Omelia (06-04-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Vogliamo vedere Gesù La richiesta dei Greci a Filippo è la richiesta di tutti noi. Quello che veramente desideriamo è un contatto autentico con il Cristo. Il Vangelo non può restare per noi soltanto un'idea, una dottrina, o peggio ancora appiattirsi a ideologia sociopolitica di destra o di sinistra, o ridursi a pia esecuzione di pratiche e comandamenti. Vogliamo incontrare Gesù, la sua persona; se vogliamo ideologie, bei discorsi, manuali fai da te abbiamo altri posti dove andare. "...andò a dirlo ad Andrea..." Nel brano leggiamo di una strana trafila che porta dai discepoli a Gesù stesso, che alla fine non si fa neppure incontrare dai Greci. O perlomeno, l'evangelista non lo racconta. Riporta invece le sue parole, che rappresentano il percorso da fare per arrivare a lui. E' il suo percorso di vita, il cammino del Maestro, che deve diventare cammino del discepolo. Per noi che le ascoltiamo, a venti secoli di distanza, le parole di Gesù sono essenziali: è la via di accesso privilegiata alla sua persona, ora che non possiamo vederlo come l'hanno visto gli apostoli, i discepoli, i suoi contemporanei. Ma nella sua parola abbiamo ugualmente la possibilità di un incontro autentico con lui. "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo..." Gesù parla di un'ora, di un momento decisivo. Sappiamo che si tratta dell'ora della sua Passione, della sua morte. A causa di quel momento, Gesù sembra rifiutarsi di incontrare i Greci, forse perché rischiano di farsi un'idea incompleta di lui. La vera rivelazione e la vera conoscenza di Gesù si hanno solo a partire dal momento della croce: è nella croce che avviene, secondo l'evangelista Giovanni, la "glorificazione". La "gloria", nel Vangelo di Giovanni, è uno dei termini chiave. Esprime la bellezza e l'importanza salvifica della persona di Gesù, nel momento in cui si rivela, si fa accessibile, può essere riconosciuta. La gloria è dunque lo svelamento di una realtà nascosta, che ad un certo punto si manifesta in tutto il suo splendore. L'affermazione paradossale è proprio questa: il momento della gloria è la croce. Proprio il momento dell'abbrutimento e dell'umiliazione è interpretato come la manifestazione della bellezza e della grandezza dell'amore di Dio nella persona del suo Figlio. "Se il chicco di grano non muore..." La parabola del chicco di grano aiuta a comprendere meglio che cosa si intenda per "glorificazione". Il chicco infatti è una realtà nascosta, e la sua gloria è nel fruttificare. Non c'è paragone tra la piccolezza del chicco di grano, e lo splendore delle spighe mature. Gesù però invita a soffermarsi su una fase decisiva: il chicco deve "morire", marcire nel terreno per poter dare frutto. Anche questo momento fa parte della "gloria" del chicco di grano. "Se uno mi vuol servire, mi segua". La parabola del chicco di grano traccia il cammino del discepolo, il solo in cui sia possibile incontrare Gesù. Non è una pura questione di conoscenza: occorre rifare lo stesso percorso. L'evangelista avverte che il protagonista resta sempre lui: non siamo noi i protagonisti. Possiamo tenergli dietro. E' qui che il discorso si fa spinoso. Subito si aggiunge: "Chi ama la propria vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna". I Greci volevano vedere Gesù. Gesù risponde che la vera cosa che conta è il "seguirlo", non il restare spettatori. "Ora l'anima mia è turbata". La proposta di Gesù può fare paura. Può apparire troppo impegnativa. Ma anche nelle nostre paure, Gesù ci precede, e ci invita a seguirlo. La preghiera di Gesù parte dal turbamento, e arriva alla fiducia e all'abbandono al Padre: "Padre, glorifica il tuo nome". Si compie così il passaggio dalla gloria di Gesù alla gloria del Padre. Il gesto di Gesù diventa rivelazione dell'amore di Dio. Il momento della gloria umiliata sulla