Omelia (13-04-2003) |
mons. Antonio Riboldi |
Lacrime di palme e ulivo Qualcuno con molta verità ha detto: "Quest'anno le palme e l'ulivo, che vengono benedetti e quindi portati nelle case e donati alle persone care, come segno di autentica pace, quella di Dio versano lacrime". Lacrime di una guerra che, con l'orrore che è proprio di ogni guerra, fa sanguinare il cuore di tutti. Gridiamo a Dio il dono della pace, ma pare che gli uomini non sentano neppure più la dolce voce del Padre che parla con la grande ragione che tutti noi siamo suoi figli, creati per volersi bene, dimostrarlo nella giustizia e nel perdono. Quel suo grande comandamento dato a tutti noi il giovedì santo, "Amatevi tutti, gli uni gli altri, come io ho amato voi" sembra avere ceduto il passo all'odio che è il terribile cancro al cuore dell'uomo: un cuore incapace di conoscere la dolcezza dell'amore e della pace. Fa tenerezza come Gesù, il Maestro, che pure essendo il Creatore di tutto e di tutti, la stessa ragione della nostra esistenza, l'origine della bellezza del creato, ami sempre vestire gli abiti della umiltà, come fosse l'ultimo di tutti. La sua grandezza è l'amore che si accompagna sempre con l'umiltà e la povertà. Così ce lo presenta S. Paolo: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil. 2,6-11). La gente semplice non conosce affatto la pericolosità dell'orgoglio che a volte ama esibire le sua forma di superbia, che fa degli uomini "lo sgabello dei suoi piedi" e "oggetti delle sue ambizioni", fino alla guerra, che da troppo tempo sta riempiendo il cuore degli uomini buoni, che Dio ama, di lacrime di dolore e di speranza. La gente semplice è quella che ha conservato gli occhi del cuore "puri", ossia capaci di "vedere" il volto della bontà, di Dio. Per la gente semplice, che a Pasqua si era data appuntamento a Gerusalemme per la festa, Gesù era l'uomo dolce, l'amico cui potevi affidare tutto te stesso, sapendo che non ti usava, ma ti faceva crescere nella vita, nella gioia. Bastava vederLo una volta, Gesù sul proprio cammino, per accorgersi che il suo nome era uno solo "Amore senza fine". Gesù, in quella festa, vuole anche Lui inventare la "sua" festa, che sembra fatta su misura per chi è umile e semplice, come spero siamo tutti noi. Inventa un corteo festoso. Si fa prestare un asino per trono e lo cavalca passando fra la gente, a cui non pare vero di tributarGli la più grande gioia possibile "La gran folla, che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e ulivi e uscì incontro a Lui gridando: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele!" Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: non temere figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene sopra un puledro d'asina. In altro Vangelo c'è scritto che questo trionfo, che ben esaltava non la sua umanità, ma il suo "Venire nel nome del Signore" dà fastidio alla gente che allora contava, i farisei che chiedono a Gesù di fare tacere le grida della gente, dei fanciulli. Ma è sempre difficile spegnere la gioia nella gente semplice che si affida a Dio. Certamente Gesù ha voluto "inventare" questa festa, come una manifestazione di Chi Lui veramente era, ossia il Figlio di Dio, Dio, fatto uomo per tutti noi. E da Lui può nascere solo quella festa della vita che è bene rappresentata dalla gente, che non si lascia intimorire dalla cattiveria di chi non può tollerare la verità, ossia Gesù stesso, odiandolo fino alla morte. Gesù voleva quasi ricordare a tutti che fra qualche giorno l'avrebbe rivisto ma su un altro trono: la Croce, dove non c'erano più palme di trionfo, ma solo le più umilianti prove che davvero annientano ogni briciolo di dignità dell'uomo. Ma Gesù non era venuto certamente per cogliere qualche applauso: quello che tanti di noi cercano, non accorgendosi neppure che è il rumore di un istante, che