Omelia (13-04-2003)
don Fulvio Bertellini
L'onnipotenza crocifissa

Punto primo: il tradimento

"Ma se Dio aveva già previsto che Gesù doveva morire, ed essere tradito, ed essere consegnato ai capi, che colpa ne aveva Giuda? E se era tutto già stabilito, che colpa ne avevano gli ebrei?". Ogni tanto l'interrogativo ritorna, nelle catechesi degli adulti o negli incontri biblici. Il fatto che la Passione fosse già in qualche modo prevista/prestabilita da Dio sembra eliminare la libertà di chi prende parte al dramma. Mentre il dramma è esattamente il dramma della libertà.

Il problema è il nostro modo di intendere l'onnipotenza e l'onniscienza di Dio. Se Dio fosse un'auto, sarebbe probabilmente una Ferrari ultraveloce. Ma non possiamo paragonare Dio a un'auto. Se Dio avesse un'intelligenza umana, sarebbe probabilmente onnisciente. Ma non possiamo paragonare l'intelligenza di Dio alla nostra intelligenza. Dio ha un modo di conoscere assolutamente diverso dal nostro, che non possiamo esprimere.



Punto secondo: la solitudine

Nella Passione Dio si fa conoscere, in un modo che il nostro pensiero può difficilmente concepire. Se vogliamo capire in che modo Dio è onnipotente, onnisciente, infinito e immenso, dobbiamo guardare alla passione e alla croce di Gesù. La conoscenza di Dio resta una conoscenza di amore: per cui Gesù comprende il tradimento di Giuda, ma continua ad amarlo. Avverte Pietro del rinnegamento, ma continua ad avere per lui la stessa predilezione. Conosce l'infedeltà del suo popolo, ma resta fedele all'Alleanza di Dio. Vede il peccato, e continua ad offrire il perdono. Per la nostra intelligenza si tratta di fatti assolutamente inconciliabili: è impossibile per noi vedere svolgersi sotto i nostri occhi il tradimento di una persona amata, senza che il nostro amore si trasformi in rancore, risentimento, odio. Ma quello che è impossibile agli uomini è impossibile a Dio: sulla croce vediamo l'onnipotenza crocifissa di Dio: una incommensurabile capacità di prendersi carico, di sopportare, di soffrire.

Forse in questo ambito possiamo comprendere l'angoscia di Gesù nel Getsemani, troppo spesso sbrigativamente interpretata come paura della morte. Marco non parla di paura, ma di "tristezza e angoscia"; e non parla della morte, ma del "calice". Gesù deve bere, per così dire, tutto il nostro peccato, tutto il nostro rifiuto e la nostra indifferenza. E si scopre solo: i discepoli non sono in grado di vegliare con lui. Anche questo fa parte della sua angoscia, che non è solo debolezza umana, ma un divino e infinito prendersi carico del peso del male.



Punto terzo: i soldati

Dopo il Getsemani la Passione scorre via quasi senza intervento da parte di Gesù. Egli resta sostanzialmente passivo. Tutta la sua decisione è concentrata nell'Ultima Cena e nella preghiera al Padre. Dopo l'arresto, si tratta soltanto di subire. Ed emerge il quadro sconcertante dell'umanità: la falsità del processo, la paura di Pilato, il cedimento di Pietro... Ciascuno di noi può agevolmente riconoscersi in questo o quel personaggio. Difficilmente si riconoscerà nella bestialità dei soldati. Noi non arriveremmo mai a tanto. Né immaginiamo che i nostri giovani o ragazzi possano arrivare a questo. Eppure negli stadi, nelle scuole, nelle strade ogni settimana ci arrivano segnali che ci avvertono: l'irrazionalità imponderabile e belluina è sempre in agguato. Ultimo esempio, il gruppo di bravi ragazzi che ha violentato una quattordicenne. Ci illudiamo di essere uomini. Chiediamoci se per caso non siamo soltanto ben tenuti al guinzaglio.



Punto quarto: l'insulto

I passanti pretendono da Gesù di mostrarsi profeta del Dio onnipotente. Non si rendono conto che se Gesù dovesse scendere dalla croce, dovrebbe anche fulminarli e incenerirli tutti. A ben pensarci è una scena paradossale. Coloro che irridono Gesù dicendo "Scendi dalla croce" e "Salva te stesso", stanno invocando la propria immediata distruzione. Ma Gesù non scende dalla croce. Mostrando l'amore che perdona e che salva di Dio, e che pensa prima di tutto a salvare gli altri.