croce è il momento in cui risplende la gloria nascosta del Padre. "Ora è il giudizio di questo mondo" Il brano si conclude con un invito a compiere una scelta. La croce diventa giudizio, criterio di azione, criterio di discriminazione. Ciascuno di noi è invitato a schierarsi, a favore o contro Gesù; deve scegliere se lasciarsi attirare da lui, o rimanere nascosto nelle "tenebre". PRIMA LETTURA "Io concluderò un'alleanza nuova...": il concetto di alleanza è uno dei punti cardine dell'esperienza dell'antico Israele. Il popolo concepiva il suo rapporto con Dio nei termini di un trattato di "alleanza", vale a dire un impegno giuridico solenne. "Non come l'alleanza che conclusi con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal Paese d'Egitto...". Esistevano vari modi di concepire l'alleanza: nel libro dell'Esodo troviamo un patto bilaterale, in cui Dio si impegna a fare di Israele il popolo di sua proprietà speciale, e da parte sua Israele deve impegnarsi a seguire la Legge di Dio, il cui fondamento è l'unicità di Dio. L'espressione "prendere per mano" indica un rapporto di figliolanza tra Dio e il popolo: Dio è come un genitore (padre o madre) che insegna al figlio a camminare. "Un'alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore". L'alleanza era stata costantemente violata dall'infedeltà del popolo, fino alla catastrofe finale dell'esilio. Per questo nel libro del profeta Geremia e in quello di Ezechiele troviamo l'esigenza di una nuova alleanza, un rinnovamento profondo del legame tra Dio e il popolo. Il popolo è rimasto bambino, incapace di giungere alla fase adulta del suo rapporto con Dio; per cui deve essere Dio stesso colui che interviene e crea una nuova situazione. "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore...": il profeta, forte della sua esperienza di ascolto della Parola di Dio, situa la nuova Alleanza e la nuova Legge nell'interiorità dell'uomo. L'esperienza di Israele ha mostrato ampiamente che ciò che deve cambiare è il cuore, la coscienza del popolo. Non si tratta di imporre nuove costrizioni, nuovi vincoli, ma di un rinnovamento profondo che parte dall'interno. "Tutti mi conosceranno": il segno della Nuova Alleanza è una nuova conoscenza di Dio, che permette di realizzare il primo e fondamentale comandamento: l'adorazione esclusiva del Dio unico. SECONDA LETTURA "Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime...": abbiamo qui una riflessione teologica su ciò che i Vangeli presentano in forma narrativa, nell'episodio della preghiera al Getsemani. L'autore della lettera agli Ebrei intende approfondire il significato teologico di quella preghiera, che non viene intesa semplicemente come paura della morte. "... e fu esaudito per la sua pietà". Alla luce dei Vangeli, questa affermazione ci sembra strana. Nel Vangelo di Marco, non si ha alcuna risposta di Dio. In Luca si parla di un angelo che consola Gesù. Ma non si fa accenno ad un esaudimento della preghiera. In che cosa consiste questo esaudimento? Che cosa ha chiesto Gesù nella preghiera? L'autore della lettera agli Ebrei non lo precisa. Però mette in evidenza l'atteggiamento di "pietà" di Gesù: si tratta di un atteggiamento di rispetto filiale, di fiducia, di accettazione della volontà del Padre. Con questo si vuol alludere al fatto che la preghiera di Gesù, come anche leggiamo nei Vangeli, si trasforma nel tempo: parte come richiesta di salvezza, dalla morte, arriva ad essere accettazione della morte in favore dei fratelli. Tuttavia il Padre esaudisce in profondità la preghiera di Gesù: egli arriverà a vincere la morte, ma solo passando attraverso la Passione. "Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì": Gesù non aveva bisogno, essendo Figlio, di imparare l'obbedienza; ma compie questa esperienza in favore dell'uomo, diventando "causa di salvezza eterna per coloro che gli ubbidiscono". |