Omelia (30-03-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Il vero volto Il peccato è morte; colui che pecca è già nella morte o, che è lo stesso, nelle tenebre. Ogni parola di questo testo ha un preciso peso simbolico, che non è lo stesso del senso comune. Potremmo chiederci se per caso non era possibile spiegarsi meglio. Ma scopriremmo che non era possibile. Le parole di Gesù trasmesse a noi dall'evangelista Giovanni ci portano sempre fuori dal senso comune, ma nello stesso tempo ci aprono gli occhi, ci mostrano il vero volto del reale, quello che le parole da sole non riescono ad esprimere o rischiano di falsare. Il vero volto del peccato Il peccato per noi si presenta con il volto della tentazione, ed è facile confonderlo con qualcosa che di volta in volta è dolce, seducente, inevitabile, "umano". E' facile vedere il peccato degli altri (la guerra, la violenza, la corruzione...); più difficile vederlo nel nostro piccolo (risentimento, indifferenza, interesse egoistico, pigrizia...); soprattutto è difficile togliergli la maschera, andare oltre il gesto esterno con cui si presenta. "Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie": con queste parole Gesù smaschera la condizione di peccato in cui ci troviamo, e gli dà il suo nome: tenebra, morte, isolamento, ostinazione, vita inautentica. Il vero volto della croce Vista esternamente la croce è un patibolo, una condanna a morte atroce e crudele. Vista nell'ottica della storia di Gesù, sembrerebbe un fallimento: Gesù, rifiutato dal suo popolo, non può portare a termine la sua missione, non può costruire il Regno di Dio. Ma in questo brano la croce è vista con l'immagine biblica del serpente innalzato nel deserto da Mosè. Il popolo, a causa della sua ribellione, era stato colpito da un'invasione di serpenti velenosi. Mosè aveva quindi innalzato un serpente di bronzo su un palo, e chi lo guardava dopo esser stato morso guariva. La croce-risurrezione è appunto l'innalzamento che rende Gesù strumento efficace di salvezza, segno operante del perdono di Dio. "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo...": accettando la croce, Gesù mostra che Dio non vuole condannare, ma perdonare. Accettando la sofferenza che gli uomini gli infliggono, Gesù mostra la sua infinita capacità di perdono. E non è tanto complicato avere accesso a questo perdono: basta "guardare a lui". Il vero volto della fede Spesso si confonde la fede con il dire determinate parole, o con il fare determinati gesti, religiosi o caritativi. C'è chi dice di aver fede perché va a Messa, fa preghiere, partecipa a riunioni in parrocchia. C'è chi dice di aver fede perché prega per conto suo, o comunque perché si comporta bene, o cerca di far del bene agli altri, e di vivere onestamente. Ma tutti questi sono i gesti esterni che nascono dalla fede. La stessa miopia che ci fa confondere il peccato con un elenco di azioni cattive (che a volte non sembrano poi tanto cattive), ci fa confondere la fede con un elenco di azioni buone (a volte peraltro noiose, difficili, incomprensibili). Lasciamoci allora aprire gli occhi dalle parole di Gesù, per trovare la radice della fede. Il serpente innalzato nel deserto guariva coloro che guardavano a lui. Guardare a lui: niente altro. La radice prima della fede non è una qualunque opera, ma è il guardare, l'affidarsi a Gesù. La fede è presentata come qualcosa di essenzialmente semplice: uno sguardo, una parola, un essere rivolti verso di lui: si parla addirittura di credere nel "nome" di Gesù, quasi che da solo il nome basti a salvare. La semplicità della fede può spaventarci: forse gradiremmo qualcosa di più complicato ed esoterico, ma più manipolabile. Certamente, non è tutto qui: ma la radice da cui tutto il resto deriva è estremamente semplice. Anche una piccola chiave apre grandi portoni, o mette in moto un'automobile, o anche un camion... basta che sia quella giusta. Il vero volto della vita Fatto il primo passo della fede, le opere scaturiscono di conseguenza. "Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio". La fede in Gesù ci rende autenticamente vivi, e in grado di operare, non per il nostro orgoglio, non per mascherare il nostro peccato, ma per manifestare l'amore di Dio. PRIMA LETTURA "Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà...". In poche righe si ripercorrono secoli di storia del popolo di Israele, con uno sguardo complessivo che mira a trovarne il senso. "...Mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli...": l'infedeltà a Dio è la caratteristica che emerge costantemente e ostinatamente. Il redattore ha cura di far notare come non si possa attribuire a Dio nessuna colpa: i profeti premurosamente inviati per far ravvedere il popolo non sono stati ascoltati. "Si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole..." il rifiuto dell'Alleanza e della Parola di Dio conduce direttamente il popolo al fallimento, alla distruzione del tempio di Gerusalemme, alla deportazione in terra straniera. "... Attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia...": la parola profetica che annunziava il castigo si trasforma in parola di speranza. L'esilio dimostra tragicamente che il profeta di sventura aveva ragione; cominciano quindi a fidarsi anche degli oracoli di salvezza, che annunciano il ritorno alla terra promessa. "Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta". Nella Bibbia ebraica, in cui il libro delle Cronache è l'ultimo libro, questa è la frase conclusiva, il finale della storia. Ma non è una conclusione vera e propria: la storia rimane aperta, e interpella il lettore: vuoi partire anche tu verso Gerusalemme? La storia di salvezza della Bibbia non è conclusa, e ci invita a diventarne parte. Oggi tante persone, pur senza essere direttamente coinvolte, sperimentano l'angoscia della guerra, solo per il fatto di vederla in televisione, o di leggerla sui giornali. La Parola di Dio è un invito alla speranza. Anche dalla catastrofe dell'Esilio il popolo si è risollevato. Nessun evento, per quanto catastrofico, può farci perdere la speranza in Cristo, morto e risorto per noi. SECONDA LETTURA "Da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con Cristo": ciascuno di noi, per l'apostolo, è come morto, a causa del peccato. Ciascuno di noi sperimenta nella sua vita personale l'esperienza drammatica del popolo di Israele, incapace di essere fedele all'Alleanza con il suo Dio. Solo la risurrezione di Gesù offre a ciascuno la possibilità di un'esistenza rinnovata. "Per grazia infatti siete stati salvati": questa salvezza è frutto unicamente della benevolenza di Dio, "ricco di misericordia". "Ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene": il "vantarsi", nel linguaggio paolino, indica la presunzione dell'uomo di procurarsi una qualche forma di salvezza indipendentemente da Dio. L'uomo che ha questa pretesa cade inevitabilmente nella trappola dell'orgoglio, e ricade così nelle spire del peccato. "Creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto...": qui si allude alla creazione e alla rigenerazione, che rende l'uomo di nuovo capace di compiere le opere buone in cui si esprime la sua natura. Le opere non sono escluse dal discorso; solo vengono per ultime. Prima deve esserci la rigenerazione che proviene da Dio. |