Omelia (15-08-2008)
Marco Pedron
Modelli di donne

Questa festa nasce con la definizione del dogma dell'Assunta da parte di Pio XII il 1 Novembre 1950. In questo dogma si afferma che Maria è stata presa (in latino assunta, assumptus) in cielo in corpo e anima.
I primi cristiani si ponevano questa domanda: "Ma, Maria che fine ha fatto?". In effetti, leggendo nel vangelo, noi non troviamo scritto niente su Maria. Nel vangelo non c'è scritto cosa le sia successo, cos'abbia fatto, dove sia andata o come sia morta. Questa festa dà una risposta: "Maria è in cielo".
Assumptus non dice che Maria sia stata assunta in cielo nel senso che non sia neppure morta. Dice solo: "Alla fine della sua vita terrena, la Madonna è stata presa (assumpta) in cielo". Cioè, non dice: "Maria non è neppure morta", ma dice: "Maria è in Dio". Maria è il primo uomo che è in Dio. Maria è la nostra speranza perché Dio non ama solo Maria, ma ama anche me ed anche te, e ci vuole tutti con Lui.
Von Balthasar diceva: "Se l'inferno esiste è vuoto". Cioè: ma vuoi proprio che Dio il quale mi ama, mi ha creato, ha sofferto per me e vuole che anch'io liberamente lo riami, poi non mi voglia con sé?
Allora questa festa dice: "Maria si trova ora là dove un giorno saremo tutti: in Dio". Dio l'ha presa, assunta con sé e, se lo vorremo, un giorno farà lo stesso con noi. In quel giorno ci dirà: "Vuoi che io ti prenda (assumptus) con me per sempre? Non ne hai i meriti e non te lo sei conquistato tu con le tue buone opere. Non guardo a chi sei o a cosa hai fatto; non ti sei guadagnato la salvezza: te la offro. Vuoi stare con me per sempre?". E se noi gli risponderemo di sì, Lui ci prenderà per sempre.

