sa che dovrebbe parlarne, sa che dovrebbe tirare fuori la cosa, ma ha paura di soffrire. Un uomo ha sempre vissuto con la maschera del "crocerossino". Lui è buono, aiuta tutti, è disponibile, non si arrabbia mai. In realtà tutto questo è solo una compensazione di tanta sofferenza vissuta da bambino. Sa che dovrebbe guarire le sue ferite, ma ha così tanta paura di guardarsi dentro! Poi guardo a Gesù. Anche lui ebbe paura. Anche lui ha vissuto la paura di essere deriso, rifiutato, non accolto, non amato, preso in giro; anche lui ebbe paura della sofferenza, della morte, di chi aveva il potere e di chi poteva fargli del male. Ma ebbe fede e non permise alla paura di fermarlo. La paura mi dice: "Non farlo; te ne pentirai; vedrai cosa accadrà; e se poi succede che...; è difficile; ecc.". La paura ci frena perché ci fa vedere sia le possibili conseguenze sia quelle che non ci sono. E se dovesse poi succedere (perché a volte succede!)? Allora mi ancoro in Dio: se dovesse succedere so che Lui c'è, che sono suo figlio, che posso vivere e affrontare, che non perdo mai la mia dignità profonda. La fede è l'antidoto alla paura. Dove c'è fede non c'è paura. E dove c'è paura non c'è fede. Ma il vero scontro tra Gesù e il potere fu con gli uomini religiosi del tempo: Anna e Caifa. Tra Dio e i suoi rappresentanti nella Bibbia c'è sempre stata incompatibilità. Quando Mosé era salito sul monte Sinai per ricevere da Dio le Tavole della Legge, il sommo sacerdote Aronne pervertiva il popolo spacciando "un vitello di metallo fuso" per il Signore (Es 32). Quando Dio mandò suo Figlio, un altro sommo sacerdote, Caifa', ingannò ancora una volta il popolo, con tutta la sua autorità, e spacciò per eretico il Figlio di Dio. Gesù lo diceva chiaramente: "Voi (sacerdoti) avete fatto del tempio una spelonca di ladri" (Lc 19,46); le testimonianze del tempo riportano di come i sommi sacerdoti si fossero macchiati di tutti i peccati possibili. Gesù tentò di porre fine a questo sistema. Il sistema mise fine a Gesù. E' e sarà sempre così: quando tu vuoi porre fine ad un sistema il sistema tenterà di porre fine a te. Perché il sistema, ovviamente, non vuole cambiare e perdere le proprie posizioni di privilegio. E userà ogni mezzo. Al tempo di Gesù il sommo sacerdote era Caifa. In realtà l'eminenza grigia, colui che da dietro dirigeva tutto era Anna. Anna fu sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C. ma riuscì a far eleggere dopo di lui ben cinque dei suoi figli (il clientelismo è sempre esistito in tutti gli ambiti e in tutti i tempi!). Al tempo di Gesù gestiva il potere attraverso il genero, Caifa appunto. Per questo, anche se formalmente non centra niente, noi lo troviamo sempre durante la passione. Per questo nei vangeli viene sempre nominato per primo e quando Gesù sarà arrestato, se notate, sarà condotto prima da Anna e solo dopo da Caifa (19,13-14). Anna non ce l'aveva tanto con Gesù, ma con le conseguenze del suo messaggio. Il messaggio di Gesù (il vangelo) era come un vino nuovo che rischiava di rompere i venerabili otri delle tradizioni sulle quali poggiava il potere sacerdotale. Bisognava non solo eliminare Gesù ma soffocare la buona notizia. Per questo Anna farà arrestare anche i suoi discepoli (At 5,28): "Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare nel nome di costui?". Quando il sommo sacerdote interroga Gesù ad un certo punto una delle guardie gli dà uno schiaffo: "Così rispondi al sommo sacerdote". E Gesù risponde: "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?" (18,19-23). E' un passaggio meraviglioso. Gesù dice: "Ma perché credi a tutto? Perché non sviluppi un tuo pensiero? Ascolta ciò che dico, ascolta le mie parole: c'è qualcosa di sbagliato? Perché hai dei pregiudizi senza neppure ascoltarmi, senza neppure sapere chi sono?". Gesù invita i sottomessi ad avere un'opinione differente da quelli che comandano, a non obbedire solo perché "l'ha detto il capo" o "lo dicono tutti" o "si è sempre fatto così" o "lo dice la gente che sa". Anna capisce subito la pericolosità di quest'uomo e lo manda "legato" da Caifa. Uno così bisogna metterlo a tacere, subito, immediatamente. Il vero nome di Caifa era Giuseppe. Caifa significa "oppressore", e la dice lunga sul personaggio. Caifa battè ogni record di permanenza al potere: diciotto anni! Il patto era chiaro: lui con la religione teneva a bada il popolo contro i Romani e così veniva lasciato nel suo incarico dai Romani. L'arma che Caifa usò per restare in carica così tanto tempo fu semplice: il denaro. Con il denaro comprava tutti. Perfino Pilato, il governatore, figurava nel suo libro paga. Con il denaro comprò Giuda (Mt 26,14-16) e con il denaro comprò anche i soldati (Mt 28,12-13): "Diedero una buona somma di denaro ai soldati dicendo: Dite così: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore lo persuaderemo (con il denaro!) e vi libereremo da ogni noia" (Mt 28,14-15). Ciò che è drammatico della storia della passione è che Gesù fu ucciso dalle autorità religiose. Caifa', Anna, i sadducei, i farisei, gli scribi, tutti quelli che avevano in qualche modo a che fare con Dio lo volevano morto. Fra di loro erano in disaccordo su tutto. Ma su di una cosa tutti erano concordi: "Gesù deve morire!". C'è una cosa che vi lascerà esterrefatti (a me ha fatto quest'effetto!). Nei vangeli tutto quello che riguarda la religione viene presentato negativamente. Intendiamo "religione" tutto quell'insieme di atteggiamenti, desideri, aspirazioni nell'uomo, rivolti alla divinità per ottenere la sua benevolenza. Religione è la traduzione di una parola greca: deisidaimonia, che viene da temere (deido) e da demone (daimon) e vuol dire: timore degli dei/demoni, paura delle potenze celesti, gli spiriti maligni, superstizione, religione. Nei vangeli non troverete mai la parola religione, né virtù (areté), né sacro (hieros), né venerazione (threskeia), né devozione/pietà (eusebeia), né pio (eusebes); sacrificio (thysia) è riferito sempre agli ebrei; culto (latria; 16,2) è in senso negativo; liturgia (leitourgia) è quella del tempio; altare (thysiasterion) è quello del tempio (la mensa cristiana si chiama trapeza, tavola); ubbidienza si trova solo riferito ad elementi nocivi e contrari dell'uomo e mai è riferito alle persone. Nel vangelo la cosa più inutile e pericolosa è la religione. I nemici più pericolosi, quelli più accaniti e irriducibili, saranno proprio i religiosi. Un sommo sacerdote (Aronne) fornirà al popolo il primo idolo e un altro, Caifa', condannerà il Figlio di Dio. Avete mai sentito Gesù prendersela con i Romani? Non c'è una sola parola di questo nel vangelo. Era chiaro, lo vedevano tutti quanto ingiusta fosse quella dominazione. Ma ce n'era un'altra di più sottile: il potere religioso. Il potere religioso comanda in nome di Dio. Mai si comanda, sentendosi a posto con la coscienza, come quando si comanda in nome di Dio: "E' sua volontà!". Mai si chiedono così facilmente sacrifici come quando si chiedono in nome di Dio. Mai si uccide e si opprime così tanto come quando si uccide in nome di Dio. Cosa pensa Gesù degli uomini religiosi? Gli scribi? Guide cieche di altri ciechi, ipocriti, arrivisti, ambiziosi