Omelia (06-04-2003) |
don Elio Dotto |
Attirati dal crocifisso «Vogliamo vedere Gesù». Così dicono quei Greci che sono saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua, secondo il racconto del Vangelo di domenica (Gv 12,20-33). Essi sono dei pagani che simpatizzano per la religione di Mosè, ma non sono entrati nel popolo dell'alleanza; stanno sulla soglia a vedere: ammirano, desiderano, ma insieme rimangono per molti aspetti perplessi. E appunto da questa loro dibattuta ricerca religiosa nasce il desiderio di «vedere» Gesù. Ma Gesù si sottrae alla ricerca dei Greci: non li incontrerà, non c'è tempo al momento, non è questo il tempo opportuno per quell'incontro. E infatti pochi giorni dopo Gesù sarà catturato e ucciso: verrà così condannato al silenzio prima di poter rispondere all'attesa e al desiderio di tutti gli uomini, e in particolare all'attesa di quei «buoni» pagani che – pure a tentoni – cercavano Dio. Eppure Gesù non considerò questo come un infelice e sfortunato destino. Non pregò il Padre chiedendo: «Salvami da quest'ora». Ma riconobbe che «proprio per questo sono giunto a quest'ora»; perché «se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Ecco, quello che accadde in quel tempo è anche quello che accade in ogni tempo. Anche oggi infatti molti Greci salgono per la festa. E cioè, anche oggi alla Pasqua cristiana si rivolge l'attenzione di molte persone che non sono discepoli, ma neppure sono del tutto estranei; persone simpatizzanti, che stanno sulla soglia. Essi magari cercano nella ricorrenza pasquale una parola di pace da contrapporre alla tante parole di guerra che hanno segnato queste ultime settimane. E forse anche noi – almeno in qualche momento – ci ritroviamo nell'atteggiamento spirituale di quei Greci: venuti per «vedere» Gesù, più che per rispondere ad una chiamata; desiderosi di una qualche indefinita speranza, più che disponibili a giocare la vita. In tal modo assomigliamo anche a quegli altri Greci che erano saliti all'Areopago di Atene per ascoltare l'apostolo Paolo. Pure loro ascoltavano Paolo volentieri, animati da una generica ma forte ricerca religiosa: ma quando sentirono parlare di risurrezione dai morti lo congedarono in fretta. E allora Paolo «si ritirò da loro» (Atti 17,33); esattamente come Gesù si ritirò da quei Greci che erano venuti a cercarlo a Gerusalemme. Perché davanti al Vangelo di Gesù non basta avere un generico desiderio di pace nel cuore; e neppure è sufficiente avere una qualche sete di speranza. Davanti al Vangelo di Gesù è necessario decidersi, riconoscendo la novità inattesa che esso promette. Il Vangelo di Gesù infatti non è una generica promessa di pace; e cioè, non è una parola buona che vagheggia un mondo migliore. Al contrario, il Vangelo di Gesù è una parola che trapassa i limiti consueti, una parola che strappa i cieli e da oltre i cieli giunge sulla terra per annunciare agli uomini che la loro speranza deve elevarsi oltre la terra. E dunque non è sufficiente il desiderio di vedere Gesù, ma ci è richiesto di lasciarci attirare da lui, abbandonando le nostre speranze piccole e scontate in favore della sua speranza grande e nuova. In altre parole, ci è richiesto di fissare lo sguardo su Gesù crocifisso: che era sì piantato sulla terra, oppresso da una sofferenza infinita; ma che tuttavia seppe sperare nel Padre dei cieli nonostante tutto, al di là di ogni umana evidenza. |