Il vangelo di oggi è un vangelo di donne: non vi sono uomini in giro e questo è strano.
Altre volte nella Bibbia vi sono delle donne sterili: Sara, Rebecca, Rachele, la madre di Sansone, donne la cui importanza era dovuta alla capacità di dare un figlio maschio al marito ed al suo popolo. La funzione, la dignità, l'importanza della donna sembrava (essere legata alla capacità di) generare figli maschi.
Ma qui Elisabetta, ed è un cambio, ha valore prima di tutto perché è di sostegno a Maria. Elisabetta non è più solo "grande" perché, anche se sterile, partorisce un maschio (il Battista), ma è grande prima di tutto perché accoglie nella sua casa e nel suo cuore un'altra donna, dà fiducia e protezione a chi ne ha bisogno.
Maria ha appena avuto l'annuncio dell'angelo: avrà un figlio, sarà grande e figlio dell'Altissimo. Possiamo comprendere lo smarrimento naturale di Maria: ma cosa mi sta succedendo? Cosa sta capitando? Cosa sta avvenendo? Chi lo spiega a Giuseppe? Possiamo comprendere, allora, che Maria ha bisogno di sostegno, di condividere la sua paura, il suo smarrimento, di trovare coraggio e forza nell'affrontare ciò che le sta accadendo.
Chi poteva comprenderla meglio di Elisabetta, visto che pure lei stava vivendo, con qualche mese d'anticipo, la stessa meravigliosa e miracolosa vicenda?
Maria allora va da Elisabetta, non tanto o non solo per aiutare Elisabetta, ma per essere sostenuta nel dramma e nell'incredibilità della sua situazione. Infatti, appena entra, Elisabetta saluta, sostiene, benedice, consola e gioisce di Maria. E' quanto Maria ha bisogno: qualcuno che nella sua condizione la possa comprendere.
Una donna è rimasta incinta. Il compagno (occasionale) non vuole il figlio. Tutti le dicono di sbarazzarsi di quest'impiccio, ma è suo figlio, vive dentro di lei e si sta formando nel suo grembo. Dove andare? Dove trovi fiducia? Se non c'è qualcuno che ti accoglie, che ti dice: "Non farti prendere dalla paura", che non ti giudica, che ti accoglie con amore, allora la solitudine e la disperazione ti affondano.
Una suora ha deciso di uscire dal convento dopo vent'anni di consacrazione. Ma non ne è sicura, ha paura di sbagliare tutto, ha paura di illudersi, ha paura delle conseguenze della sua scelta. Dove andare? Se non c'è un "Elisabetta" che le dia un po' di calma interiore, un po' di ascolto, che le faccia un po' chiarezza, allora è davvero la fine.
Un uomo decide di lasciare il lavoro sicuro per avere più tempo per sé. E' una scelta da pazzi al giorno d'oggi. Se non c'è un "Elisabetta" che ti incoraggia a seguire il tuo cuore più che ciò che fan tutti, a dar fiducia a ciò che senti dentro e alle tue intuizioni, diventa impossibile anche la scelta.
Devi fare una grande scelta: dove vai? Hai un momento di sbandamento: da chi vai? Chi ti può accogliere? Chi ti può capire? Chi ti può ascoltare e mettere freno alla tua paura e incoraggiarti nella tua strada?
Trovare "Elisabette" nella nostra vita è una benedizione enorme. Elisabetta è quella persona a cui tu puoi aprire il cuore, a cui tu puoi confidare i tuoi dubbi, i tuoi travagli; quella persona che ti accompagna nel momento difficile, che ti sta affianco, che permette il tuo travaglio, che rinforza la tua scelta perché lei stessa ha vinto le sue paure. "Elisabetta" è quella persona che ti dice: "Non aver paura, vai avanti e fidati di ciò che senti dentro". "Elisabetta" è quella persona che ti dice: "Stai qui con me, stai da me, finché le tue paure si calmeranno. In questo momento dove tutti i mostri sembrano travolgerti, ci sono io, puoi confidare su di me così da non lasciare che le tue paure ti sommergano". "Elisabetta" è quella persona che ti dice: "Non sei pazzo. E' bello, importante quello che ti sta accadendo, ha un senso profondo, non ti far spaventare, è una benedizione".
"Elisabetta" è quel porto sicuro dove poter sempre andare quando c'è una tempesta.

Ciò che Elisabetta fa è meraviglioso. Maria arriva con la sua paura, i suoi dubbi e la sua perplessità. Maria per la legge ebraica era in peccato mortale: avrebbe dovuto essere uccisa perché era incinta prima del matrimonio e per di più non dal suo uomo. Possiamo capire questa donna e tutto il suo carico di angoscia.
Come Elisabetta la vede, la benedice, la rassicura, l'avvolge di attenzione e di affetto. Elisabetta dice a Maria: "Ti sento. Sento la tua angoscia, sento la tua paura, sento la tua trepidazione, la gioia e il tremore che tu vivi. Ti sento, ti capisco". E Maria si sente accolta.
Oggi questa dinamica la chiameremo em-patia. Em-patia vuol dire "sentire dentro". L'empatia è la capacità di sentire il dolore altrui, di sentire i sentimenti altrui e di provarli. "Sento che tu stai male; sento il tuo pianto nel cuore; sento quello che dici".
La sim-patia è lo stare con il proprio sentimento; l'anti-patia vuol dire, invece, il rifiutarlo e l'andarci contro. L'a-patia è il non provare nessun sentimento.
Quando mio figlio è silenzioso "lo sento"? Anche se non dice niente, anche se non mi dice neanche una parola? Perché mi sta parlando, mi sta dicendo molto, anche se non apre bocca!
Quando il mio partner è scuro in volto "sento che ha qualcosa" e glielo chiedo, lo aiuto? Quando uno mi parla "sento" il suo cuore, la sua anima o mi fermo alle parole? Quando una persona ci parla io cosa colgo? Ascolto le sue parole o riesco a cogliere, a sentire il suo sentimento, l'emozione che prova? Io sento la sua emozione?

