Omelia (29-06-2008) |
padre Raniero Cantalamessa |
Riconciliamoci con la nostra Chiesa Il Vangelo di oggi è il Vangelo della consegna delle chiavi a Pietro. Su di esso la tradizione cattolica si è sempre basata per fondare l'autorità del papa su tutta la Chiesa. Qualcuno potrebbe dire: ma che c'entra il papa con tutto questo? Ecco la risposta della teologia cattolica. Se Pietro deve fungere da "fondamento" e da "roccia" della Chiesa, continuando ad esistere la Chiesa deve continuare ad esistere anche il fondamento. È impensabile che delle prerogative così solenni ("a te darò le chiavi del regno dei cieli") si riferissero solo ai primi venti o trent'anni di vita della Chiesa e che esse sarebbero cessate con la morte dell'apostolo. Il ruolo di Pietro si prolunga dunque nei suoi successori. Per tutto il primo millennio, questo ufficio di Pietro è stato riconosciuto universalmente da tutte le Chiese, anche se interpretato alquanto diversamente in oriente e in occidente. I problemi e le divisioni sono nati con il millennio da poco terminato. E oggi anche noi cattolici ammettiamo che non sono nati tutti per colpa degli altri, dei cosiddetti "scismatici": prima gli orientali, poi i protestanti. Il primato istituito da Cristo, come tutte le cose umane, è stato esercitato ora bene ora meno bene. Al potere spirituale si è mescolato, via via, un potere politico e terreno, e con esso degli abusi. Il papa stesso, Giovanni Paolo II, nella lettera sull'ecumenismo, Ut unum sint, ha prospettato la possibilità di rivedere le forme concrete con cui è esercitato il primato del papa, in modo da rendere di nuovo possibile intorno ad esso la concordia di tutte le Chiese. Come cattolici, non possiamo non augurarci che si prosegua con sempre maggiore coraggio e umiltà su questa strada della conversione e della riconciliazione, specie incrementando la collegialità voluta dal concilio. Quello che non possiamo augurarci è che il ministero stesso di Pietro, come segno e fattore dell'unità della Chiesa, venga meno. Sarebbe un privarci di uno dei doni più preziosi che Cristo ha fatto alla sua Chiesa, oltre che contravvenire alla sua precisa volontà. Pensare che basti alla Chiesa avere la Bibbia e lo Spirito Santo con cui interpretarla, per poter vivere e diffondere il Vangelo, è come dire che sarebbe bastato ai fondatori degli Stati Uniti scrivere la costituzione americana e mostrare in se stessi lo spirito con cui doveva essere interpretata, senza prevedere alcun governo per il paese. Esisterebbero ancora gli Stati Uniti? Una cosa che possiamo fare subito e tutti per spianare la strada alla riconciliazione tra le Chiese è cominciare a riconciliarci con la nostra Chiesa. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa": Gesù dice la "mia" Chiesa, al singolare, non le "mie" Chiese. Egli ha pensato e voluto una sola Chiesa, non una molteplicità di Chiese indipendenti o, peggio, in lotta fra di loro. "Mia", oltre che singolare, è però anche un aggettivo possessivo. Gesù riconosce dunque la Chiesa come "sua"; dice "la mia Chiesa" come un uomo direbbe: "la mia sposa", o "il mio corpo". Si identifica con essa, non si vergogna di essa. Sulle labbra di Gesù la parola "Chiesa" non ha nulla di quei sottili significati negativi che vi abbiamo aggiunto noi. C'è, in quell'espressione di Cristo, un forte richiamo a tutti i credenti a riconciliarsi con la Chiesa. Rinnegare la Chiesa è come rinnegare la propria madre. "Non può avere Dio per padre - diceva san Cipriano - chi non ha la Chiesa per madre". Sarebbe un bel frutto della festa dei santi apostoli Pietro e Paolo se imparassimo a dire anche noi, della Chiesa cattolica a cui apparteniamo: "la mia Chiesa!" |