Omelia (14-01-2001)
Paolo Curtaz
Le nozze tra Dio e l'uomo

E questa la chiamate ordinarietà?
Parrebbe, visto che abbiamo appena concluso uno dei ponti Natalizi più lunghi degli ultimi anni e abbiamo ripreso il lavoro. Archiviato il Natale, riposti i presepi, dimenticate (in fretta) le emozioni per il terzo millennio troppo uguale al secondo, chiusa la porta santa del Giubileo, ci siamo stancamente avviati verso le scrivanie degli uffici e verso i banchi di scuola. E' riiniziato il tempo ordinario: anche il sacerdote, in Chiesa, indossa ora la casula verde, colore del tran-tran, ferialità implacabile. Ed ecco il Vangelo di oggi, inatteso, splendido, una festa: le nozze di Cana.

Giovanni - al solito - è l'unico degli evangelisti a parlare di questo strano matrimonio passato alla storia per la colossale sbronza degli invitati. E lo pone come 'segno' di apertura della vita pubblica di Gesù. Non parla di miracolo, Giovanni: ha paura che la gente corra dietro agli stregoni, ai guru, e Gesù non lo è. I suoi sono 'segni': pannelli indicatori, frecce stradali che rimandano a qualcos'altro, che invitano a non fermarsi all'evento straordinario ma a cercarne il senso profondo.
La storia di Cana la conoscete: un matrimonio a cui Gesù è invitato in quanto figlio di Maria, il vino che manca, l'acqua trasformata in vino. Ma, a leggere bene, è un matrimonio piuttosto strano quello di cui si parla: manca la sposa e la figura dello sposo è del tutto marginale. Perché?
E' presto detto: Giovanni raffigura queste nozze come le nuove nozze tra Dio e l'umanità. La vecchia alleanza col popolo di Israele è diventata statica, pesante: le sei giare della purificazione sono di pietra, emblema della vecchia alleanza e sono sei: cioè sette (numero perfetto) meno uno, incomplete. La storia tra Dio e l'umanità si è trascinata fino a qui, stancamente, l'uomo fatica ad accettare Dio per quello che è; serve qualcosa di nuovo, arriva il Signore Gesù a svelare il volto di Dio, definitivamente. Maria è la figura di quel pezzo di Israele rimasto fedele, così come i simpatici servi che si trovano a portare nelle giare seicento litri d'acqua attinti al pozzo, che obbediscono anche se non capiscono, che si fidano. E tutto diventa festa: l'acqua trasformata in vino è il segno messianico della presenza di Dio, del nuovo banchetto, dei tempi nuovi inaugurati da Cristo. Tutto, ora è festa.

Ecco: iniziamo così l'anno ordinario, la ferialità. Giovanni dice: se accogli Dio tutto diventa festa. Se accogli la nuova Alleanza (Dio vuole te, vuole proprio te) tutto si apre allo stupore e alla meraviglia. La vita grigia che rischia di rovinarci l'umore (che festa è una festa senza vino?) diventa stupore, meraviglia, gioia intensa. La mia vita ordinaria diventa festa, stupore, gioia senza fine. E' possibile svegliarsi al lunedì mattina contenti di andare incontro alla settimana avorativa? Sì: Dio trasforma la tua acqua in vino e tutto diventa festa.

Ma ci sono due condizioni, banali, semplici, essenziali.
La prima è l'offrire, il donare. Gesù chiede di riempire le giare d'acqua. E noi cosa siamo disposti ad offrire? Tempo? Intelligenza? Disponibilità? I servi compiono senza capire, un po' perplessi, ma obbediscono. Anche noi alle volte stentiamo a compiere i gesti che la vita ci pone davanti: non li comprendiamo. Perché pregare? Perché restare onesti? Perché dare il meglio? Non vincono forse i furbi? Non prevalgono forse i violenti? I servi non capiscono ma si adeguano: la fedeltà è valore, la costanza diventa stupore. Signore, fatico ma tengo uno spazio di preghiera quotidiana. Signore fatico ma voglio incontrare i miei fratelli per celebrare la tua presenza. Signore fatico ma credo che tu voglia fare della mia vita un dono per gli altri...
La seconda è l'atteggiamento di Maria. Sono le uniche parole che dice Maria nel Vangelo di Giovanni: 'fate quello che vi dirà'. Occorre riscoprire il discepolato, la sequela del Maestro. Occorre togliere quella sottile sufficienza (arroganza?) che ci fa tutti sapienti teologi perché abbiamo (sic!) sopportato qualche anno di catechismo nell'infanzia. No: così non si resta cristiani, così non si diventa discepoli. A chi lo desidera Dio propone un cammino, un percorso di luce in luce, che ci porta a scoprire le nuove nozze tra Dio e l'umanità. Nozze a cui posso partecipare e che posso addirittura favorire, giorno per giorno, attimo per attimo, realizzando il sogno di Dio.

E questa la chiamate ordinarietà?