Omelia (20-04-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Senza prove di forza La vendetta risolutiva Nel film "Bravehart" l'eroe scozzese Wallace attacca gli invasori inglesi con il suo esercito popolare, ma viene tradito dai nobili, che si ritirano nel momento decisivo della battaglia. Rimane miracolosamente in vita, e nei mesi successivi mette in atto la sua vendetta. Ad uno ad uno i traditori vengono eliminati, e lo vediamo addirittura entrare a cavallo nella stanza da letto di uno di essi, srotolare la catena di una mazza ferrata, uccidere il fellone e fuggirsene saltando nel fossato del castello nemico. Neanche nella Risurrezione La risurrezione non è nulla di tutto questo, che è ciò che gli uomini si aspettano: la rivalsa dopo la sconfitta. La vendetta che rende pan per focaccia, e che è un piatto migliore se mangiato freddo. Il Risorto non appare in sogno a Pilato per annunciargli il castigo divino; non turba le notti di chi lo ha condannato, non risuscita con clamore. "Scendi dalla croce, perché vediamo e crediamo", avevano gridato il giorno della passione. Ma Gesù non scende dalla croce, né prima né dopo. Anche dopo la risurrezione la sua rivelazione resta una rivelazione crocifissa, che avviene nell'umiltà e nel nascondimento. Gesù non offre nessuna prova di forza: anche il Risorto continua ad esigere la fede. Manie di grandezza I brani delle apparizioni del Risorto vivono di un clima particolare, apparentemente contraddittorio: da un lato la manifestazione del Risorto, dall'altro la difficoltà di credere. Ciò che si offre agli occhi dei discepoli non è esattamente quello che si aspetterebbero. La risurrezione non è il facile soddisfacimento delle manie di grandezza umane. Si deve compiere un faticoso passaggio dall'incredulità e dalla disperazione ad una nuova capacità di sperare e di credere. Quando era ancora buio L'evangelista Giovanni lo mette in evidenza, quando annota che Maria di Magdala va "quando era ancora buio". E' l'oscurità della mancanza di fede, o della fede ancora immatura. Tutti i racconti delle apparizioni cominciano con questo buio, con la nebbia della disillusione. E a poco a poco il Risorto si fa conoscere. Correvano insieme tutti e due Il secondo momento è la corsa. Corre la Maddalena ad avvisare i discepoli, corrono Pietro e il discepolo che Gesù amava. Dopo il buio, viene il movimento. La Risurrezione mette in moto energie nuove, prima ancora che emerga una consapevolezza chiara. Il discepolo che ama arriva per primo: i Padri della Chiesa annotano che è l'amore che permette di giungere avanti. Anche se per rispetto Pietro viene lasciato entrare per primo. Vide e credette Il discepolo amato crede per primo. Aiutato dall'amore, è il primo a compiere il passaggio dai poveri segni che si offrono alla vista (il sepolcro, il sudario, le bende...) alla realtà della risurrezione. Quello stesso passaggio che si deve compiere o rinnovare per noi oggi. I segni del Risorto ci sono anche per noi oggi. Sono poveri, come quelli che avevano davanti gli apostoli. Sono per certi aspetti sorprendentemente ricchi, rispetto a quello che avevano davanti gli apostoli. Due millenni di storia della Chiesa mostrano la vitalità della fede cristiana, nonostante il peccato e gli abusi commessi. La fede nel Risorto ha suscitato i martiri, i santi, uomini e donne che hanno annunciato a tutte le genti la Buona Notizia di Gesù. Il Risorto opera ancora oggi nella sua Chiesa, per chi lo vuol vedere. Oggi come allora il nemico da vincere è la disillusione. La pretesa di determinare da noi stessi la volontà di Dio e il suo modo di manifestarsi. La pretesa di manifestazioni potenti, che "costringano" gli uomini a credere. La disillusione ci intruppa in pregiudizi e false certezze. Spinge a giudicare senza misericordia. Ci fa vedere il peccato, nostro e degli altri, senza la forza del Risorto che salva. Dobbiamo smuoverci da tutto questo. Ricominciare a correre incontro al Risorto. Flash