Omelia (04-05-2003)
don Elio Dotto
Stupore

Sono davvero strani i discepoli di Gesù: almeno così ci pare leggendo il Vangelo di domenica (Lc 24,35-48). Prima «stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma»; poi «per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti». Prima hanno paura, e credono di vedere qualcosa, ma non sanno bene cosa; poi sono pieni di gioia, e però ancora non credono a quello che stanno vedendo. Sì, sono strani questi discepoli: sono confusi, tentennanti, indecisi; passano – in un baleno – da un sentimento all'altro.
Non dobbiamo però meravigliarci troppo: saranno un po' strani questi discepoli; ma anche noi spesso siamo così. Infatti accade anche a noi di passare da un pensiero all'altro, da uno spavento ad una gioia, da un affetto ad un rancore... E anche noi spesso ci ritroviamo confusi ed indecisi davanti alle scelte che ogni giorno ci vengono richieste.
Accade anche a noi, è vero: e non dobbiamo preoccuparcene, perché tale è la nostra condizione umana. Peggio è quando tutto questo non accade: quando cioè siamo incapaci di spaventarci come di gioire, incapaci di amare come di odiare. Peggio è quando siamo avvolti dal torpore, quando siamo bloccati dall'immobilità di una vita che pensa di aver già visto tutto quello che si poteva vedere. Peggio è quando dormiamo per la tristezza, rassegnati al nostro destino, come già successe ai discepoli nell'orto degli Ulivi.
Ma alla sera di quel primo giorno della settimana non dormivano più i discepoli. Certo, magari erano un po' confusi: ma c'era stupore nei loro occhi. Erano infatti stupiti – racconta il Vangelo: erano stupiti sia nello spavento che nella grande gioia; erano stupefatti, colpiti al cuore da quell'evento inatteso.
E lo stupore dei discepoli fu tanto grande che essi non seppero poi raccontare con chiarezza quanto avevano visto e udito. L'incontro con il Risorto non fu infatti un incontro come gli altri: non fu certo come quegli incontri della vita abituale dai quali si esce identici a come si era prima. Dall'incontro con il Risorto i discepoli uscirono cambiati, convertiti. Non che fossero cattivi prima, ma erano increduli: ed era proprio l'incredulità che li aveva resi immobili e tristi, rassegnati al loro destino. Ebbene, il Risorto quella sera venne per guarirli dallo loro incredulità.
E dunque quella sera non accadde soltanto qualcosa davanti ai loro occhi, qualcosa che poi non avrebbero saputo raccontare con chiarezza: ma accadde quella sera soprattutto qualcosa nel loro spirito. Ed essi compreso come esattamente questo accadimento interiore era ciò che soltanto contava. La presenza e il gesto esteriore di Gesù risorto si limitavano a strappare un velo: poi non erano più importanti. Strappato il velo, bastavano i suoi gesti e le sue parole di prima: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi...». Strappato il velo, bastavano le cose di prima, quelle cose scritte su di lui nella Legge, nei Profeti e nei Salmi.
Ecco, anche per noi sarebbe sufficiente che si strappasse il velo: anche per noi basterebbero i gesti e le parole di sempre se si strappasse il velo della nostra incredulità. Davvero, basterebbero i gesti e le parole di sempre: magari anche quei gesti tentennanti e quelle parole confuse che a volte ritroviamo nelle nostre giornate.
Sì, basterebbero i gesti e le parole di sempre, se soltanto non pensassimo di aver già visto tutto e imparassimo – invece – a stupirci ogni giorno da capo.