e assassini (Mt 15,14; Mc 7,8-13). I farisei? Pieni di marciume, sepolcri imbiancati che hanno in sé solo la morte (Mt 23,27). Il tempio di Gerusalemme? Un covo di ladri (Mt 21,13). Il luogo più pericoloso per Gesù? Il tempio, dove cercheranno una volta di arrestarlo (7,30) e un'altra di assassinarlo (7,19), e la città santa, Gerusalemme, che lo condannerà a morte. Tutto quello che la religione comandava di fare Gesù non lo faceva. E tutto ciò che diceva di non fare lui lo faceva. Per un ebreo era dovere religioso sposarsi a diciotto anni (il Talmud dice che è maledetto da Dio chi non lo fa). Gesù non si sposa. Per un ebreo è proibito toccare un lebbroso (Lv 13,45-46): Gesù lo tocca. Dio ti perdona solo se fai digiuni, offerte e preghiere. Lui perdona e non nomina neppure Dio (Mc 2,1-12). Di sabato non si esce. Gesù, proprio di sabato, va a fare le passeggiate con i discepoli (Mc 2,23-28). Di sabato non si va a visitare gli ammalati e non si cura chi sta male. E lui di sabato guarisce a ripetizione (5,1-18; 9,141; Lc 13,10-17; Lc 14,1-6; Mc 1,29-31; Mc 3,1-6). La persona pia digiuna di lunedì e di giovedì. Gesù, proprio in quei giorni, partecipa ai pranzi organizzati dalla feccia della società (pubblicani, peccatori, ecc; Mc 2,14; Lc 15,2). Mosé ha ordinato di non mangiare tutta una serie di animali. Gesù dice: non è vero niente. Non è quello che entra (che mangi) che ti rende impuro ma quello che esce, quello che hai dentro (Mc 7,15-23). Se tutto questo scandalizza noi oggi duemila anni dopo come potevano non ucciderlo? Gesù è morto per liberarci dalla religione che ci opprime ed è vissuto per portarci il Dio che ci libera. Non dimentichiamoci che Gesù è stato condannato come eretico in nome di Dio. Gesù è morto per liberarci dal Dio della paura, della religione, della sottomissione, dell'obbedienza "perché così mi hanno comandato" o "così è scritto". Gesù è vissuto perché ognuno torni ad esercitare il proprio cuore, a far vivere la propria anima e a far funzionare il proprio cervello. Una storia racconta che il Quinto Dalai Lama vedeva ogni giorno due cose: la dea Tara (Tara è la dea del Tibet protettrice della luce divina che circonda luoghi e persone) e un povero tibetano che gironzolava là attorno pregando in onore della dea. I monaci colti andarono ad ascoltare la preghiera di quest'uomo e arrivarono alla conclusione che egli parlava un sanscrito gretto e completamente adulterato: mancavano versetti, parole scambiate, errori teologici, ecc., insomma una preghiera da analfabeta. Decisero allora di istruirlo perché potesse pregare la dea Tara esattamente come faceva il Dalai Lama, in maniera impeccabile, con stile, proprio come merita una dea. Una volta istruito per bene, l'uomo tornò a gironzolare attorno al palazzo. Il Quinto Dalai Lama tutti i giorni vedeva l'uomo... ma non vide mai più la dea! Se tu devi andare a Roma puoi prendere l'auto, il treno, l'aereo, la bicicletta o andare anche a piedi (è un po' più lunga, ma si può fare!). Ciò che conta è che tu arrivi a Roma. Il mezzo è importante ma ciascuno preferisce il suo, in base alla propria sensibilità e alle proprie esigenze. La religione è il mezzo (aereo, treno, auto), la fede è l'obiettivo, "Roma". Ciò che conta è che arriviamo lì. Altrimenti tutto è inutile. Posso avere una Ferrari, o un biglietto di prima classe ma se non arrivo, non mi serve a niente. Tutte le preghiere, le celebrazioni, i riti e gli incontri dello spirito, mi servono se "arrivo" al Dio della Vita. Io ho bisogno di andare a messa, di congiungere le mie mani e di pregare l'Altissimo. E ho