Punto di arrivo: il centurione

Mi piace pensare che il centurione sia stato nel gruppo dei soldati che aveva insultato e flagellato Gesù. Che l'aveva chiamato re pensando di deriderlo. Che forse aveva aizzato i suoi sottoposti allo scherno, eccitandoli a prendersi gioco di quel miserabile. Ora invece in quel miserabile riconosce la giustizia: "Veramente quest'uomo era figlio di Dio!". La confessione del centurione dovrebbe essere il punto di arrivo della nostra fede. Ci è facile credere al Gesù che dice parole consolatorie, che proclama i comandamenti, che perdona i peccatori (quando questo perdono è una facile deresponsabilizzazione dalle nostre azioni). Ci è facile credere quando siamo in tanti, quando vediamo confermate le nostre idee e le nostre tradizioni. Ma Gesù ci vuol condurre al riconoscimento della sua potenza crocifissa, nel momento in cui siamo soli, faccia a faccia con lui. La vera fede comincia quando sappiamo riconoscere il Figlio di Dio nel volto crocifisso di Gesù.





Flash sul Vangelo dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme



La folla si ammassa festante per salutare Gesù, che entra a Gerusalemme su un asinello. Ma la stessa folla che grida "Osanna" e "Benedetto colui che viene", è capace di gridare "Crocifiggilo!". Ci sono momenti in cui è facile lasciarsi trascinare a seguire e acclamare Gesù, anche con autentica commozione. L'ho visto a Roma e a Toronto, in mezzo a migliaia di giovani; l'ho visto a Lourdes, alle Grazie, ad Assisi, in tanti luoghi forti della fede. Anche in parrocchia accadono momenti simili: battesimi, matrimoni, comunioni, la festa di S. Antonio e S. Rita... piccole o grandi folle si radunano, sinceramente commosse ed attratte da un qualche evento religioso. La Domenica delle Palme fa parte di queste occasioni, in cui, una massa di gente molto superiore al solito si raduna a prendere l'ulivo e ad ascoltare la Passione. Ma la stessa folla che agita l'ulivo la Domenica delle Palme, saprà riconoscere il volto di Cristo nella sua vita quotidiana? Lo seguirà nelle scelte di tutti i giorni, anche quando vedrà che scegliere Gesù significa portare la croce? Mentre anch'io agito l'ulivo, tengo aperta la domanda. Per me è facile essere un cristiano della Domenica delle Palme. Ma esserlo sulla via della croce è tutta un'altra cosa.



Flash sulla I lettura



"Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi". E' uno dei testi più impressionanti dell'Antico Testamento, in cui la fedeltà a Dio è spinta all'estremo della sopportazione, in attesa di un suo intervento risolutore: "per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso". L'insulto è ciò che maggiormente calpesta la dignità della persona, forse anche più della sofferenza fisica. Insultare è annientare la relazione e la possibilità di un rapporto alla pari con l'altro; chi è insultato non è più considerato come persona, è declassato a "cosa". Gli evangelisti riportano accuratamente gli insulti a Gesù sulla croce, perché in essi emerge in tutta chiarezza il rifiuto della persona di Gesù e della sua proposta di salvezza. Il paradosso è che proprio accettando e soffrendo questo rifiuto, Gesù porta a compimento la sua offerta di salvezza.

Flash sulla II lettura



"Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi...": mentre nella I lettura troviamo l'insulto, nella II assistiamo alla glorificazione. Un completo rovesciamento: "ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore". All'umiliazione estrema della croce, corrisponde la più alta glorificazione. Nella nostra vita una delle cose che temiamo di più è il "perdere la faccia", o il "fare brutta figura". Gesù segue un criterio completamente diverso: la "gloria del Padre", che lo libera dalla schiavitù del conformarsi al volere degli altri. Paradossalmente, proprio facendosi "obbediente fino alla morte" Gesù diventa completamente libero, non sottoposto a condizionamenti esterni. Saremo anche noi liberi come lui?