Omelia (01-11-2008)
Marco Pedron
La fortezza incrollabile

Il vangelo di oggi ci propone le beatitudini. Le beatitudini sono il messaggio di Gesù, il suo manifesto, il suo libro di testo, e ci mostrano un’immagine di Dio e un’immagine dell’uomo. Dicono, cioè, chi sono Dio e l’uomo per Gesù. Nell’A.T, Mosé era salito sul monte Sinai e aveva dato i 10 comandamenti, che erano la legge di Dio con il suo popolo. La legge diceva cosa bisognava fare e cosa non bisognava fare. Gesù adesso sale sul monte delle Beatitudini e dà le 8 beatitudini. Questa è la nuova e definitiva legge di Dio con tutta l’umanità. Questa legge non dice cosa bisogna fare o non fare, ma come bisogna essere. Nel nostro catechismo, allora, non dovremmo insegnare tanto i 10 comandamenti ma le 8 beatitudini.

Le beatitudini dicono: "Tu puoi essere felice. Tu lo puoi, tutti lo possono". Il punto è che non è come comprare un auto o un gioiello: do qualcosa (soldi) e mi viene dato ciò che cerco. Qui non c’è niente da dare, qui c’è da darsi; qui non c’è niente da giocare (punto e spero di vincere!) ma da giocarsi; qui non c’è da fare o non fare qualcosa, ma da essere e vivere qualcosa".
Le beatitudini ci mostrano cosa possiamo essere. Dappertutto si sentono voci che dicono: "Accontentati, d’altronde non si può avere tutto. Sii soddisfatto di quello che hai: lascia stare certi sogni".
E, invece, le beatitudini dicono: "Punta in alto, osa, vola ad alta quota perché per questo sei fatto. Questo è ciò che Dio vuole per te e questa è la tua unica felicità. Non hai nemmeno idea di cosa puoi vivere! Non hai nemmeno idea di come puoi sentirti pieno! Non hai nemmeno idea di quanto grande sia il tuo cuore: c’è davvero spazio per un sacco di volti; di quanto tu possa amare, di quale profondità tu possa avere nei rapporti; di quanti sentimenti tu possa sentire, percepire e vivere; di quanti sentimenti tu possa contenere – e non ti travolgeranno!-. Non hai nemmeno idea di quanto ti possa sentire ricco (anche se hai ben poco) e ricolmo di vita. Non hai nemmeno idea di quanto possa essere bello, meraviglioso e immenso vivere. Non hai nemmeno idea di che forza hai dentro e di quale coraggio disponi". E il fatto che molte persone si mettano a ridere di fronte a tutto questo dimostra quanto infelici siamo.
Le beatitudini non insegnano a non avere contrasti, conflitti, perché non si può vivere senza tutto questo. Non insegnano ad evitare i conflitti ma ad entrarci; non insegnano a sottrarsi al dolore ma ad esprimerlo; non insegnano a fuggire di fronte alla paura ma a guardarla in faccia; non insegnano ad evitare i sentimenti (tutti!) ma a viverli.
Non sono una soluzione magica (ci piacerebbe eh!) ma un invito a non aver paura, a fidarci di Dio che ci dice: "Ci sono io" e di noi: "Tu puoi vivere di più di quello che credi".
E’ un’illusione pensare di poter vivere senza difficoltà, conflitti, tensioni o incomprensioni. Poiché ci sentiamo caratterialmente fragili, poiché non ci sentiamo così forti da reggere tutti questi urti, questi scossoni, queste tensioni, allora vorremmo evitarli, allora sogniamo un mondo senza difficoltà. Le beatitudini, invece, ci insegnano a vivere in maniera felice, profonda, con le radici radicate, anche quando le situazioni sono difficili, crude o dolorose, in modo da non fuggire. E dicono: "Vivile e non ti sottrarre perché anche ciò che tu tendi a rifiutare ha un senso; vivile perché tutto è per te e devi imparare qualcosa da tutto ciò che ti succede; vivile e non ti far spaventare perché Dio c’è sempre e non ti abbandona mai. Vivile e vedrai che è così!".
La paura bussò alla mia porta. Ero terrorizzato. Andai ad aprire e... non c’era nessuno!