bisogno di farlo da solo e insieme perché farlo insieme mi aiuta e mi dà forza. Come ogni essere umano io ho bisogno di mediazioni, cioè, di strumenti, di appuntamenti, di parole, di esperienze, di incontri, di celebrazioni, che mi mettano in contatto con Dio. So che Dio mi ama; so che la cosa più importante è che io mi ami. Ma so che ho bisogno di persone che mi amino, che me lo dicano, che me lo dimostrino, che me lo facciano sentire; so che ho bisogno di "sentire" l'amore. So che Dio si fida di me; so che la cosa più importante è che io riconosca il mio valore. Ma so, pure (strumento, mediazione), che ho bisogno che anche altri lo riconoscano e me lo dicano. Allora: non si vive senza mediazioni, incontri, persone, esperienze (religione). Sono fondamentali, ma ogni esperienza ha senso se mi trasmette ciò che promette, se mi comunica ciò che mi deve comunicare. Quindi più che cosa faccio è importante come lo faccio. Ho bisogno di pregare, di riti, di celebrazioni, di appuntamenti, ma solo se questi "toccano" il mio cuore. Quando sono in chiesa ciò che conta è che il mio cuore possa vibrare come le corde di un'arpa o risuonare come le note di un flauto; che possa emozionarmi e lasciarmi contagiare da ciò che sento e che vivo; che possa trovare fede in Dio e in me e quindi osare scelte coraggiose, impegnative, radicali; che possa purificare il mio amore (ciò che io chiamo così), la mia vita (rendendola più vera) e i miei atteggiamenti (rendendoli più liberi). La religione è necessaria se mi trasmette il Dio della Vita, il Dio che ha fiducia in me, che mi accoglie, che mi ama al di là di tutto (fede). Altrimenti è una religione inutile, diventa alienazione, evasione o paura. Il Dio della Vita (il Dio del vangelo) dice: "Non aver paura. Di me non c'è motivo di aver paura. Io sono qui per darti fiducia in te stesso, forza per esprimerti, guarigione per non stare più male, vitalità perché tu possa sentire la bellezza della vita, potenza perché tu possa realizzare lo spirito che ti abita. Sono qui per te. E rimarrò qui sempre, anche se tu non mi vorrai, perché tu mi stai a cuore". "Non sottometterti. Non mi devi obbedire. Chi obbedisce si sottomette e chi si sottomette è perché ha paura. Ma nell'Amore non c'è paura come nella paura non c'è Amore. Quello che fai, lo fai perché lo scegli tu, perché lo ritieni importante. Non fare niente perché ti è stato comandato, perché si deve. Fallo perché ne senti il valore, la forza, la bellezza". "Sei responsabile della tua vita. Dio non vuole delle marionette, dei burattini, che continuano a chiedere a destra e a sinistra cosa fare. C'è una fase della vita di fede dove questo va bene ma poi bisogna crescere, bisogna accettare di avere un compito personale e una chiamata tutta e solo per sé. Bisogna accettare di arrivare a conoscere Dio non per studio, non perché qualcuno ce lo dice, ma perché lo si è sperimentato di persona". "Sii fedele a ciò che hai dentro. Dio è dentro di te. Non ti tradire mai e non preferire ciò che altri dicono (qualunque sia l'autorità, genitoriale o religiosa) a ciò che tu senti vero per te. Verifica di non mentire a te stesso ma poi segui il Dio che ti abita". "Io sono in te come in tutti gli uomini. L'incontro con Dio può avvenire ovviamente più facilmente in chiesa, insieme a tante persone, ma non avviene solo lì, perché Dio è dappertutto e in ogni luogo. Dio, inoltre, è in ogni persona, e ogni persona può far risplendere (può!, non sempre accade!) un raggio della sua luce". "Fidati di me. Stai tranquillo, tutto finirà bene. Puoi vivere, puoi osare, puoi distenderti