Omelia (14-09-2008) |
don Daniele Muraro |
Dio ha tanto amato il mondo Ad interrompere il normale decorso delle Domeniche dal tempo Ordinario interviene quest’oggi la festa della "Esaltazione della santa Croce". Approfittiamo dell’occasione per tornare a riflettere sull’evento centrale della nostra salvezza, quello di cui già si parlava nel Vangelo dell’ultima domenica di Agosto: la morte in croce di Gesù. Allora l’annuncio della passione era stato prima causa di sdegno da parte di Pietro e poi motivo di ammaestramento a tutti quanti da parte del Signore: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua." L’evangelista Giovanni ci informa che dello stesso tema Gesù aveva già trattato durante un colloquio privato con un certo Nicodemo. Nicodemo è personalità ragguardevole all’interno della società del tempo e perciò si mette in contatto con Gesù non di giorno alla luce del sole, ma nel corso di un visita notturna, lontano da sguardi indiscreti. Egli è Dottore della Legge, cioè si dedica allo studio approfondito della Bibbia e in qualità membro del Sinedrio partecipa alle sedute di questo supremo organo giudiziario ebraico quando si riunisce a Gerusalemme. Con tutta evidenza interviene anche al processo contro Gesù e possiamo pensare che nella circostanza si astenne dalla condanna. Forse esce dalla sala della riunione prima della sentenza. In ogni caso, quando Gesù è ormai morto, troviamo Nicodemo sul Calvario, intento a recuperare il corpo del Signore staccandolo dal legno della croce perché poi potesse essere onorato con una degna sepoltura. Anche se non abbiamo notizie di una sua evidente conversione, possiamo dire che fin dal principio egli non fu pregiudizialmente contrario alla persona di Gesù e al suo messaggio e al momento cruciale seppe esporsi per un’opera di misericordia e di ossequio. Di sicuro i ragionamenti che Gesù scambia con lui durante i colloqui notturni nel suo animo avevano lasciato il segno. Come si conviene durante il colloquio con uno dei maestri in Israele, Gesù parla a Nicodemo in maniera elaborata facendo leva sulla sua cultura religiosa scritturistica. Nicodemo conosce bene la storia del serpente di bronzo che Mosè aveva fatto fare per liberare dal morso velenoso di serpenti veri. Siamo nel deserto, durante i quarant’anni di pellegrinaggio prima di entrare nella terra promessa. Dopo le proteste di quelli che non sopportavano più il viaggio e i disagi che l’ambiente inospitale comportava erano spuntati fra la sabbia delle dune delle serpi la cui puntura provocava ferite mortali. Esse bruciavano nella carne come fossero state arroventate al fuoco fino al decesso. Un gran numero d’Israeliti perde la vita e così Dio interviene per alleviare la piaga e ordina a Mosè di fondere un simulacro di serpente in bronzo, rossastro anche lui come il fuoco, ma salutifero. Quando qualcuno resta morsicato, se si gira subito e guarda verso l’asta alla cui sommità era stato collocato il serpente di bronzo, costui resta in vita. A Nicodemo Gesù spiega che questi fatti valgono come preannuncio della vera e definitiva salvezza che Dio concede a tutto il popolo attraverso di Lui. Però come fu necessario innalzare il serpente nel deserto perché tutti potessere guardare verso quella effige, allo stesso modo sarebbe stato necessario che Lui stesso salisse sopra una croce. Chi si rivolgeva con fede verso il serpente di bronzo otteneva che il veleno che lo tormentava fosse neutralizzato. In maniera simile allo scopo di eliminare il tossico del peccato dall’animo umano Dio aveva scelto di innalzare un segno di guarigione e di salvezza per tutti e sarebbe stato il Figlio di Dio inchiodato sulla croce con le braccia spalancate ad accogliere quelli che si rivolgevano a Lui. Si tratta di una rivelazione straordinaria che non avrà mancato di turbare il dotto Nicodemo e di cui Egli si sarà sforzato di afferrare il significato giusto. Come poteva un uomo parlare con tanta libertà della sua morte e poi prevedendola per sé in modo così violento e disonorante? Sappiamo dagli autori romani che il supplizio della croce era riservato agli schiavi. Ne troviamo l’eco anche nell’inno di san Paolo che fa da seconda lettura: venendo fra noi Gesù assunse "una condizione di servo", cioè di schiavo, e si fece obbediente "fino alla morte e, sottolineato, a una morte di croce". Qualche decennio prima il grande uomo di stato Cicerone aveva scritto: "Perfino la semplice parola croce deve stare lontana, non solo dalle labbra dei cittadini romani, ma anche dai loro pensieri, dai loro occhi, dalle loro orecchie". Cicerone intendeva proporre ai suoi concittadini romani un cammino di civiltà, quella che ai nostri giorni ha portato all’abolizione della tortura e della pena di morte, eppure le violenze al mondo non sono finite. Ogni giorno tornano di tragica attualità ogni genere di soprusi e di stermini. Fame, guerra, ferocia, odio non cessano di mietere vittime sul pianeta terra. Di fronte a scene di questo tipo, guardare da un’alta parte talvolta non solo è consigliabile ma è anche necessario se si vuole mantenere il proprio equilibrio mentale. Però non si può sempre ignorare il male e la violenza che c’è nel mondo. Come comportarsi allora? La liturgia di oggi ci invita a guardare con fede al Crocifisso per ricevere da lui la guarigione dai morsi del peccato prima origine di ogni altro male fisico e morale. Nel passato di fronte a ciò che superava la capacità di reazione umana si alzavano spesso gli occhi al cielo, ai nostri giorni questo atteggiamento sta diventando meno frequente. In ogni caso la croce di Gesù sta lì sospesa fra cielo e terra a dirci che non possiamo rivolgersi a Dio se non passando attraverso il sacrificio del suo Figlio Gesù, ma nemmeno possiamo ignorare l’ombra di sollievo e di ammonimento che questa croce spande sulle vicende umane. C’è una croce piantata sulla terra così saldamente che nessuna forza umana la può svellere, le sue braccia sono così ampie che possono coprire l’orizzonte intero e la sua sommità è così alta che arriva al cielo: è la croce di Gesù che noi oggi veneriamo. |