Omelia (30-03-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il giudizio e il vero bene La celeberrima opera di Dostojievsky dal titolo "I fratelli Karamazov" contiene l'episodio illuminante e singolare di un dialogo fra un giovane ateo e un fratello seminarista; il primo chiede al secondoo come sia possibile l'esistenza di un Dio amore e provvidente di fronte allo scenario sconcertante di tanta miseria e di tanta sofferenza nel mondo. Il giovane seminarista risponde che tutto queso malessere mondano Dio lo fa' ancora suo: è lui che soffre nell'umana sofferenza perché Egli medesimo ha vissuto i patimenti della croce. A tal punto il fratello miscredente non riesce più a ragionare... E un'altra riflessione in questi giorni mi è sovvenuta in occasione di una predicazione intorno al tema dell'arresto di Gesù nei vangeli, il cui testo ho già inviato a parecchi membri delle varie liste. Esso è ancora a disposizione per chi lo desideri e voglia farmene richiesta in privato al mio indirizzo. Ciò che mi ha fatto riflettere in questa circostanza è stata l'osservazione di una signora che, avvicinandomi al termine della liturgia mi ha detto: "Padre, Lei ha sottolineato come l'arresto di Gesù è stato possibile solo perché esso rientrava nei piani di salvezza da parte di Dio e che il vero protagonista della cattura è stato lo stesso Gesù che non ha esitato a farsi prendere, conscio che quella era l'ora delle tenebre in cui il maligno imperversava nel cuore dei suoi aguzzini... Se Gesù si è fatto catturare, io vedo in questa guerra che Gesù si offre ancora una volta oggi al martirio volontariamente, nella carne di tante vittime innocenti..." Si! Di fronte all'assurdità e soprattutto all'inutilità di un tale spargimento di sangue che non potrà mai essere giustificato dalla storia e dalla morale, piuttosto che dubitare della presenza di Dio occorre osservare come ancora una volta si rinnova la Passione di Crsito, la sua sofferenza che si rende evidente nel grido di dolore e nelle pene di tanta gente che muore sotto le bombe o è costretta a privazioni e precarietà indescrivibili. Dio non può certo volere la morte di tante vittime innocenti. Semmai, lui soffre e rinnova il suo abbandono da parte di Dio nella croce nelle vestigia dell'irrazionalità e del mancato buon senso di pochi, oligarchici, irresponsabili. Ma quel che è più sconcertante è il fatto che codesto conflitto dalla rilevanza mondiale attesti alla realtà di un'umanità autolesionista che nella propria cultura egoistica tende a rovinare se stessa con le proprie mani nella scelta di soluzioni belligeranti a determinati problemi che in fondo(di fatto) non esistono. per dirla con la liturgia odierna, questa guerra è in ondo la conseguenza di una scelta di "tenebre" optata di fronte alla possibilità della "luce" e che per ciò stesso non potrà che risultare lesiva per chi l'ha operata. "Rifiutare la luce" infatti che altro vuol dire se non illudersi di poter camminare al buio senza cliccare sull'interruttore, tentando invano di eludere tutti gli ostacoli che si trovano nella stanza non illuminata? Se però nella stanza vi è uno spigolo o un corpo contundente, certo un ginocchio vi sbatterà... Tale e tanto è l'assurdo autolesiosnismo dell'uomo che si illude di vivere lontano dalla salvezza divina!! Proviamo infatti a considerare le letture di questa domenica con ordine e partiamo dalla seguente considerazione: Quando si vuole realmente bene ad una persona è evidenta che si cerca sempre e dovunque il SUO VERO BENE. Ragion per cui non sempre la si potrà assecondare nelle sue incondizionate richieste, nelle pretese e nei capricci né le si darà sempre e comunque più di quanto essa merita; piuttosto, si cercherà di provvedere al raggiungimento del suo BENE REALE, ricorrendo anche alle privazioni, alle punizioni, ai sacrifici imposti, qualora tali espedienti debbano risultare necessari. Per estensione, non è tanto utile dare a chi ha fame un pezzo di pane, quanto piuttosto procurargli un lavoro affinché possa procurarsi sempre il pane con le proprie forze; e non è detto che avrai mostrato di volere bene ad un bambino se lo avrai fatto contento con un gelato o con una caramella. Ed è proprio questa l'attitudine di Dio Amore nei riguardi dell'umanità: procurare il bene e la realizzazione del suo popolo anche quando si debba fare ricorso a degli espedienti coercitivi di punizione. Nella prima Lettura, tratta dal secondo libro delle Cronache, il popolo di Israele si trova ad essere oggetto di un emendamento punitivo da parte di Dio a motivo della sua insensibilità ni confronti delle parole dei profeti: per la durezza del loro cuore e per le loro beffe, gli Israeliti subiranno la pena dell'esilio babilonese. Tuttavia la punizione e il giudizio non sono l'ultima parola nella mentalità del Signore, ed è per questo che, una volta disciplianto, il suo popolo d'Israele farà ritorno in patria.Intanto in terra straniera il popolo ha potuto riflettere sulle proprie malefatte e sulle sue indifferenze nei confronti dei portatori della divina parola e così cambiare atteggiamento e criteri di comportamento. E allora ne è valsa la pena! Il popolo ha subito non già l'ira di Dio o la sua spietatezza, ma si è avvalso di una sana pedagogia. Inoltre, chi vuole bene a una persona sarà sempre disposto a sacrificarsi per essa: un padre di famiglia per quanto severo e intransigente possa essere con i propri figli, non ometterà mai di lavorare e di sacrificarsi per il loro mantenimento e in vista del loro avvenire, anche quando questo dovesse comportare il rischio di una grave malattia o addirittura la probabilità della morte. E così Dio Padre "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la via eterna"; vale a dire: ha sacrificato il proprio Figlio sulla croce, per innalzarlo ai fini della nostra salvezza Ciò dimostra ancora una volta che il giudizio e la punizione non sono caratteristiche definitive dell'agire divino. Piuttosto che un Dio iracondo e vendicativo Gesù ci presenta un Padre misericordioso provvidente che procura il bene dell'uomo con tutti i mezzi e con il sacrificio di se stesso sulla croce. In virtù di tutto questo, come è possibile poter parlare di un castigo o di severo giudizio di condanna da parte di Dio se è vero che Dio ha mostrato di essere sacrificato per l'uomo? Rispondiamo senza esitazione che è piuttosto l'uomo a volersi autocondannare nella propria scelta di peccato e di rifiuto della grazia di Dio operante in Gesù Cristo; nella misura in cui si confida nell'illusorietà delle proprie forze e dei propri mezzi e ci si avventura nella smania di protagonismo e di autoesaltazione nel volontario rifiuto della luce e della grazia di Ciso, non ci si può che autodanneggiare in un giudizio di condanna rivolto a se medesimi. Ed è questo quel che sta mostrando "L'inutile strage dei nostri giorni". |