Omelia (10-05-2008) |
Monaci Benedettini Silvestrini |
Questi è il discepolo che ha scritto queste cose, e la sua testimonianza è vera Oggi leggiamo l'ultimo confronto tra Pietro, simbolo della fede viva, operante e sempre bisognosa di giustificazioni e Giovanni, simbolo dell'amore semplice, intuitivo e appassionato. Dopo aver sentito le parole di Gesù sul proprio compito nella Chiesa e sulla conclusione violenta della propria vita, era comprensibile che Pietro si fosse informato sul destino di quel discepolo, che pure a lui stava a cuore. Questo perché si era diffusa una tradizione secondo la quale Giovanni non sarebbe morto, ma avrebbe incontrato il Signore nel suo ritorno glorioso. L'autore del capitolo 21, è una aggiunta, considerata autentica, corregge e respinge quella 'voce' diffusa e si limita a ricordare l'esatto tenore delle parole di Gesù. Pietro vuole sapere quale destino viene riservato a Giovanni: la fede vuole conoscere il destino dell'amore. Gesù risponde sul destino di entrambi: la fede continui a testimoniare, l'amore perduri fino al ritorno di Cristo. Dal racconto evangelico sembra che le due figure vengano contrapposte, ma di fatto esse si integrano nella tradizione ecclesiale. I due apostoli rappresentano due aspetti complementari della realtà cristiana: da una parte la disciplina garantita dall'autorità, dall'altra la comunione resa possibile dall'amore. Da una parte l'obbedienza alla parola di Dio, assicurata dal magistero come praticabile, dall'altra l'adesione contemplativa ad una verità intuita ed amata. Infatti "Questi è il discepolo che ha scritto queste cose, e la sua testimonianza è vera". Questo discepolo è quello che dà testimonianza di tutto quello che il Vangelo contiene, perché lo scrisse. Senza dubbio la comunità che si è formata intorno al discepolo che Gesù amava assicura che il Vangelo poggia su di lui. Oggi la parola di Dio passa attraverso la nostra testimonianza: è un grande compito e una grave responsabilità. |