Omelia (20-04-2003)
padre Ermes Ronchi
Amami tu, Signore e sarà davvero Pasqua

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro...
asqua è la suprema avventura della storia. E ci chiama a celebrare ad occhi aperti l'immensa migrazione degli uomini verso la vita. Ci chiama ad alzarci, a misurarci nel duello di vita e morte, disperazione e speranza che si combatte in noi. «Fino a che non siamo chiamati ad alzarci \ non conosciamo la nostra statura. \ Ma se ci alziamo davvero \ arriverà al cielo la nostra statura» (E. Dickinson). Arriverà al cielo non per la nostra forza, che è ben poca, ma per la nostra fede. Perché in me c'è Cristo, che è disceso agli inferi, è andato fino
nel fondo oscuro della materia, negli inferi della storia, per dare loro energia e direzione verso la luce, verso la libertà e l'amore. Se io comincio a pensare che nella profondità della materia, in me, nelle parti oscure del mio essere è discesa la luce divina per illuminarmi, per risuscitare amore e bellezza, allora anch'io posso dire di essere nella Pasqua ciò che il Credo dice di Cristo, anch'io sono "luce da luce".
In me e in ciascuno, nel santo e nel peccatore, nel ricco e nell'ultimo immigrato, nella vittima e perfino nel carnefice c'è il Cristo risorgente, qui e ora risorgente, che trascina verso l'alto, come un fiume di luce, tutte le cose, fino a che sarà tutto in tutti. Che già trascina i discepoli: «Correvano insieme Pietro e Giovanni, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro». Che bisogno c'era di correre? Perché tutti corrono in questo mattino? Tutto ciò che riguarda Gesù non merita prudenza, merita di correre, merita la fretta dell'amore, l'amore ha sempre fretta, è sempre in ritardo sul bisogno di comunione. La vita urge, preme, ha fretta di macigni rotolati via dall'imboccatura del cuore. Non è ancora fede, ma un'antica speranza, un'ansia illogica di qualcosa di impossibile. «Chi non si aspetta l'impossibile non lo raggiungerà mai» (Democrito). Giovanni, il discepolo che Gesù amava, che nell'ultima cena posò il capo sul suo petto, che conoscerà i segreti del cielo ("Dio è amore") arriva prima di Pietro, il discepolo ardente, capace di sguainare la spada nell'orto degli ulivi, solo in mezzo ai nemici, per difendere Cristo, capace poi di tradirlo, di buttarsi nudo in mare per raggiungere la riva dove lo ha intravisto. Giovanni, che Gesù amava, arriva per primo a capire il significato della risurrezione. Il lasciarsi amare da Dio, l'amore passivo, è gravido delle rivelazioni più alte. Allora, in questo giorno, amami tu, Signore. Anche se non sono amabile, anche se sono povero e ti amo poco, anche se non lo merito, amami tu, Signore. Quando non ho voglia di amarti, quando ho paura di te e fuggo, quando nessuno mi ama, amami tu, Signore. E correrò, come Giovanni; mi volterò verso di te, come Maria; brucerà il cuore come ai due di Emmaus. Amami tu, Signore, e sarà Pasqua.