Omelia (20-04-2003)
don Elio Dotto
Stanchezze e speranze della sera pasquale

La sera di quel primo giorno della settimana assomiglia terribilmente alle sere della nostra vita.
C'è infatti stanchezza nel cammino di quei due discepoli che da Gerusalemme tornano ad Emmaus, come leggiamo nel Vangelo della Messa vespertina di Pasqua (Lc 24,13-35); e c'è proprio quella stanchezza della memoria che anche per noi arriva implacabile al termine di ogni giornata.
I due discepoli avevano abbandonato in fretta Gerusalemme dopo la tragica morte di Gesù: il loro cuore voleva soltanto fuggire; e tuttavia alla sera di quel primo giorno della settimana continuavano a conversare «di tutto quello che era accaduto». La loro memoria del Maestro era però chiaramente una memoria stanca: una memoria cioè che – anche quando riguarda fatti e persone care – alimenta la malinconia piuttosto che la speranza. Interpellati dallo sconosciuto, essi infatti «si fermarono, col volto triste»; erano tristi, e la loro memoria era così stanca che «i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo». Era infatti Gesù quello sconosciuto che condivideva il loro cammino; ma i due discepoli non erano riusciti a riconoscerlo.
Appunto così accade per noi, quando arriviamo a sera: anche noi infatti – al termine di una giornata – abbiamo spesso il cuore carico di speranze deluse. La memoria della giornata trascorsa è molte volte una memoria stanca, che genera malinconia: noi speravamo di vivere ore serene, e invece abbiamo incontrato ore faticose, situazioni che sembravano smentire ogni speranza, anche la speranza cristiana che abbiamo ricevuto dai nostri padri. Allora pure i nostri occhi diventano ciechi: ciechi al punto di non riconoscere più neanche quegli affetti e quelle persone che prima ci parevano irrinunciabili.
«Noi speravamo...»: così diciamo con rassegnazione al termine delle nostre giornate. E così dicevano i due discepoli quella sera, sulla strada di Emmaus: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele...». Ma durò poco quella rassegnazione: perché «ecco si aprirono loro gli occhi, e lo riconobbero». Alla sera di quel primo giorno della settimana i loro occhi si aprirono: e si aprirono non per caso – e nemmeno per un prodigio – ma perché la parola di Gesù aveva scaldato il cuore dei due discepoli. Per troppo tempo essi erano rimasti lontani da quella parola: certo erano stati affascinati da essa, ma anche l'avevano in fretta rinchiusa nel piccolo mondo delle loro attese. Soltanto ora le lasciano spazio, e scoprono che essa va ben al di là delle loro piccole speranze. Si accorgono così che la loro tristezza non ha più motivo di esistere, perché nonostante quella tragica morte la parola di Gesù continua a vivere, e vivrà per sempre.
Ecco, mi auguro che tale sia anche la nostra scoperta, al termine di questa settimana santa. I nostri motivi di stanchezza sono certo presenti anche in questi giorni; eppure – nonostante tutto –possiamo sperare: nonostante tutto domenica possiamo fare festa. Non è infatti necessario dare risposta a tutte le nostre attese per essere felici: se fosse così, felici non lo saremmo mai. È invece sufficiente sapere che ci è donata una speranza più grande delle nostre stesse attese: una speranza che viene dall'alto, e non dalla terra. Appunto questa speranza ha risuscitato Cristo dai morti; e appunto in questa speranza noi possiamo trovare quella vita piena che desideriamo.
Buona Pasqua di risurrezione a tutti!