Omelia (29-06-2008)
don Marco Pratesi
Nel Nome di Gesù Cristo, àlzati!

«Guarite gli infermi e dite loro: "Il regno di Dio è vicino a voi"» (Lc 10,9). Il capitolo 3 degli Atti racconta la messa in opera di questo mandato di Gesù: lo storpio viene risanato (vv. 1-10) e successivamente Pietro tiene un discorso nel portico di Salomone (vv. 11-26). Parola e azione, evangelo e guarigione non sono separati nell'esperienza di Gesù e degli Apostoli. Il Regno di Dio è salvezza integrale dell'uomo, perché la vita è in sostanza una.
Lo storpio rappresenta bene la situazione umana bisognosa di salvezza: inerte, privo di forze, passivo, in disarmonia col proprio stesso corpo. Con gli altri si è instaurato un rapporto di tipo assistenzialistico, si aspetta soltanto elemosina. Rimane fuori dal tempio, in una comunione con Dio che non riesce a essere piena e a illuminare la vita.
A fronte di ciò sta non tanto il singolo cristiano, quanto piuttosto la comunità, la Chiesa, rappresentata non per caso da due, Pietro e Giovanni. A prima vista il ruolo di Giovanni è superfluo: non fa né dice proprio niente! "Li mandò due a due" (Lc 10,1): ancora una volta la Chiesa raccoglie l'insegnamento del Maestro. La missione non si fa nel protagonismo, ma nella comunione ecclesiale.
I due stabiliscono a loro volta un rapporto con l'uomo storpio. Lui che non li aveva nemmeno guardati in faccia - il massimo che si attendeva era l'elemosina - riceve da Pietro l'invito a guardare a loro, riavendo così lo status di persona, capace e bisognosa di relazione interpersonale, senza di che non c'è vera salvezza.
La relazione stabilita non è fondata sul rapporto da ricco a povero, ossia sul criterio mondano della ricchezza (di vario tipo) come salvezza: Pietro si proclama povero, ma proprio da questa sua povertà nasce, come per Gesù, la sua capacità di arricchire (cf. 2Cor 8,9). Paradosso davvero divino, che Paolo esprimerà in modo caratteristico: "Poveri, facciamo ricchi molti" (2Cor 6,10). È lo status dell'Apostolo, e più in generale del cristiano.
Stando nella giusta relazione con Gesù, Pietro può agire efficacemente nel suo Nome, e operare la guarigione. L'episodio dei figli di Sceva (At 19,11-17) mostra come non si possa maneggiare questo Nome a proprio piacimento, non si tratta di magia, e il discorso seguente rappresenta la catechesi di Pietro, volta a aprire il mistero della salvezza offerta nel Nome di Gesù: "Per la fede nel Nome di Gesù, il suo Nome ha fortificato quest'uomo che vedete e conoscete; ed è la fede che si ha per mezzo di lui, che gli ha dato questa integrità alla presenza di voi tutti" (3,16).
Lo storpio guarisce, la vita si apre alla danza e alla gioia, può entrare nel tempio a lodare Dio insieme ai fratelli.
Quanto detto vale anche per Paolo. Sono già emersi diversi punti di contatto, ma si osservi come l'episodio della guarigione dello storpio a Listra (At 14,8-10) presenti notevoli analogie con questo passo (si metta a confronto 3,2 con 14,8; 3,4 con 14,9; 3,8 con 14,10). L'intenzione di Luca è trasparente: Paolo realizza tra i pagani quanto Pietro ha realizzato tra i giudei.
L'episodio è denso di insegnamenti per l'oggi ecclesiale. Non possiamo eludere la domanda di salute che emerge con forza nell'uomo moderno, occorre confrontarsi col male. Esperienza di rottura ai vari livelli, esso provoca la comunità cristiana a riscoprire la propria identità, a dare risposte non scontate e convenzionali, realmente salvifiche solo se frutto non di sapienze e risorse umane, ma della comunione col Nome di Gesù vissuta nella comunione ecclesiale.