Omelia (30-03-2003)
Totustuus
Quarta Domenica di Quaresima

Nesso tra le letture

La Quaresima è una preparazione alla Pasqua, ma il nostro viaggio verso la Pasqua deve necessariamente passare per la collina del Calvario. Man mano che la Passione si avvicina siamo invitati a guardare la croce. La condizione di peccato e la disobbedienza ai piani di Dio porta irrimediabilmente alla catastrofe collettiva e personale.

Mentre gli Israeliti, come altri popoli antichi, hanno visto questo fatto riflesso nella storia (prima lettura), Gesù rivela che il disastro basato sul nostro rifiuto di Dio è ancor più grande, perché comporta una morte peggiore della morte in sé e la perdita della vita eterna (Vangelo). Nella sua infinita misericordia, Dio ha mandato suo Figlio non per condannare il mondo, ma per salvarlo. Solo il nostro ostinato rifiuto della sua grazia ci può condannare alla privazione eterna (seconda lettura, Vangelo). Gesù è stato innalzato sulla croce della sofferenza, quale sforzo finale dell'enorme misericordia di Dio per salvarci da quella terribile eventualità (seconda lettura).

Messaggio dottrinale

Come possiamo conciliare il Dio "irato" di alcuni passi dell'Antico Testamento con il Dio della misericordia predicato da Gesù? Alcuni tra i primi cristiani non lo hanno fatto e hanno creato un'eresia che credeva in un Dio dell'Antico Testamento, vendicativo, e in un Dio del Nuovo Testamento, misericordioso. In tempi molto più recenti, alcuni cristiani hanno creduto, perlomeno in pratica, in un Dio la cui giusta collera era maggiore dell'amore misericordioso.

Guidata dallo Spirito Santo, la Chiesa ha mantenuto sempre l'ispirazione divina e l'armonia dei due Testamenti, che non si possono contraddire a vicenda. La rivelazione che contengono viene da Dio, è la sua parola e non possiamo scegliere dei passaggi che "approviamo" e rifiutarne altri. È un qualcosa di graduale e raggiunge la sua perfezione con Cristo; le strade del Signore sono così diverse dalle nostre che non possiamo comprenderle subito; si sono sviluppate durante i secoli, e non dovremmo aspettarci che l'Antico Testamento ci offra una rivelazione completa.

Le letture dell'Antico Testamento, infatti, sono caratterizzate da un antropomorfismo che attribuisce a Dio emozioni umane, e da una concezione primitiva dell'intervento di Dio nel mondo che fa derivare tutto, e soprattutto ogni calamità, direttamente dalla sua volontà e dalla sua azione. Il popolo ebraico attribuiva, quindi, i disastri che lo colpivano all'ira di Dio, che considerava perfettamente giustificata e causata dai peccati e dalla continua mancanza di fede del popolo eletto.

Nell'Antico Testamento c'è una sorta di "battaglia" tra la giustizia di Dio e la sua misericordia, e gli scrittori si trovano a dover esprimere una giustizia e una misericordia piena d'amore che l'esperienza umana ha difficoltà a conciliare, sebbene, di fatto, in Dio coesistono. Anche nell'Antico Testamento alla fine prevale la misericordia: "la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita" (Sal, 30,6); "in un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore" (Is 54,8).

Nelle letture del Nuovo Testamento, viene posto l'accento sulla misericordia di Dio, e sul fatto che Egli vuole che ognuno sia salvato. Non condanna nessuno. Come potrebbe? "Ha tanto amato il mondo al punto di dare il suo unico Figlio", perché morisse per salvarci. Purtroppo, alcuni preferiscono ancora l'oscurità della loro misera autosufficienza alla generosità della luce di Dio; rifiutano di "credere in Lui", come Adamo ed Eva, che hanno preferito la seduzione del serpente alla parola del loro Padre e Creatore.

Tutto questo è disastroso, e una persona che agisce in questo modo "è già condannata", non da Dio, ma da se stessa. Non è Dio che ci pone in una condizione di perdita eterna o nell'inferno; è uno stato in cui ci mettiamo da soli, e a causa del quale non siamo capaci di vedere ed abbracciare Dio, che è la nostra realizzazione ultima e totale, la nostra vita eterna.

Catechesi: Dio è amore (CCC 214, 218-221), un amore reso visibile da Cristo nel Suo sacrificio per noi (606 e ss.).

Suggerimenti pastorali

A prima vista, una tipica visione contemporanea sottolinea la misericordia divina, che viene dispensata con giustizia. Andando più a fondo, potrebbe apparire che, dato che nessuno compie alcun male, nessuno abbia bisogno della misericordia di Dio. In quest'ottica niente ha più importanza: l'egoismo diventa uguale alla santità e all'amore eroico. Questo non esalta la sua misericordia; la sminuisce. È ovvio che nessuno vuole un Dio che non sia giusto, che riservi a santi e criminali lo stesso trattamento.

Il nostro problema è che non pensiamo a Dio partendo dal Vangelo, ma dalla nostra cultura vacua e superficiale. Solo Dio è capace di spiegarsi a noi; ha fatto così con la Rivelazione, affidata alla Chiesa. La Quaresima è un'ottima occasione per cominciare qualche seria lettura spirituale, ben radicata nella tradizione cattolica, che ci aiuterà a crescere nella conoscenza di Dio e del suo amore salvifico. Se capissimo l'amore di Dio e comprendessimo quanto ce ne separiamo con il peccato, piangeremmo amaramente come gli esuli a Babilonia (salmo). Dio non ci può obbligare a cercare la luce, perché non ci può creare contemporaneamente come creature libere e non libere (la nostra creazione non è una cosa ormai passata, è qualcosa di continuo).

Dio, però, non vuole vederci piangere; Cristo innalzato sulla croce dinanzi a noi rappresenta lo sforzo finale del suo amore, il suo ultimo appello a rispondere liberamente al suo amore. La vista di Gesù crocifisso per i nostri peccati è l'antidoto che, come gli Israeliti morsi dai serpenti (cf. Nm 21,4-9), ogni generazione di Cristiani ha trovato per combattere il veleno dell'egoismo e del peccato. Seguire la Via Crucis - ogni giorno o perlomeno due volte alla settimana fino a Pasqua - sarebbe un'ottima maniera di mettere in pratica questa "cura".