Omelia (23-03-2003) |
don Elio Dotto |
Un rito per rendere diversi i giorni «Che cos'è un rito? – disse il piccolo principe. Anche questa è una cosa da tempo dimenticata – disse la volpe. Un rito è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora diversa dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza». Mi sembrano suggestive queste parole tratte da «Il Piccolo Principe», celebre racconto del francese Antoine de Saint-Exupérie: suggestive perché ci aiutano a capire meglio il rito che ogni domenica i cristiani compiono nelle chiese: e che in questo tempo di Quaresima assume un'importanza particolare. Appunto un rito è la celebrazione domenicale dell'Eucaristia. Ma che cos'è un rito? Un rito – diceva la volpe – «è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora diversa dalle altre ore». Perché è vero, si assomigliano tutti i nostri giorni: si assomigliano talmente che a volte noi siamo stanchi di questo nostro tempo sempre uguale. Accade infatti che la banalità della vita quotidiana spenga anche i sentimenti più grandi, riducendo alla fine ogni desiderio a cosa nota e scontata. Abbiamo allora bisogno di riti: abbiamo bisogno di giorni speciali che fermino questo tempo così uguale e ci facciano ritrovare la freschezza degli inizi. Proprio così – speciale – è la domenica per i cristiani: è il giorno del Signore, la Pasqua della settimana. È il giorno in cui i credenti si radunano per compiere un rito – il rito domenicale dell'Eucaristia – e in tal modo scongiurare l'inevitabile logorarsi del tempo, dando radici e consistenza a tutti gli altri giorni. Certo, il rito non è qualcosa di magico che ci garantisce dagli imprevisti del futuro: non è un porta-fortuna che possiamo acquistare e usare secondo le necessità. Così rischiava di intendere il rito quella gente che Gesù trovò nel tempio, secondo il racconto del Vangelo di domenica (Gv 2,13-45): compravano e vendevano, quasi che bastasse quel commercio per invocare il favore di Dio. In realtà, quella gente compiva un rito vuoto, fatto soltanto di esteriorità e di ricchezza, un rito meccanico, che non aveva bisogno di Dio per funzionare, e assomigliava terribilmente ai traffici di tutti gli altri giorni: il tempio era diventato «luogo di mercato», e non era più «la casa del Padre». Eppure soltanto con Dio funzionano i nostri riti: soltanto grazie al suo Spirito i riti possono scongiurare l'inevitabile logorarsi del tempo, dando radici e consistenza ai nostri giorni. Infatti attraverso il rito noi ricordiamo che è Dio il Signore della nostra vita, come dice il libro dell'Esodo nella prima lettura di domenica (Es 20,1-17): è lui che «ci ha liberati dalla condizione di schiavitù», da quelle schiavitù che sempre sono in agguato; è sempre lui che ci «dimostra il suo favore fino a mille generazioni», liberandoci dalla tristezza del tempo che fugge; ed è ancora lui che orienta i nostri passi incerti, donandoci quella speranza che abbiamo smarrito. Proprio con questo nostro Dio noi compiamo il rito domenicale dell'Eucaristia. In tal modo la domenica diventa per noi un giorno di festa, un giorno diverso dagli altri giorni. Ma non perché di domenica accada qualcosa di straordinario; non perché scompaiano le paure e le sofferenze di sempre. La domenica diventa per noi un giorno di festa perché di domenica noi impariamo a riconoscere in tutti i nostri giorni i segni benedizione di Dio: appunto come fecero quei contemporanei di Gesù che «vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome» (Gv 2,23). Questa benedizione certo non ci abbandonerà mai: e – se lo vorremo – questa benedizione renderà diverse anche quelle ore sempre uguali che ancora ci attendono. |