Omelia (13-04-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
L'esultanza e la passione

Staremo veramente stretti nelle nostre chiese in questa domenica che ogni anno assume caratteristiche memorabili, specialmente a motivo dell'atmosfera festosa che imperverserà dentro e fuori dai nostri luoghi di culto, ravvivando la nostra partecipazione alla funzione domenicale. Oggi infatti si infrange l'ordinarietà delle consuete celebrazioni e ogni fedele avvertirà una motivazione particolare in più per potervi partecipare. Ciascuno recherà in mano un ramoscello di ulivo o una palma acquistata presso il più abbordabile rivenditore occasionale e la innalzerà mentre vedrà cadere su di essa l'acqua benedetta; poi la porterà con sé a casa e la custodirà con riverenza e devozione. Tutto questo non soltanto è legittimo, ma anche necessario: se nel suo ingresso a Gerusalemme Gesù venne accolto dalle ovazioni e le esternazioni di esultanza della folla, che lo riconosceva nella sua piena regalità, perché noi dovremmo omettere di far festa e mancare della dovuta esultanza nei confronti del nostro re e salvatore?
Tanto più che la sua non è affatto una sovranità di preponderanza, quasi sugli schemi di una leadership incontrastata, ma è piuttosto un regno che si dispiega nell'ottica del servizio e dell'amore. Gesù' è un sovrano che serve anziché comandare e avvalersi del proprio potere per avere ragione dei suoi sudditi. E il suo amore per l'umanità spasima a tal punto da voler dare la vita per tutti! Forse non è un caso quella corona di spine che gli trafigge le tempie, ma sta a significare appunto che il regno esercitato da Gesù per noi viene realizzato nell'umiliazione e nel sacrificio.

Riflettiamo un istante: che cosa intendiamo dire quando affermiamo che "quel tale ha la passione per... "? Certamente vogliamo sottolineare il suo assiduo interesse per quella determinata cosa, notando come per essa egli sacrifichi gran parte del suo tempo e delle sue risorse e, alcune volte senza criteri di moderazione e di ponderatezza, anche il proprio capitale (!) Quando si è appassionati di una determinata cosa, si giunge addirittura a volersi dedicare corpo e anima per la sua causa. Ebbene, nel suo essere re, Cristo mostra di avere passione per l'umanità fino al punto da offrirsi in oblazione per essa nel cruento sacrificio della croce. Dirà poi la Lettera agli Ebrei che lui anche per questo motivo sarà "sacerdote per sempre" perché non ha avuto bisogno di entrare ripetutamente nei templi e nei santuari realizzati dalla mano dell'uomo per offrire sacrifici, come nel caso dei sacerdoti dell'Antica Alleanza, ma ha realizzato il suo sacrificio una volta per tutte sulla propria pelle riscattando l'umanità peccatrice.

Si, perché nella croce Cristo paga il riscatto per i nostri peccati. Che significa? Che tutte le pene che avrebbero meritato gli uomini a motivo delle loro colpe, Cristo le espia per loro nel crudelissimo sacrificio che lo interessa.
Che dire poi del fatto che per la Legge dell'Antico Testamento era considerato maledetto chiunque pendesse dal legno, e che in una tale situazione Cristo si rese appunto per noi maledizione di fronte ai Giudei, lui che come Dio era artefice di ogni benedizione?
In quello che per la mentalità corrente è considerato pazzia Dio manifesta la sua forza: non nel potere sovvertitore né nella sensazionalità di eventi dirompenti Dio si mostra tale a noi meschini, ma piuttosto nel dato di fatto, inconcepibile per l'uomo, che Egli stesso si annichilisce fino ad immolarsi su un legno di supplizio e questo per rendere più marcata l'evidenza che è davvero solo il nostro Dio (quello cristiano) che va alla ricerca dell'uomo. A ragione infatti poi dirà Paolo: "Mentre i giudei chiedono miracoli e i pagani cercano la sapienza noi predichiamo Cristo e questi crocifisso".
Il fatto dunque che si esalti il nostro re mentre entra a Gerusalemme vuol dire per noi accompagnarlo nell'itinerario del suo cammino verso la croce.

Questo noi ci accingiamo a farlo in questi giorni, nelle varie liturgie della Settimana Santa che si dischiude ai nostri occhi, ma per il momento proviamo a considerare che cosa possa significare in concreto per noi questa regalità di Cristo attraverso una riflessione sugli atteggiamenti comuni della nostra vita e, in primo luogo ponendoci una domanda: si ottiene più soddisfazione nel dare o nel ricevere? Nell'essere serviti o nel servire? Nell'affermare la nostra caparbia e superiorità nei confronti degli altri o nell'avere considerazione nei riguardi del prossimo?
Certamente la ricerca del nostro interesse e la coltivazione del nostro egoismo non possono che essere causa della nostra insoddisfazione, poiché nella misura in cui si ottiene e si pretende dagli altri tanto più si tende a chiedere e a pretendere ulteriormente e questo non può che comportare pene e frustrazioni tipiche di quelle di un uomo ricco che non dorme la notte perché sempre incerto delle difese dei suoi forzieri; chi invece ne ha fatto l'esperienza in concreto, potrà affermare che è piuttosto nel donarsi e nell'aprirsi incondizionato che si scopre la propria utilità e il senso dell'esistenza: non si prova per caso soddisfazione più nell'aiutare gli altri che nel procacciare i nostri vili interessi? La risposta è allora chiara e lampante: si ha più gioia nel dare che nel ricevere... Ma come diceva qualcuno sine dolore non vivitur in amore cioè nell'amare il prossimo si è sempre sacrificati e non ci si può certo dispensare da afflizioni e umiliazioni come critiche, beffe e mancati riconoscimenti. Ma queste ultime prerogative non ci scoraggeranno di certo se consideriamo che proprio questo è il Regno di Dio che Gesù ha realizzato: la dimensione del servizio e dell'amore, dell'apertura al prossimo secondo la logica del suo Comandamento nuovo: "amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" che non interpella statuto o legiferazione alcuna se non quella del cuore dell'uomo e che si realizza nella prospettiva della passione del nostro quotidiano.