Omelia (01-01-2001) |
Paolo Curtaz |
Che Dio ci sorrida! Un Angelo del Signore si presentò ai pastori e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annuncio un agrande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi per voi è nato nella casa di Davide un salavtore, che è Cristo Signore".E' fatta. Pronti o non pronti, ferventi o indifferenti, felici o tristi, è fatta. Dio è nato, è entrato nella storia, è entrato nella mia storia. Ora nessuno più potrà gridare contro un fato ostile che ci abbandona nel periglioso mare delle nostre sofferenze, né gridare contro un Dio capriccioso e scostante, né disquisire su di un "qualcosa" che sta all'origine del senso della vita; i miliardi di uomini che hanno abitato la terra, che hanno cercato di forare il cielo per comprendere il volto degli dei, il destino del cosmo, tutti insomma, ora, ricevono la notizia: Dio è venuto a raccontarsi, Dio è venuto a donarsi.Natale di presepi viventi e di piccole casette di sughero, con le statuine del panettiere e dell'omino con la lanterna che corrono alla improbabile stalla col tettuccio spiovente, Natale di accalcate Messe di mezzanotte, di luminarie e di panettoni, Natale di buoni sentimenti e di ricordi. Eppure, ciò che più mi rimane di questa straordinaria festa, non è tanto la dolcezza e la serenità che san Francesco volle a Greccio raffigurare con i suoi poveri. No, piuttosto colpisce il mio senso di fede la bizzarra (per noi occidentali) raffigurazione della Natività che i nostri fratelli ortodossi hanno riprodotto sulle loro icone cogliendo, sin dalla nascita, il dramma del Natale. Dramma rappresentato in apposite figure in cui spicca il bambino Gesù avvolto in fasce che paiono un sudario e deposto in una mangiatoia che pare una tomba. Certo: il Natale è già il mistero della Pasqua, la nascita già rimanda alla rinascita, la culla indica una croce e una tomba. Perché, come giustamente rammenta san Giovanni: "le tenebre non hanno accolto la luce". Natale diventa il dramma di un Dio presente. Ma di un uomo assente. Il Dio che si dona non trova posto, l'Emmanuele, Dio con noi, trova solo la tiepida accoglienza di una cittadina, Betlemme, indaffarata dai tanti ospiti venuti a farsi registrare all'elenco di un potente che conta i propri sudditi, tra cui c'è Dio. Simile, troppo simile, questa Betlemme sconosciuta, alle nostre stazioni turistiche che non hanno posto per accogliere la scomoda novità di un Dio che chiede accoglienza. Luca, questo, lo sa bene. Sa bene che i pastori non sono quella caricatura bucolica che ne abbiamo fatto nella nostra immaginazione. Sa bene che i pastori, perché a contatto con i capri, animali impuri, diventavano loro stessi impuri e non potevano neppure entrare nella sinagoga, che erano i "tagliati fuori", gli emarginati dell'epoca. E gli angeli annunziano che per loro è nato il Salvatore. Per loro che non hanno più speranze, per loro che vivono fuori dalla città. Per loro che la disperazione ha portato a scegliere uno dei mestieri più disprezzati dal popolo ebraico. Betlemme non si accorge di essere la culla dell'ingresso di Dio nel mondo. Loro, i poveri, gli ultimi, sì.Natale diventa allora per noi oggi stupore, lotta, conversione. Come un pugno nello stomaco che ci obbliga a interrogarci su questo Dio con cui non abbiamo da discutere ma che si presenta con il volto incredibile e disarmato di un neonato. Dio viene, Dio c'è, certo. Sicuro. Vero. Ma noi rischiamo di non esserci, talmente presi dall'eresia dell'efficienza da avere dimenticato come è fatto lo stupore e la meraviglia. Talmente incoscienti da esserci costruiti una fede su misura, un Dio a nostra immagine e somiglianza. Eppure "per noi" è nato il Signore. Per noi, se poveri; per noi, se disarmati; per noi, se sconfitti; per noi, se cerchiamo senso e pienezza, amore e tenerezza, per noi, se sappiamo metterci in gioco.Buon Natale a tutti, quindi, buon Natale a chi lo aspettava e a chi proprio no. Che Dio possa far breccia in noi, che Dio possa spalancare un varco nelle nostre città in festa, che Dio trovi ancora qualche albergo, qualche casa in cui c'è posto per l'inimmaginabile. Non cerchiamo più Dio in altri luoghi, non imprechiamo più contro la sua assenza: egli è qui, bambino, consegnato alla nostra indifferenza. |