Non dimentichiamo che Elisabetta era avanti nell'età (1,7) e che Maria era giovane (1,27).
Questo è il compito delle donne più anziane, di quelle che hanno più esperienza e certe cose le hanno già vissute: essere riferimento, sostegno per quelle più giovani. L'anziano è colui che ne ha passate nella sua vita e che ha sconfitto molte avversità.
C'è un problema non atteso: "Non è un problema, non facciamoci prendere dall'ansia, ne abbiamo affrontati tanti, affrontiamo anche questo".
C'è un problema economico? L'anziano dice: "Non è un problema, ci si aiuta e si affronta". C'è una difficoltà di coppia? "Si affronta!". C'è un momento di crisi personale: "Può succedere, fa parte della vita. Ti do una mano per accoglierlo e superarlo".
E' questa saggezza che manca alla nostra società. Manca la saggezza di chi ha macinato la vita e che quindi può trasmettere qualcosa di significativo.
Non è solo vero che i giovani "mettono in un angolo" gli anziani, è anche vero che gli anziani non hanno niente di significativo da trasmettere ai giovani, non servono.
Un anziano, adulto che non sa essere casa, accoglienza, rifugio nei momenti di paura dei più giovani... che sono sì esuberanti, ma anche così fragili, è una persona che ha perso la sua identità.
Il giovane ha bisogno dell'anziano perché sa che lì c'è uno il quale certe cose le ha già passate. Ma se trova uno che solo giudica, uno che è solo risentito con la sua vita e che di conseguenza non sa che disprezzare quella degli altri, uno che è rimasto bambino, uno che non ha vissuto, uno che è più spaventato di lui, allora il giovane rimane senza puntelli, porti, e l'anziano non può che essere un "intrigo".
Un anziano che invece di incoraggiare il giovane a vivere, ad esprimersi, a rischiare, lo investe delle sue paure e dei suoi bisogni o gli incute ancor più paura o gli dice: "Cosa si dirà in giro?, e se poi sbagli?, e se non ci riesci?" è un anziano che non svolge il suo compito più importante: favorire l'uscita e l'emersione della vita giovane.
Quell'anziano lì non potrà che essere mal sopportato o messo in disparte appena possibile, come si fa con gli oggetti che non servono.
L'identità (lo specifico) dell'anziano è l'identità di chi ha esperienza, di chi "ne ha viste nella vita" e parla adesso proprio in virtù di ciò che lui ha passato. E' l'uomo che ha macinato la vita, che l'ha vissuta, che ha imparato da lei e che oggi è maturo, oggi può essere riferimento per chi la vita la deve vivere.
Presbitero (prete) vuol dire proprio anziano, vecchio. Il prete dev'essere un vecchio, cioè, un saggio, uno che sa cos'è la vita, uno che l'ha penetrata, macinata, sviscerata, vissuta. Se no parla per niente, parla, cioè, di ciò che non sa e che non ha vissuto. E non può che parlare a vanvera.

