Omelia (29-08-2008) |
Monaci Benedettini Silvestrini |
Parola e profezia Quella di oggi si propone come una celebrazione della parola e della profezia. Queste ci sono presentate come due endiadi indivisibili: dovremmo scrivere parola-profezia. Il rapporto è inoltre direttamente proporzionale, crescono insieme. La parola di Dio, amata e vissuta, porta alla profezia e questa conduce ad una relazione sempre più profonda e intensa con la parola. L'antifona d'ingresso ci dice: "mia gioia sono i tuoi precetti, e io li ho intensamente amati" (Sal 118): la figura del Battista può essere riassunta in questa frase e la sua testimonianza scaturisce dalla gioia dell'incontro. Se la lettura di Geremia sottolinea la protezione di Dio nella predicazione, il Vangelo sembra accondiscendere ad un messaggio contrario e cioè Dio non ha protetto il suo profeta. Quando nella nostra vita vediamo che tutto fallisce, che intorno a noi le cose crollano, che la disperazione attanaglia tutto il nostro essere, sappiamo che quei frangenti non riusciamo a gestirli sono più grandi di noi, dobbiamo però riuscire a sperare, a dare senso al nostro soffrire e a quello di tanti nostri fratelli. L'esistenza del Battista, come quella di Cristo e di molti profeti, si chiude miseramente, anzi la cosa provoca rabbia: egli viene condannato a causa della famosa danza della figlia di Erodìade a cui il re aveva promesso "anche la metà del Regno". Morire per una danzatrice cretinetta beh! Questo ti fa veramente andare su tutte le furie. Ma non è la cosa importante, il profeta non muore per una quisquilia come quella accaduta nella sala dei banchetti quella sera, egli dona la vita per Dio e per testimoniare che al di là delle trame umane di morte c'è la vita di Dio che trionfa. Ed è questo dato che deve riempire il nostro cuore di speranza. |