Omelia (13-04-2003) |
don Elio Dotto |
E' giunta l'ora Dal Vangelo secondo Marco (11,1-10) Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! Dal Vangelo secondo Marco (15,6-15) Per la festa Pilato era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. È giunta l'ora «Osanna. Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mc 11,9). Quella mattina, a Gerusalemme, c'era aria di festa: tutti acclamavano festanti il profeta di Nazareth. «Osanna. Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Così appunto leggiamo nel Vangelo che introduce la liturgia di domenica (Mc 11,1-10). Passarono pochi giorni, e l'aria cambiò a Gerusalemme. Altre acclamazioni, altre grida si levarono alla vigilia della Pasqua: «Crocifiggilo» (Mc 15,13). A furor di popolo, il profeta di Nazareth veniva condannato a morte: ne troveremo conferma pure domenica, nel racconto della Passione (Mc 14,1/15,47). Era la stessa gente: quella stessa gente che aveva acclamato «osanna» adesso gridava «crocifiggilo». La stessa gente, che però recitava parti diverse! Successe così quello che succede a noi oggi, in questo tempo segnato dall'apparire: perché anche noi oggi spesso recitiamo. Recitiamo: e cioè cambiamo facilmente pensieri e parole, a seconda delle situazioni. Recitiamo, e così forse ce la caviamo anche: ma ci ritroviamo alla fine senza un'identità e – soprattutto – senza una speranza. Il profeta di Nazareth invece non ha recitato: fino in fondo egli è stato fedele alla sua missione. Ed è stato fedele anche quando ha subito l'ingiustizia, anche quando ha dovuto stare zitto, anche quando ha gridato la sua desolazione. Il profeta di Nazareth è stato fedele fino in fondo: e così ha custodito la sua identità di Figlio e – soprattutto – la sua speranza. Ecco, entrando nella Settimana Santa noi ci incamminiamo dietro Gesù, il profeta di Nazareth. Non ci accada in questi giorni santi di continuare la nostra recita: sarebbe troppo facile commuoverci davanti al crocifisso – come pure davanti ai tanti crocifissi di oggi, in Iraq e altrove – senza che poi nulla cambi nella nostra personale esistenza. Davanti al silenzio e al grido del crocifisso è giunta l'ora di gettare la maschera: è giunta l'ora di guardare in faccia la nostra vita, al di là di ogni doppiezza e inganno. |