Maria poi canta il Magnificat. Storicamente sappiamo per certo che Maria non l' ha mai scritto: è un' inno della prima comunità cristiana attribuito a Maria.
Nel vangelo è il massimo a cui sia stato consentito dire ad una donna.
Notiamo due cose fondanti del cantico.
La prima: Maria non canta solo per suo figlio, ma per tutti i figli e gli uomini che vivono nella povertà. Cioè, Maria non dice: "Grazie Signore della fortuna che hai dato a me, di questo mio figlio". Maria estende il suo canto a tutti gli uomini e a tutti i figli che sono soli, che soffrono angherie, che sono affamati, che sono angosciati, che lottano e che subiscono ingiustizie o soprusi.
Il suo sguardo non è personale, ma sociale.
Maria non può disinteressarsi di tutti quelli che soffrono, non può dimenticarsi della sofferenza ingiusta che si vive nel mondo e non può chiudere gli occhi di fronte a ciò che ha davanti.
Al di là delle ultime stime sulla riscossione delle tasse dov'è emerso che chi ha un attività propria ha un reddito inferiore a chi lavora nel pubblico, e che il 30 % di chi possiede una barca ha un reddito inferiore ai ventimila euro annui (il che è impossibile!), tutti noi siamo più ricchi del 99% delle persone del mondo. Possiamo dire: "Si arrangino!"? Possiamo dire: "Io faccio le mie cose e non rubo a nessuno" e lavarcene le mani? Se felicità dev'essere, dev'essere per tutti. Altrimenti che felicità è? Se pane, cibo, acqua, giustizia, libertà, dev'essere, dev'essere per tutti.
Una vecchia devota alla fine della guerra: "Dio è stato buono con noi: abbiamo pregato così tanto e senza sosta, che tutte le bombe sono cadute dall'altra parte della città"!!!

Maria non concentra il suo sguardo solo su suo figlio, ma su tutti coloro che in qualche modo soffrono. Maria allarga la sua visuale.
Quando il figlio è "il tutto" di una coppia, allora si è concentrati solo su di lui e sul suo bene. Ma in realtà "quel figlio" diventa la proiezione dei nostri desideri e aspettative vanificate nella vita. Così facendo non si vuole il suo bene, ma si vuole il nostro bene. Cerchiamo, cioè, di modificarlo, di indirizzarlo, di far sì che lui diventi secondo il modello che noi abbiamo in testa.
Se un genitore, un adulto ama, ama tutti i figli e gli sta a cuore tutti i "cuccioli d'uomo" (e se volete tutti gli uomini).
A scuola c'è un ragazzo con comportamenti antisociali: rompe, distrugge, picchia e ruba. E' un ragazzino che chiaramente soffre, che sta tentando di mandare segnali e richieste d'aiuto. Se la sua sofferenza non mi tocca (magari mio figlio è in classe insieme) come posso dire di amare?
Molti genitori amano i propri figli non perché "figli", ma perché "propri". Per cui se il loro figlio ha un problema allora fanno "il diavolo a quattro", si arrabbiano e se la prendono. Ma se lo stesso problema ce l'ha qualcun' altro neppure si muovono o si lasciano toccare.
Ma se è così, allora l'amore non è in te. In te c'è solo il possesso. Quel figlio lo ami perché è "tuo" non perché è un figlio da proteggere, da custodire e da far crescere. Ma stai attento perché ciò che tu chiami "amore" potrebbe essere possesso, pretesa!
Maria ama non solo suo figlio, ma tutti i figli. Il dolore, il disagio, le lacrime, la disperazione di tutti i figli la toccano. Maria ama suo figlio non volendo solo il bene di suo figlio, ma desiderando una società più giusta per tutti i figli.

