Omelia (29-06-2008)
don Daniele Muraro


Cinque giorni dopo la festa del nostro patrono san Giovanni Battista, la Chiesa ci propone la solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo.
Essi sono accomunati nel ricordo liturgico sebbene i loro caratteri siano stati molto diversi e le loro vicende personali si siano sviluppate in maniera originale l'una rispetto all'altra.
Li unisce il luogo e la data della morte, per entrambi avvenuta a Roma intorno al 64 (o 67), durante la persecuzione dell'Imperatore Nerone. San Pietro, come ci riporta la tradizione, fu crocifisso, ma a testa in giù, come ogni tanto si usava fare allora. A san Paolo invece, che era cittadino romano dalla nascita e quindi godeva di maggiori diritti, fu tagliata la testa. Anche per questo motivo egli viene rappresentato con la spada, mentre a san Pietro vengono messe in mano le chiavi.
Nel caso di san Paolo la spada si riferisce anche al suo modo di fare appassionato e soprattutto simboleggia la parola della sua predicazione che si fece strada nel mondo pagano e aprì ampi squarci nella contemplazione del mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo. Infatti nelle raffigurazioni insieme alla spada san Paolo spesso con l'altra mano regge un libro: quello contenente le sue lettere e in genere tutta la Bibbia.
A san Pietro invece le chiavi furono metaforicamente consegnate dallo stesso Gesù Cristo. Si tratta delle chiavi del Regno del cieli. Nell'antichità quando le città erano difese da ampie e robuste mura, venuta la sera, solo chi si trovava all'interno del perimetro di dette mura poteva considerarsi al sicuro e in segno di sottomissione le chiavi di una città venivano consegnate al Re vincitore.
Dopo la professione di fede di Cesarea di Filippo, Gesù non dà subito le chiavi a san Pietro, ma le promette per il futuro, quando Egli stesso avrà inaugurato questo Regno con la vittoria sul male e sulla morte attraverso la sua passione e resurrezione.
Secondo la parola di Gesù, spetta dunque a san Pietro di aprire e favorire l'ingresso nella comunità dei salvati che è la Chiesa.
Nell'episodio di Cesarea di Filippo, Gesù addirittura cambia il nome al suo apostolo che per nascita faceva Simone. Per Lui e per tutti gli altri sarà Pietro, in ebraico Kefa', (appunto Pietra) fondamento sicuro della Chiesa.
Anche Paolo è un nome di elezione: in realtà egli si chiamava Saulo, come il Re Saul. Cambiò il nome in Paolo in segno di umiltà. Infatti il nome latino Paulus proviene paucus cioè poco e significa piccolo, misero.
Sia Pietro che Paolo sono chiamati Apostoli. Noi sappiamo dai Vangeli che gli Apostoli scelti da Gesù furono Dodici e presentandone l'elenco san Matteo tiene a sottolineare: primo, Simone, chiamato Pietro.
Questo primato è riconosciuto dallo stesso san Paolo quando dice: "Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici."
Qui san Paolo si riconosce debitore per quanto riguarda il suo annuncio nei confronti di chi lo ha preceduto nella fede e nella sequela di Gesù, in primo luogo san Pietro. Egli sa di non rientrare nel numero dei Dodici (Giuda il traditore fu sostituito con Mattia).
"In seguito - continua san Paolo, siamo nella prima lettera ai Corinti - apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto." Qui san Paolo lascia intendere che possono essere chiamati Apostoli, cioè mandati dal Signore, anche altri oltre ai Dodici: per esempio alcuni collaboratori che troviamo negli Atti degli Apostoli, come Barnaba, Apollo e altri, ma egli a motivo del suo passato egli si definisce un Apostolo "venuto male".
"Io infatti - termina san Paolo - sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me." Egli dunque si è conquistato il titolo di Apostolo con i suoi viaggi e le fatiche affrontate per Gesù, ma sa che per primo Gesù Cristo lo ha afferrato e lo ha cambiato interiormente.
L'apparizione a Saulo sulla via di Damasco ha qualcosa di unico. Gesù risorto si era mostrato sempre solo a chi già da prima aveva creduto in Lui. Nel caso del futuro san Paolo Gesù fà un'eccezione e il trauma è così forte per Saulo che egli rimane cieco e senza mangiare per tre giorni. In quel momento san Paolo capisce che Gesù è il Signore, quello preannunciato da tutte le Scritture, non solo, ma che Egli vive nella Chiesa e perseguitare i cristiani è come fare del male a Lui stesso.
Ci volle del coraggio ai primi cristiani per accettare al loro interno uno come Saulo che fino a quel momento aveva fatto di tutto per incarcerarli e farli sparire dalla circolazione. Se san Pietro dopo il suo tradimento riceve la riabilitazione direttamente da Gesù, san Paolo ha bisogno che venga un discepolo di nome Ananìa per imporgli le mani e battezzarlo.
Anche san Paolo però come san Pietro, per il Signore, è uno "strumento eletto", cioè uno dotato di un incarico speciale, un Apostolo, e come san Pietro anche san Paolo è arrivato fino in fondo alla sua missione.
Per questo li festeggiamo assieme e assieme invochiamo la loro intercessione. Ancora oggi la Chiesa riconosce in san Pietro l'elemento della sua unità visibile mentre in san Paolo possiamo vedere la possibilità di appropriarsi personalmente della fede.
San Pietro col nome Kefa ricevuto da Gesù fa venire in mente il sommo sacerdote Càifa', quello che parlava per tutto il popolo davanti a Dio e per lui Pietro sale unanime la preghiera dei fedeli (cfr Atti); san Paolo col suo nome che abbiamo detto significa "poco" ci testimonia che Dio sa fare grandi cose con chi si affida a Lui.