Le beatitudini non inneggiano alla povertà, alla miseria, alla rassegnazione, al piismo, alla tristezza o al subire.
Non dicono che la povertà è bene: la povertà è miseria. La povertà non è bene, ma è la realtà della nostra condizione umana.
Non dicono che è buono essere perseguitati: no, è terribile e crudele. E chi lo cerca è masochista (ammalato!). Ma non si può vivere, essere significativi e pensare che tutti ci accettino. Anche le statue sono soggette a pareri diversi; perfino sulle idee ci si scontra, figuriamoci se possiamo accontentare tutti!
Non dicono che piangere sia bello: no, è e sarà sempre doloroso. E’ che piangere ci trasforma, ci purifica. Il pianto è il modo naturale di esprimere i nostri dolori, le nostre tristezze, i nostri lutti e le nostre perdite. E’ l’adattamento alla realtà. Non è bello, è necessario (che è molto diverso).
Non dicono che bisogna chiudere gli occhi o subire le malefatte degli uomini. Dicono che bisogna essere misericordiosi, che bisogna avere un cuore grande che giudica le azioni e non gli uomini, i comportamenti ma non le persone. Dicono che gli uomini agiscono così perché sono pieni di paura. E’ per questo che divengono aggressivi, violenti, indisponenti. Questo non vuol dire che devo subire tutto. Quando c’è da dire "no" lo dico e con tutta la forza che ho. Ma dentro di me guardo anche quella persona e mi dico: "Poverino, ma quanto deve soffrire! Che guerra avrà dentro?" E non giudico, perché non conosco le sue tensioni interne.

Le beatitudini non sono dei comandi: "Devi vivere così".
Sono delle proposte: "Tu puoi vivere così!". E’ una possibilità: puoi sceglierla oppure no. Scegli tu. Le beatitudini non sono una soluzione ai nostri problemi: "Cosa devo fare per essere un bravo cristiano?". Sono un cammino.

1. Puoi essere quello che sei.
La cultura dice: "Puoi vivere solo se ti adatti e non disturbi". Dio dice: "Ti ho creato così, va bene così".
Molte persone di adattano a tutti: così sperano di essere accettate e accolte. Molte persone si sono così tanto adattate agli altri che hanno perso se stesse, non si ricordano neanche più chi sono.
Un giorno tanti anni fa, mio fratello che aveva 3 o 4 anni, si è allontanato alcuni metri dall’ombrellone. Poi qualche altro metro; poi qualche altro ancora. Ad un certo punto si è allontanato troppo e non è più riuscito a tornare indietro. Si era perso.
Così anche noi, per non avere problemi, per non creare tensioni, per non perdere chi amiamo, accontentiamo tutti (cosa impossibile ma noi ci proviamo!) e così facendo ci allontaniamo così tanto da noi che ad un certo punto ci perdiamo, non sappiamo più chi siamo, cosa vogliamo, cosa sia bene per noi. Alcune persone si sono così tanto allontanate da sé da non sapere neppure più cosa provano.
C’è una donna di 50 anni: è amatissima dai suoi fratelli che sono tutti sposati. Lei, invece, vive con la madre, la cura e le sta dietro. Non può mai uscire di casa perché c’è sua madre che è ammalata e non chiede aiuto ai suoi fratelli (5 fratelli!) perché ne sarebbero infastiditi. Così si è adattata a vivere in funzione della madre e sta sacrificando la sua vita. "Non adattarti a morire; non adattarti a certe situazioni che ti alienano, che ti fanno male; non farti andare bene quello che non ti può andare bene solo per la paura del contrasto; non metterti mai un vestito che non è tuo o vivere una vita che non è tua".
Sii te stesso perché essere qualcos’altro è l’unico fallimento dell’esistenza. Vivi la tua vita perché viverne un’altra non ti potrà mai far felice.

