Omelia (04-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Testimoni del risorto Abbiamo davanti a noi cinquanta giorni per convertirci alla gioia, per aprire la vita (e il cuore) al risorto. Non è facile credere, i dubbi e le paure inquinano la nostra vita, le nostre scelte; è rassicurante sapere che anche gli apostoli hanno faticato, e molto, a riconoscere la presenza del Maestro. Sì, amici, Gesù è risorto, è vivo, è presente e di questa notizia siamo i custodi e gli annunciatori. Come Tommaso rischiamo di chiudere il nostro cuore a causa della sofferenza ma il Signore viene anche se le nostre porte sono chiuse. Oggi ennesima apparizione del Risorto: un Gesù che interviene e porta la pace e rassicura i suoi, lui non è un fantasma e se anche il nostro cuore è turbato e sorgono dubbi, siamo invitati a toccare il Signore, a farne esperienza, egli è presente in carne ed ossa, non è un'evanescente ricordo. E' l'invito che viene rivolto ai discepoli del Risorto, a noi: se il dubbio assale la nostra vita, se Dio è un fantasma che vaga nella nostra vita, guardiamo alla concretezza della presenza di Dio, ai segni del suo amore. Quanti gesti, quanta generosità, quanto bene troviamo nel mondo, nella quotidianità, l'importante è accorgersene: quella telefonata giunta nel momento opportuno, quell'amico incontrato per strada, quella Parola ascoltata a Messa, nulla è casuale, tutto è frutto della tenerezza di Dio. Dio è discreto, la presenza del Maestro non è evidente, è silenziosa ma reale, sappiamo riconoscerla. Gesù risorto porta la pace, primo dono ai credenti. La pace del cuore, l'assoluta certezza di essere amati e di poter amare, l'armonia profonda che solo Dio ci può donare; per un cristiano il pacifismo non è una scelta politica né tantomeno ideologica, è esperienza di vita: il cuore di chi ha incontrato Dio, di chi ne sente irresistibile il richiamo, è un cuore pacificato, sereno, che vive le proprie sofferenze e le proprie tribolazioni (poiché al discepolo non è preservato il dolore che anche il Maestro ha vissuto) con lo sguardo rivolto altrove. Di più: possiamo vivere la pace solo se sentiamo vicina la presenza reale del risorto, più ce ne allontaniamo, più cadiamo nella dimenticanza del caos quotidiano e più il nostro cuore è turbolento e in guerra, ferito e aggressivo. E la fonte della pace il Signore la pone anche nel perdono ricevuto e donato: l'arrogante che non riconosce il suo limite non può accogliere Dio, l'accecato che non accetta di chiedere perdono non fa esperienza di pace; perciò i credenti, popolo di perdonati, non di perfetti, non si scandalizzano dei propri limiti ma, come Tommaso, scelgono di restare nella comunità perché, malgrado le evidenti fragilità, è in essa che il Signore abita. Custodiamo la Parola, dono prezioso alla comunità cristiana, il Signore ci dona lo Spirito che ci apre la mente all'intelligenza della Scritture e riusciamo a capire, come i discepoli, il grande disegno di Dio iniziato sin dalla Creazione del mondo; è nel vedere l'armonia profonda del progetto di Dio sul cosmo e su di me che trovo una pace infinita, che mi sento abbracciato dal grande sogno di Dio. E questo sogno io, voi, siamo chiamati a rendere testimonianza: malgrado la nostra fragilità, attraverso la nostra fragilità (come ci insegnano Pietro e gli altri) possiamo essere testimoni di conversione e di perdono, di pace e vita. La condizione è di restare in città, di non fuggire. Non è facile, per chi ha scoperto il Signore, per chi sente vibrare dentro se la Parola, restare in città. L'ufficio, la scuola, tutto è lontano da Dio, dal dentro, dal vero e la tentazione – grossa – è quella di andarsene, di fuggire, di provare a creare una città ideale, fondata sul vangelo, fatta di perdono. Ma questo non è il progetto di Dio: nella città, rivestiti di forza, siamo chiamati a diventare testimoni del Maestro risorto. Animo, fratelli, il dono della pace, del perdono ci rendono capaci di leggere le Scritture e di diventare testimoni di quel Signore Gesù che ha cambiato la nostra vita e che vuole donare speranza e conversione ad ogni uomo. |