Omelia (02-11-2008)
don Marco Pratesi
La morte non è sovrana

Il brano della Sapienza va letto in connessione con quanto precede. Gli empi hanno un loro modo di ragionare e vivere, e sentendosi contestati da chi è "giusto", ossia da chi conosce e ama Dio (cf. 15,3), lo oltraggiano e lo tormentano (cf. 2,19), arrivando a dirsi: "condanniamolo a una morte infame perché, secondo le sue parole, per lui ci sarà un giudizio" (2,20). In una simile situazione la sorte del giusto, valutata dal punto di vista di quanto è immediatamente visibile, di quanto risulta evidente allo "sguardo umano" (che è anche, se ci si ferma a questo, "lo sguardo dello stolto"), appare tormento, morte, sciagura, rovina, castigo, punizione. A un livello più profondo, tuttavia, nel suo intimo (la sua "anima"), il giusto non è toccato da alcun tormento, ed è anzi nelle mani di Dio, nella pace e nella speranza. La sua sofferenza è una purificazione che rende la sua vita un'offerta degna di Dio, a lui gradita. Nel giorno del giudizio risplenderà, pienamente soggetto alla regalità benefica di Dio e partecipe di essa (governa, ha autorità), ricevendo quindi nel mondo di Dio un potere particolare.
Qui c'è una radicale diversità dei criteri. La realtà del tormento e della morte non è annullata, dissolta, ma trasformata. Non si tratta soltanto di futuro: già ora, nel presente, questa sofferenza non è quello che sembra; già ora la giustizia è più forte della morte, è immortale (cf. 1,15). Per chi sa vedere, il martirio è un momento privilegiato di rivelazione. Non per caso nella rivelazione biblica la promessa della vita eterna si è illuminata proprio a partire dall'esperienza della persecuzione.
Paradossalmente, in questa prova, in questo castigo, in questa rovina, emerge quale sia la vera dignità dell'uomo di fronte a Dio: la sua capacità di donazione. La fiducia e l'amore raggiungono qui il loro insuperabile vertice (cf. Gv 15,12). Nel sacrificio di sé l'uomo vince la paura della morte e si rende "degno di Dio", affine a lui, capace di piena comunione con lui.
Nell'eucarestia celebriamo il memoriale dell'oblazione di Gesù e ci nutriamo di essa per divenire anche noi come lui. Lo chiediamo nella preghiera eucaristica III: "Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne (munus aeternum, dono eterno, dice il testo latino) a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti", con Maria, gli apostoli, i martiri e tutti i santi, cioè con tutti quelli che hanno fatto della loro vita un dono. La vita e la morte trovano qui il loro senso. Per fruttificare, il chicco di grano deve essere distrutto (cf. Gv 12,24). Perciò "quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele e continuino a fare il bene" (1Pt 4,19). Nella pasqua del Signore ogni morte è superata. Chi ama è - indefettibilmente - nella vita (cf. 1Gv 3.14).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.