Il secondo grande pilastro del Magnificat è che questo canto è messo sulle labbra di una donna povera.
Quando si dice che "Dio ha guardato l'umiltà della sua serva" non si intende l'umiltà morale, la riservatezza, il silenzio; ma è l'effettiva condizione di questa donna.
Maria era una donna povera, come la maggior parte delle persone del suo tempo; soggetto di sfruttamento da parte dei potenti. Maria si mette dalla parte della donna maltrattata, della ragazza-madre, di chi è senza risorse, di chi non ha cibo sulla tavola e forse neanche la tavola; della famiglia sfruttata, dei giovani o degli anziani abbandonati.
Qui Maria non è la creatura dolce, tenera e docile che vediamo spesso nei dipinti.
Maria qui è la donna appassionata, piena di dignità e di energia; è la donna lupa che non permette ai nemici di sottrargli i suoi cuccioli, che vuole giustizia per tutti, che si batte e che "rompe".
Maria è la donna che se vede un'ingiustizia non sta zitta, "non sono affari miei, meglio non impicciarsi, meglio evitare certi casini; che si arrangino gli altri" ma la denuncia, anche se questo vorrà dire esserne coinvolti. Non è la donna silenziosa, taciturna ed umile.
Qui Maria non è la donna del compromesso ma "le canta" a tutti i prepotenti del mondo: "Dovrete fare i conti con Dio; non crediate di mettervi la coscienza in pace!".
Non è la donna buona, obbediente, tranquilla, casalinga e spalla dell'uomo. Maria qui non è affatto la classica donna ebrea sottomessa ed ubbidiente. Sì, è ubbidiente, ma alla verità e al suo Dio! Qui parla, predica, con autorità e senza tanti peli sulla lingua.
Non è la madre che attende ai suoi figli e si disinteressa di tutto ciò che accade fuori.
Non è la donna del solo "sì", che accontenta tutti, solo disponibile, tutta per gli altri. Qui Maria dice un chiaro "no" ad ogni ingiustizia e ad ogni sopruso.
Certo a noi maschi piacerebbe che le donne fossero così, docili, docili!
Certo anche ad una certa chiesa piace l'umile Maria piuttosto che la sovversiva Maria del Magnificat.
Certo tutti i benestanti, i ricchi e coloro che hanno possedimenti o cariche da difendere non accoglieranno volentieri l'immagine di Maria del vangelo.
Qui Maria è politica, sovversiva, combattente, in prima linea e rivoluzionaria. Maria si oppone ad ogni ingiustizia.
Non per questo in alcun paesi dell'America latina (es. Guatemala) fu proibito cantare e pregare il Magnificat.

Vorrei chiudere con un'osservazione sulla parola "magni-ficare".
Magnificare vuol dire lett. "rendere grande, fare grande, allargare, ingrandire".
Sara, moglie di Abramo se la rise di fronte alla promessa divina e fece piccolo Dio; Mosé obbiettò di essere balbuziente, di non saper parlare quando Dio lo chiamò per far uscire il popolo ebreo dall'Egitto; Zaccaria, marito di Elisabetta, dubitò all'annuncio dell'angelo non potendo credere alla grandezza di Dio.
Tutte situazioni dove l'uomo ha avuto paura ed ha rimpicciolito Dio; dove l'uomo non ha creduto alla grandezza di Dio, al fatto che Dio si potesse fidare di loro, dove le persone si sono opposte ai progetti di Dio perché considerati troppo grandi, dove la mente o il buon senso ha ridimensionato le prospettive e le aperture.
Maria no. Maria magnifica perché non ha messo confini a Dio e Dio ha potuto operare in lei.
Peccato è limitare Dio, non fargli spazio, non credergli e non dargli ospitalità nella nostra vita.
Dio vuole fare cose grandi con ciascuno di noi. E quando io gli dico: "No, io non sono fatto per queste cose; a me basta una umile vita, semplice e tranquilla" non sono affatto la persona umile che voglio far credere, ma la persona paurosa che si nasconde dietro ad una falsa umiltà.
Magnificare Dio e lasciare che Lui operi in noi e ci faccia grandi: che attraverso di noi emerga cioè la sua forza e la sua potenza.
La fede di Maria è stata quella di poter credere che lei, che era niente per la società del tempo, era qualcosa di grande per Dio. Lei ha creduto a Lui.
Fede è credere alla propria grandezza, alla propria importanza, alle risorse nascoste dentro di noi e farle uscire.
Fedeltà è come Maria lasciare che Dio faccia in noi ciò che deve fare, così noi da magni-ficare Lui (ne risulterà la sua grandezza) e Lui da magni-ficare noi (ne risulterà la nostra grandezza nell'esserci fidati e nell'aver detto sì senza opporsi).


Pensiero della Settimana


Se non comprendi il tuo amico in ogni situazione
non lo comprenderai mai.
La realtà dell'altra persona non è in ciò che ti rivela,
ma in ciò che non può rivelarti.
Perciò se vuoi capirla, non ascoltare ciò che dice
ma ciò che non dice.