e far uscire tutta la vitalità e la passione che c'è in te. Anche se sbagli, ci sono io. Anche se si muore ci sono io. Anche se si fallisce, ci sono io. Io non abbandono. Io rimango". Guardo a Gesù e penso a come si dev'essere sentito: "Perché mi uccidete? Proprio voi, ministri del culto? Vi sbagliate: non è Dio quello che voi annunciate. Dio non compie cose simili. E voi gente del popolo: non fatevi ingannare, perché vi fate soggiogare?". Penso al dramma di quest'uomo che viene ucciso dalla religione ufficiale come il peggiore dei nemici, come il peggiore dei bestemmiatori, come anti-Dio. Guardo a Gesù, quest'uomo che è morto per Dio, per portarmi il Dio della Vita. Dio è per me, non contro di me. Dio non è un nemico, un ostacolo, un intralcio, uno stress, una costrizione, una camicia di forza di doveri, di regole, di imposizioni, di costrizioni. Gesù è morto per dirmi: "Attento, non tutto ciò che viene definito "religione" è fede e non tutto ciò che viene detto che "venga da Dio" viene in realtà da Dio. Ogni volta ti devi chiedere: "Questa preghiera, quest'incontro, questo libro, quest'idea, magari difficile, magari esigente, mi fa vivere più in profondità? Mi rende più libero e più vero? Mi allontana dalla paura?". Se la tua religione ti ingabbia, ti incute timore e paura; se la tua religione ti allontana dalla vita; se è un insieme di obblighi, di costrizioni e di doveri; se non abbraccia tutti gli uomini, lasciala, non è la religione di Gesù. I sommi sacerdoti hanno ucciso Gesù; la religione ha posto fine alla vera fede. In nome di Dio si è ucciso Dio. Allora io veglio perché so che ciò che è successo può risuccedere. Concludo con due storie che fanno riflettere. Un mistico tornò dal deserto. "Dicci", gli chiesero avidamente, "com'è Dio?". Ma come poteva esprimere in parole ciò che aveva sperimentato nel profondo del suo cuore? E' possibile esprimere in parole la verità? Alla fine diede loro una formula, così imprecisa, così inadeguata, nella speranza che alcuni di loro si sentissero tentati a sperimentare essi stessi ciò che egli aveva sperimentato. Essi s'impadronirono della formula. Ne fecero un testo sacro e l'imposero a tutti come un articolo di fede. Attaccarono sui muri di tutte le case quadri con la formula e costruirono reliquie da portare addosso e da custodire gelosamente e devotamente. Affrontarono grandi sofferenze per diffonderla in paesi stranieri e alcuni persino dettero la propria vita per essa. Il mistico rimase molto triste. Sarebbe stato meglio che non avesse mai parlato. Si può morire per "l'idea di Dio"; si può morire per Dio senza averlo neppure mai conosciuto; si può credere senza neppure aver mai incontrato ciò che si crede. Il predicatore del villaggio era andato a far visita ad un'anziana parrocchiana e, sorseggiando una tazza di caffè, rispondeva ad alcune domande fattegli dalla nonnina. "Perché il Signore ci manda tanto spesso delle epidemie?", chiedeva la vecchia signora. "Beh", disse il predicatore, "talvolta la gente diventa così malvagia che dev'essere eliminata e così il buon Dio permette che vengano le epidemie". "Ma", obiettò la nonna, "perché tante persone buone vengono eliminate insieme a quelle cattive?". "Quelle buone sono convocate come testimoni", rispose il predicatore. "Il Signore vuole che ogni anima abbia un equo processo". Con "Dio" si può giustificare tutto e il contrario di tutto. In nome di Dio, il Figlio di Dio, è stato ucciso. Pensiero della settimana Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito. La religione serve per portarti a Dio. Altrimenti non ti serve. |