Omelia (06-04-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il propizio e l'ultimo Mettiamo il caso che si debba affrontare una discussione per la tesi di laurea o un importantissimo esame univeritario, che ci riempie di angoscia fino all'ultimo istante... Che cosa accade? Si guarda ripetutamente l'orologio per poter vedere quando giunga l'"ora" di quel fatidico appuntamento e ci si predispone con tensione e nervosismo. Tuttavia quando tale ora è giunta la si vorrebbe rimandare, procrastinare, per poter avere ancora il tempo per mettere a punto ogni argomento... insomma si freme. Ad un certo punto però arriva il "momento propizio" nel quale bisogna "buttarsi a sapofitto", decidersi. Ebbene quel momento nessun orologio te lo indicherà mai: esso dipende da te e dal tuo coraggio nel prendere la decisione fatidica. Il motivo di preoccupazione e di angoscia forse non è dovuto al pensiero su "come finirà quell'evento", quanto piuttosto alla paura su "come esso sarà svolto" (cosa mi domanderà il prof.? E se mi chiede questo o quello?). Tuttavia che cosa avviene dopo, cioè quando l'esame o discussione è superato con successo? Si esulta e ci si rasserena! Anzi, a volte si prova la sensazione di volerlo ripetere un'altra volta per poter esternare la propria sicurezza e capacità dialogica e ci si trova a rivolgere a se stessi la stessa osservazione che Pinocchio si rivolse ormai divntuo ragazzo in carne e ossa: "com'ero buffo quando ero burattino!"Cioè. come sono stato stupido a preoccuparmi per nulla. Questo è almeno quello che ha provato il sottoscritto in tanti anni di esami universitari tesi compresa: era sempre "un incontro di Don Abbondio con i bravi": nelle prime il prelato cervava di evitarli, ma una volta costretto a sentire che "questo matrimonio non s'ha da fare" allora voleva prolungare il suo colloquio con loro (Così scrive Manzoni) In questi casi occore invece agire senza esitazione, "agire adesso" consci che "il domani non arriverà mai" e pertanto vale la pena sfruttare il momento, ma soprattutto animati dalla consapevolezza di essersi preparati abbastanza e di non dover rendere conto ad alcun professore se no quello della propria coscienza e del proprio futuro professionale... Ebbene, proprio questo ha vissuto in modo analogo Gesù di fronte alla prospettiva della croce: qgli sapeva che era giunto il tempo delle tenebre in cui sarebbe stato arrestato e catturato, ma sapeva altrettanto che quello era il "momento propizio" in cui doveva "lanciarsi" per l'umanità, stabilito dal Padre e che la sua decisione libera e spontanea avrebbe dovuto portare a compimento. Certo come già accennammo la volta scorsa, questa è "l'ora delle tenebre" quella in cui il demonio imperversava su di lui; tuttavia essa sarà la matrice della "sua ora", nella quale Egli glorifichera il Padre suo. In tutti i casi, quello fu il momento in cui doveva "decidersi"e tutto affrontare liberamente per amore di Dio e dei fratelli. Certamente sentì paura e angoscia anche per la sua solitudine e per il pensiero del calice di sofferenza (la croce) che avrebbe subito, ma ciò non gli impedì di decidersi per la salvezza dell'umanità ben consapevole di non dover rendere conto né ai suoi catturatori né a Pilato, né tantomeno alla folla dei Giudei bensì al Padre Suo che per questo lo aveva mandato: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Fuggire questo istante doloroso sarebbe stato non soltanto motivo di vigliaccheria da parte sua ma anche un modo di sottrarsi all'obbedienza nei riguardi del Padre Suo che per lui aveva impostato tale disegno dalla croce alla resurrezione. In altre parole, se è vero che la croce, il dolore, i chiodi procurano sgomento e ansia nell'animo di Gesù Cristo non fu questo motivo sufficiente per cui egli si sentisse impedito dall'affrontare tutto ciò in vista della sottomissione al Padre. Tanto più che c'era un'altra nobile causa: l'amore per gli uomini e la necessità che questi fossero riscattati dalla schiavitù del peccato: che Dio sarebbe stato se avesse rifuggito questa dolorosa prospettiva che tuttavia lo porterà alla gloria della risurrezione? Invece anche in questo Gesù Cristo (Sia pure nella persona del Verbo Incarnato) mostra in modo lampante di essere lo stesso Dio che aveva liberato gli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto e aveva più volte rinnovato la sua alleanza con il popolo d'Israele. Noi abbiamo già fatto un esempio iniziale di che cosa possa significare tutto questo per noi. Aggiungiamo però un'altra osservazione: Gesù sta subendo l'ultima delle sue vicissitudini prima della resurrezione, seppure essa sia la più ardua e sconcertante: ebbene, nella Quaresima della nostra vita (e perché no? anche in quella del calendario liturgico) quante volte ci sarà capitato di dover affrontare una dolorosa esperienza assillante e repellente per poi scoprire che essa era... l'ultima, ovvero capitandoci la ricompensa, la gioia, la resurrezione? Oppure, quante volte ci sarà capitato di aver trascorso le ultime nottate in bianco prima dell'esame o della tesi. Sul momento no lo abbiamo considerato, macerto esse erano le ultime! Poi ci sarebbe stato il colloquio e il sollievo o comunqu non ci sarebbero state più notti sui libri. Ebbene, sulla scia di Gesù agonizzante e turbato nell'animo in questo scorcio di Quaresima che ci appropinqua più alla Pasqua tale dovrebbe essere il nostro pensiero: vivere ogni nostra angoscia e precarietà considerando che essa sia l'ultima... Non importa se non lo sarà ma intanto ci si pone questa prospettiva: una malattia atroce? Affrontarla e curarla nei suoi dolori fisici pensando che potrebbe essere l'ultima, che dopo potrebbe esserci la guarigione; una pena finanziaria? Lottare contro di essa con dovizia di intenti considerando che sarà l'ultima. poi avverrà la prosperità; un malessere morale, spirituale? Viverlo come se fosse l'ultimo, poi si uscirà dal tunnell... Tutto questo lenirà le pene e le sofferenze e, ultimo o non ultimo che sia, il nostro dolore indubbiamente ci meriterà la ricompensa, la gioia della resurrezione. Poiché tutto questo significa che ci saremo crocifissi con Cristo! E con Lui avremo meritato il destino di gloria e di esaltazione. Anche questo significa morire a se stessi: "Se il chicco di frumento non finisce sotto terra e non muore non porta frutto, se invece muore porta molto frutto". |