Omelia (14-09-2008) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Pazzia o esaltazione dell'amore? L'esaltazione della croce è una solennità che sbigottisce non poco quanti siano lontani dalla nostra fede e dalla conoscenza generale del cristianesimo, poiché pone l'interrogativo su come si possa esaltare da parte nostra uno strumento di così atroce supplizio i cui chiodi hanno lacerato le membra del nostro Salvatore... In pratica, da parte non cristiana potrebbe sempre sollevarsi questo interrogativo: perché solennizzare la croce, quando questa è stata strumento di sofferenza e di morte? Poichè fra l'altro parlare della croce è anche rabbrividire e interpretare la profondità dell'inaudito e dell'inumano nonchè lo sbigottimento nostro che davanti alla prospettiva del minimo dolore ricorriamo alla fuga. La risposta noi non la offriamo soltanto a quanti non credono, ma la ricordiamo anche a noi stessi giacché non si mediterà mai abbastanza sul senso della morte cruenta di Gesù, e preferiamo partire dagli scritti di San Paolo: "Mentre i Giudei chiedono miracoli e i pagani cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei stoltezza per i pagani, ma per coloro che Dio ha chiamati, Giudei o pagani, Cristo è sapienza e potenza di Dio..." (! Cor 1, 22-24). Attraverso questo discorso rivolto ai Corinzi, Paolo presenta due modalità con cui gli uomini -anche quelli del nostro tempo- pretendono di vedere Dio: in primo luogo quella sensazionalistica, per la quale è convinzione che se Dio esiste deve dimostrarlo lui stesso attraverso miracoli e prodigi di carattere soprannaturale; in secondo luogo quella razionalistica, secondo la quale se Dio esiste lo si deve prima o poi raggiungere attraverso la dimostrazione scientifica e/o il raziocinio... Si tratta in ambedue i casi di una pretesa assurda di volersi appropriare di Dio e di volerlo piegare alla nostra volontà, rendendolo conforme ai nostri desideri: se Dio si potesse dimostrare, Egli non sarebbe più tale e se si preoccupasse di soddisfare le nostre continue richieste diventerebbe un idolo o una chimera illusoria. Dove avremmo poi l'occasione di esercitare il dono della virtù e della costanza? Come potremmo lottare con le nostre forze e mettere a frutto talenti e qualità a servizio di noi stessi e degli altri? Tutto diventerebbe fin troppo facile e non sarebbe per nulla gratificante. Ed è per questo che Paolo, lungi dal preoccuparsi di soddisfare le pretese suddette, si accinge a mostrare piuttosto un Dio capace di tanto amore per l'umanità al punto da scegliere come mezzo per la nostra salvezza quanto gli uomini reputano pazzia e abominio: la croce. In questo strumento di supplizio Dio infatti manifesta nel suo Figlio Gesù Cristo che la sua vera potenza consiste nel sottomettersi all'umanità da Lui stesso creata; nel farsi sottomettere e maledire da essa e così spogliarsi delle Sue prerogative di onnipotenza e di divinità per rendersi obbediente. Il tutto con la sola finalità di salvare l'umanità peccatrice. Sempre San Paolo (questa volta ai Romani) sottolinea con forza infatti che, così come si paga il riscatto per la liberazione di un ostaggio, così sulla croce di Cristo Dio paga il prezzo di riscatto per i peccati dell'umanità e il sangue del suo Figlio è la moneta di questo pagamento: Cristo nella croce espia i nostri peccati. Certamente tutto questo è pazzia. Ma è appunto in ciò che gli uomini ritengono stolto e inspiegabile che il Dio della vita sceglie di manifestare la sua potenza: piuttosto che intervenire attraverso procedimenti sconvolgenti Egli si rende solidale con l'umanità tutta e in particolar modo con quella più stolta, precaria e meschina. Appunto un Dio che si rende servo per amore dell'uomo fino alla pazzia. Tuttavia, come Mosè innalzò il serpente nel deserto (I lettura) per salvare gli Israeliti dai meritati morsi dei serpenti; così adesso il Figlio Gesù Cristo sarà innalzato dopo la croce: risusciterà e ascenderà al cielo per essere sempre con noi una volta vittorioso sulla morte e sul peccato. La croce quindi è necessaria. Se lo è stata per Cristo, certamente lo sarà anche per noi. Se prestiamo un momento di attenzione, gli altri la chiamano sotto diversi appellativi: difficoltà, affanno, lotta, inquietudine... ma sempre quella è. La croce del quotidiano. Quale la differenza fra coloro che non la definiscono croce e noi cristiani che la denominiamo con tale termine? Semplicemente questa: a differenza degli altri, noi guardiamo in essa Gesù il Crocifisso, colui che è destinato a resuscitare e a liberarsene mostrandone addirittura i segni da risorto; e questo ci incute fiducia e speranza. Nell'affrontare le vicissitudini negative di ogni giorno e nel subire i torti e le ingiustizie e le cattiverie di ogni sorta, ci è di consolazione rivolgere lo sguardo verso Colui che è stato trafitto e ripensare a quanto Egli ha sofferto in materia di persecuzione, per comprendere che come Lui anche noi siamo destinati a ricevere il giusto compenso in questa vita e la remunerazione eterna al termine del nostro itinerario terreno. E non illudiamoci: chi rifiuta la croce o cerca di scrollarsela di dosso, magari relegandola ad altri, non fa' che sostituirla con un'altra più grande e più consistente. E anche quando ci dovesse sembrare che qualcuno ne sia dispensato, non lasciamoci catturare dalla tentazione di nutrire invidia nei suoi confronti: forse potrà fuggire la croce per un certo periodo di tempo anche duraturo ma non la eviterà certamente, giacché prima o poi le sue spalle dovranno caricarne una dal peso equivalente a tutte quelle che avrà rifiutato di portare in precedenza.... Questo perché la croce è inevitabile, ma necessaria. Nelle avversità e nei fallimenti vi è sempre un seme di successo che diventerà pianta in un secondo momento; così in ogni croce vi è sempre un inizio di resurrezione destinato a realizzarsi e in questo strumento di supplizio che è servito al nostro Redentore per guadagnatrci alla vita noi contempliamo anche tutte le reali iomplicanze della vita stessa che associamo sempre a Colui che ci vuole crocifissi ma non senza la garanziia del successo e della gioia ventura che definiamo come Resurrezione. Ossia la vita che ha l'ultima parola sulla morte. |