sulla I lettura Il brano è tratto dal discorso di Pietro alla casa del centurione romano Cornelio. E' il primo episodio di conversione dei pagani al messaggio di Cristo. Come tutti i discorsi dgli Atti degli Apostoli, esso contiene in sé le coordinate essenziali dell'annuncio della Pasqua, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche riguardo al modo di annunciare. Non basta infatti dire con esattezza determinati fatti, o ripetere formule su Gesù, ma occorre testimoniare, rivolgendosi a uditori ben determinati, perché per loro quella parola risulti significativa. "Voi conoscete...": Pietro parte dall'esperienza degli interlocutori. Parla di Gesù in questo modo perché già ne conoscono la storia; manca solo una visuale nuova: la luce della Pasqua. "Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret": il primo tocco nuovo, pasquale, con cui si inizia a riproporre in maniera nuova e autentica la figura di Gesù. Cornelio e i suoi lo conoscevano, ma solo superficialmente: come un profeta, un guaritore, forse anche un pericoloso ciarlatano. Ora scoprono in profondità chi è Gesù: il consacrato del Padre, colui che agisce con la potenza dello Spirito. "Noi siamo testimoni": l'apostolo è come un ponte tra quel Gesù che ha agito, beneficato, sanato, che è morto e risorto, e gli uomini della casa di Cornelio. Essi possono incontrare Gesù solo con l'aiuto della mediazione dell'apostolo, anche se già prima della venuta di Pietro lo Spirito ha cominciato ad agire nella loro vita. "Volle che apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio...": il ministero dell'apostolato è intimamente connesso con l'evento della risurrezione. La risurrezione cioè non annulla il modo umile e "crocifisso" con cui il Figlio si presenta al mondo. Non è la prova di forza che gli uomini pretendono da Dio. L'annnuncio del Risorto è affidato a testimoni deboli e fragili, che di volta in volta sono assistiti dalla forza dello Spirito. "... chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome": al termine dell'annuncio, la proposta della fede, l'appello al coinvolgimento personale. Pietro usa la categoria della "remissione dei peccati", che risultava altamente significativa per dei giudei, o per dei pagani vicini al giudaismo. Il problema del perdono dei peccati era molto sentito a quel tempo dal popolo di Israele. Oggi dovremmo annunciarlo in maniera diversa. Ripetere stancamente la formula "Dio perdona i peccati" a uomini che hanno perso il senso del peccato, rischia di essere una fatica inutile. C'è però un momento in cui la persona può aprirsi con gioia all'annuncio del perdono, e solo chi abita nel mistero di Cristo sa individuarlo, con l'aiuto dello Spirito, e può toccare il cuore di chi ascolta. Flash sulla II lettura "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova". Sembra che qui Paolo faccia riferimento ad una delle usanze della Pasqua ebraica. Nell'appressarsi della festa degli azzimi, si eliminava dalla casa tutto il lievito e ciò che era fermentato. Per sette giorni si mangiavano solo pani azzimi, non lievitati. Evidentemente questo rituale era in qualche modo tenuto vivo anche nelle comunità cristiane, con il suo significato simbolico di purificazione e rinnovamento. "Cristo nostra Pasqua è stato immolato": abbiamo qui una delle più antiche attestazioni della festa di Pasqua che nelle comunità cristiane. Forse all'epoca in cui Paolo scrive non si era ancora completamente staccata la festa cristiana da quella ebraica. Ma Paolo ha ben presente che un nuovo significato emerge dalle antiche celebrazioni. Non è più l'agnello sacrificale al centro dell'attenzione, ricordo dell'uscita dall'Egitto: è Cristo il nuovo agnello, che opera efficacemente la salvezza. "....né con lievito di malizia e perversità, ma con azzimi di sincerità e verità".La vera Pasqua del vero agnello rende possibile un nuovo stile divita, in cui sincerità e lealtà sostituiscono i fermenti del peccato. |