scompare nel vuoto da dove è venuto. Gesù cercava un altro applauso, quello che riserverà nel giorno di Pasqua, quando apparirà nella sua intoccabile gloria. E prima di arrivare al trono di gloria che nessuno potrà più appannare, circondato da miriadi di santi in continua festa, Gesù non si sottrae a passare per la prova del sacrificio per amore. Se oggi i nostri ulivi grondano lacrime per la pace che sembra non riesca a prendere il volo, come le avessero tagliate le ali, o perlomeno talmente infangate le ali da non riuscire queste a dispiegarsi in volo, dovremmo sentirci vicini a Gesù nel suo ingresso nella nostra civiltà, anche noi stendendo ai suoi piedi i nostri mantelli, perché siano l'ornamento della sua gloria: e intendo per mantelli tutto ciò siamo e abbiamo, perché Lui e solo Lui si senta il Signore da cui possiamo attendere gioia. E stringendo nelle mani l'ulivo nutrire la certezza degli umili, dei veri discepoli che, nonostante tutto, esultano di gioia perché, venendo Gesù, nella nostra storia entra la pace. Nessuno di noi si accodi ai farisei che non vorrebbero che Gesù entrasse nella nostra storia, perché questi non amano affatto che Altri, dal Cielo, traccino il cammino della storia dell'uomo: una via che, tracciata da Dio, ha tutta l'apparenza di un Arcobaleno che unisce cielo e terra. E dove arriva la palma che riceveremo oggi, facciamo in modo che arrivi Gesù: nelle nostre famiglie, nei nostri amici, con il coraggio di dirci: "La pace di Dio sia con te e con tutto il mondo"! E Gesù tornerà, anzi è già tra di noi da sempre, a indicare i passi della pace agli uomini che davvero con la buona volontà, seguendo la giustizia e il perdono, come suggerisce il S. Padre, sono le sentinelle della pace. Ma vorrei che i miei amici di Internet, sentissero davvero e in qualche modo la vivessero in profondità di fede e partecipazione, questa settimana che la Chiesa definisce "santa": santa per quello che Gesù ha compiuto, lasciandocelo come un testamento, che sia la ricchezza della nostra vita spirituale. A cominciare dal Giovedì Santo: il grande giorno della Eucarestia, "la Cena del Signore": una cena cui vorremmo essere presenti tutti per farci lavare da Lui i passi a volta sbagliati dei nostri piedi e quindi entrare nel cuore del Suo dono: "Prendete e mangiate tutti: questo è il mio Corpo". A vivere l'indicibile amore che Lui ha donato a tutti noi, nella Sua Passione, Crocifissione e Morte. Un giorno che sarebbe bello vivere con i sentimenti di Maria, vicini a Lei, sotto la croce, per capire quanto, ma quanto, Dio ci ama...ancora oggi: per capire che le guerre sono esattamente quello che sanno fare gli uomini quando crocifiggendo l'amore, elevano le infinite croci su cui mettono gli uomini. In attesa che venga il giorno della Pasqua o del trionfo di Cristo, il giorno della vera pace. Non è più tempo di urlare solo lo sdegno, ma è tempo di rimboccarsi le maniche. E' tempo davvero di schierarci dalla parte della folla semplice che gioisce nel vedere Gesù. "Nell'agonia dei nomi, amava dire Mons. Tonino Bello – sono irrimediabilmente logorati termini come progresso, ideali, destra, sinistra, civiltà, giustizia, libertà, – solamente Shalom, che vuol dire pace, non ha mai cambiato significato. La pace non è ricavata dai nostri pozzi di petrolio... E' un'acqua che scende dal cielo, e siamo noi che dobbiamo canalizzarla, perché giunga a ristorare la terra". E di fronte alle nostre frustrazioni sempre Mons. Bello affermava: "Ho letto da qualche parte che gli uomini sono come angeli con un'ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un'ala soltanto, l'altra la tieni nascosta forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita, perché io fossi tuo compagno di volo". Antonio Riboldi - Vescovo - E-Mail: riboldi@tin.it Internet: www.vescovoriboldi.it Acerra, 10 aprile 2003. |