Omelia (15-08-2008)
Omelie.org - autori vari


"Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita..." Sono, queste, le parole che in questo giorno di festa il presidente dell'assembla liturgica pronuncia all'inizio della preghiera eucaristica, nel prefazio. Con esse ci è detto che oggi siamo invitati a metterci davanti a ciò che Dio ha e non ha voluto, a ciò che è uscito dalle sue mani e dalla sua libertà di volere. E che cos'è, dunque, che Dio "ha voluto"? Le espressioni che la liturgia ci fa cantare parlano di vita e di corruzione, di generazione e di sepolcro: sono gli estremi che ognuno di noi conosce bene, e che in realtà non sono solo all'inizio e alla fine dell'avventura umana, ma anche dentro ogni suo istante, impastati in ogni frammento delle nostre esistenze. Dell'esistenza di Maria, la madre del Signore Gesù, le pagine evangeliche non ci dicono molto, preferendo rimanere nella discrezione. Ma i pochi accenni che ci regalano ci bastano per dire che anche la sua è stata una vita intessuta di nascite, di inizi, e di morte, di dolore. Ce la fanno guardare a Betlemme, nella gioia intima di un parto attorno al quale la grazia di Dio si raccoglie e inizia a manifestarsi e a spandersi, e sul Golgota, ad affrontare l'esperienza che per una donna è fra le più drammatiche, mentre assiste nell'impotenza alla morte del figlio. Non è diversa dalle nostre vite la sua, dunque: inizi, fiducia, cammini, preghiera, speranze, morte, a volte strazio...
Che cosa Dio ha voluto fare di questo intreccio spesso per noi inestricabile di dolore e gioia, di inizi nuovi e coraggiosi e di impotenze che feriscono il cuore come una spada tagliente? Egli non ha voluto che vita e corruzione stessero sullo stesso piano, che fossero due forze equivalenti, che siano capaci di annullarsi a vicenda, finendo per rendere vano tutto. Dio ha voluto che la generazione sia più forte della corruzione, che la nascita sia un inizio senza più fine, e che la morte e il sepolcro non possano mai costituire l'ultima parola per nessuno. Ecco che cosa festeggiamo oggi, in questa festa dell'Assunzione in cielo di Maria. Celebriamo l'amore e la volontà di Dio che hanno reso la vita più forte di ogni altra realtà nell'universo, quella stessa vita che ha strappato Gesù dal suo sepolcro nella notte di Pasqua, segnando per sempre non solo Lui, ma il destino stesso di ogni donna, di ogni uomo, di tutto l'universo: "per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti", dice san Paolo. E ancora: "in Cristo tutti riceveranno la vita" (II lettura).
Questa festa, nel cuore dell'estate, ci porta dunque indietro di qualche mese, quando in primavera abbiamo celebrato nella grande Veglia Pasquale, di notte, la Pasqua del Signore. In quella notte, dopo aver acceso e benedetto il fuoco, abbiamo atteso che la fiamma del cero rischiarasse le tenebre notturne. Dietro a quella luce, più forte di ogni buio, abbiamo cantato e camminato. Ma poi, ad un certo punto, a quel cero ognuno di noi ha acceso una piccola candela, ciascuno la "sua" candela, portata in mano come abbiamo tra le mani la nostra vita, come abbiamo a disposizione i nostri giorni, ognuno impegnato nel proprio cammino. Luci dietro alla luce, piccole fiamme accese al grande fuoco: non c'era più, in quella notte santa, solo la luce del cero ad illuminare le nostre chiese, ma anche quella, più piccola, di ciascuno di noi. Il destino di Gesù, la luce di Gesù, sono anche il nostro destino e la nostra luce.
Oggi tutto ciò risplende nella vita di Maria, la prima ad aver acceso il proprio cero a quello grande del Messia risorto da morte. E lei diventa "un segno di consolazione e di sicura speranza" (prefazio), perché ciò che è avvenuto in lei è primizia di ciò che avverrà per ciascuno di noi, ciò che Dio vuole per ogni donna e per ogni uomo.
E se davanti alla buona notizia di oggi, qualcuno di noi dovesse sentirsi piccolo, e indegno, ascolti nella preghiera di Maria come Dio "ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati" (III lettura). Senza superbia, dunque, senza arroganza, e con la nostra fame, i nostri bisogni e i nostri vuoti, possiamo alzare gli occhi al cielo e sperare anche per noi ciò che Dio ha fatto quando "ha guardato l'umiltà della sua serva", poiché egli agisce così nella storia degli uomini, guarda agli affamati e agli umili, a chi non ha nessuna pretesa da avanzare, ma sa che solo può ricevere in dono ciò che lo sfama davvero.
All'inizio dicevamo che in questa festa dell'Assunzione di Maria celebriamo ciò che Dio ha voluto. Ma che cosa c'è alla radice di questa volontà divina? Perché egli ha voluto associarci alla Pasqua del suo Figlio? Perché Maria, e con lei tutta l'umanità, tutti noi, siamo portatrici di luce? Qual è il mistero celato in questa volontà di amore? E' nel salmo che forse, possiamo trovare una traccia di risposta a questa domanda che osiamo rivolgere al cielo al cuore di questa estate: "Il re è invaghito della tua bellezza!" (Salmo responsoriale). Dio ci guarda, guarda Maria e guarda ogni persona umana, e si invaghisce, si innamora, proprio come cantava quell'antico poema di nozze regali finito nel libro dei salmi. Ecco, se il nostro sguardo si spinge audace fin dentro la volontà di Dio, possiamo dire che ancor più di ciò che Lui ha voluto oggi celebriamo il suo invaghimento di amore.

Commento a cura di don Gianni Caliandro