Omelia (14-01-2007)
don Ezio Stermieri
Educare all'amore

Sono tre le'epifanie' di Gesù. La prima lo manifesta luce e salvezza per tutti gli uomini che, come i Magi, camminano verso di Lui. Egli è la nostra pace! La seconda al Giordano lo manifesta come il Missionario di Dio inviato, perché in Lui l'umanità si riconosca la sua figliolanza con Dio e la fraternità che da Lui prende inizio. La terza manifesta il contenuto della sua missione fin dall'inizio.
A Cana dà compimento alla sua venuta: la nuova creazione. Egli è venuto a restituire all'uomo e alla donna la capacità di essere famiglia. Egli ne è il sapore e la gioia, il vino nuovo, serbato fino alla fine e, in questo dice Giovanni "manifesta la sua gloria" perché la Gloria di Dio è l'uomo vivente e ha dato, continua Giovanni, inizio alla fede in Lui.
Il ritorno al paganesimo non poteva che scardinare la famiglia basata, non tanto sulla discontinuità umana nell'amore, ma nel suo amore, la sua parola sorgente di tutti quei valori che sono necessari alla famiglia, a quell'amore che va oltre alla reciproca gratificazione che fa storia, genera la vita, educa ai doveri e diritti di ogni uomo che si apra alla società, si fa attesa, aiuto reciproco, diventa a poco a poco una "carne" sola...
Ritornando ai diritti della soggettività e negando la durata dell'alterità, ha posto nel singolo e nella sua intermittenza il criterio dell'amore, ha posto nell'istintività la misura dell'amore e nella spontaneità il criterio per stabilire il perdurare dell'amore, portando la famiglia ad un fattore "mobile": non la vuole chi la dovrebbe garantire e la vuole chi ne scopre garanzie giuridiche e possibili rivendicazioni.
E' diventato allora difficile educare all'amore e si è pensato che la informazione sulle tecniche e i rischi dell'amore potesse sostituire l'arte di imparare ad amare. Cristo, dando inizio alla sua missione, all'insorgere di ogni paganesimo, di ogni vita personale e sociale, a prescindere dalle leggi che Dio, ha posto nell'amare, ricomincia il mondo nuovo dalla famiglia. La pone come meta educativa di ogni persona, la mette alla base della società, ne fa criterio di individuazione della sua chiesa, la indica come possibilità di sopravvivenza e coesistenza della famiglia umana: siamo fratelli.
Quanto Isaia aveva visto di una umanità abbandonata perché aveva abbandonato Dio, ma di nuovo "sposata" e dunque nella gioia, al di là di ogni ingiusta solitudine, in Cristo ha la sua concretezza ed il suo inizio.
E Paolo ci da un'immagine dell'essere famiglia in ogni ordine e grado dell'esistenza con quella pluralità che trova nell'amore, nel servizio, nel bene comune la sua armonia. E anche oggi lo Spirito è all'opera. Se noi prendiamo seriamente il nostro essere chiesa famiglia educheremo ad amare i nostri giovani e immetteremo nell'umanità cellule - famiglie capaci di risanarla pronti a riconoscere che il Gange dei diritti discende dall'Imalaia dei doveri.