2. Puoi vivere anche se non hai successo.
La società dice: "No, puoi vivere solo se hai profitto, successo o se sei bravo". Dio dice: "A me non devi dimostrare niente".
Molte persone lavorano sempre e di più. Non sono mai capaci di stare ferme, sono sempre in movimento. Tutta questa attività viene giustificata come agire, attivismo spirituale, amore per il prossimo, per la casa, per gli altri, per i figli.
Ma spesso, sotto sotto, c’è dell’altro. Nel profondo credono di non valere, credono di non essere davvero degne d’amore, credono di non essere poi così importanti, e allora tentano di guadagnarselo, di meritarselo, di "comprarselo". E’ come se dicessero: "Con tutto quello che faccio per mio figlio sarò una brava madre!". Ma non è quello che fai che ti fa una brava madre. E’ ciò che hai dentro che ti fa madre. "Con tutto quello che faccio per gli altri vuoi che Dio non mi ami". No, Dio non ti ama perché fai tanto. Dio ti ama perché sei tu. E tutto quello che fai non ti fa più bello o gradito ai suoi occhi.
Quand’ero bambino accudivo mio fratello. Sapevo di fare una cosa molto gradita ai miei genitori che, infatti, mi chiamavano "ometto" (bella mossa!!!). Sapevo dentro di me che tutti mi guardavano con rispetto (cioè amore, riconoscimento, dal mio punto di vista), con lode e stima: guarda cosa facevo! Ma non sapevo che facendo "l’adulto" non facevo il bambino. Non sapevo che mi stavo perdendo il mio tempo, la mia infanzia, la mia possibilità di essere quello che ero: bambino. Non sapevo che stavo imparando che tutto (l’amore, la stima, l’affetto) si compra: "Io sono bravo e tu in cambio mi dai attenzioni". Non sapevo che stavo diventando "disponibile agli altri" perché avevo un bisogno terribile di essere visto, accolto e amato.
Le beatitudini dicono: "Dio non te lo devi conquistare. E’ già tuo". "L’amore non te lo devi comprare; hai già il Suo". E che pace, che distensione è sapere che c’è un amore sicuro al di là di ogni cosa!

3. Puoi esprimere ciò che senti.
La cultura dice. "No, non esprimere i tuoi sentimenti e soprattutto alcuni nascondili". Dio dice: "Ciò che senti è tuo, ti appartiene, sei tu. Non mentirti, ma accogliti, accetta ciò che vive in te".
Molte persone hanno imparato che non è bene farsi vedere deboli, che chi è forte non piange mai. Così per essere forti hanno eliminato il pianto. Ma non sono forti, sono rigidi (il che è molto diverso!).
Cioè: il pianto è la reazione spontanea a qualcosa che ci ha rattristati, che ci ha feriti, che ci ha provocato dolore. Smettere di piangere non ci fa meno tristi, ci impedisce solo di esprimerlo. Ma facendo così ci teniamo dentro la tensione e il dolore che, invece, hanno bisogno di uscire; e ci nascondiamo la verità: crediamo che tutto vada bene (non piangiamo!) e invece dentro il dolore urla.
Molte persone credono che arrabbiarsi sia male. "Non essere arrabbiato con la mamma; il bravo cristiano non s’arrabbia mai". E, invece, è normale arrabbiarsi, è normale andare in collera, è normale, a volte, essere furenti e pieni di odio. Perché ogni volta che siamo feriti, siccome è una ferita alla nostra dignità, noi siamo arrabbiati: è normale.
Quando qualcuno ci ferisce, anche involontariamente, ci fa arrabbiare (dove c’è dolore c’è sempre rabbia in maniera proporzionale). Ma, visto che "non si può" essere arrabbiati, non ci ascoltiamo e non sentiamo niente: "No, non sono arrabbiato, non mi ha fatto niente". Poi capita che la prossima volta che vedrò quella persona gliela farò pagare con una battuta, un’osservazione o chissà come. Perché, invece, non dire: "Lo so che non l’hai fatto apposta, ma mi hai ferito". Il sentimento che rimane dentro "bolle" (ecco il ri-sentimento): chi sa su chi lo scaricheremo? O su di noi (malattie varie) o sui più deboli di noi (in genere i figli). Quando sono arrabbiato devo accettare di esserlo, vuol dire che c’è un motivo per cui lo sono. Magari ho ingigantito un fatto, ma la mia rabbia ha motivo d’esserci. Solo così posso iniziare a gestirla e a buttarla fuori.
Se provo rabbia è meglio che "la sfoghi" consapevolmente cantando, parlandone con qualcuno, giocando a calcetto e accettando di essere stato ferito. Perché altrimenti la sfogherò con parole acide, taglienti, giudicanti; in auto (il che è pericoloso) o su chi mi è vicino (il che ferisce degli altri).
Molte persone hanno imparato che non si deve avere paura. Così dicono loro non hanno paura di nulla, ma la realtà è che non la sentono. Ma aver paura è normale nella vita: l’importante è non farsi bloccare, non aver paura di aver paura.
La paura è solo un avvertimento: "Qui c’è qualcosa di pericoloso". Bene, quando lo sai poi decidi cosa fare. Aver paura, ad esempio, prima di iniziare qualcosa di nuovo è normale: non l’hai mai fatto, non lo puoi ancora gestire, non sai chi incontrerai. La paura dice: "Qui c’è un pericolo". Lo vedo, lo so, mi capisco e mi dico: "Sì, ma lo posso affrontare".
Quando inizio un gruppo nuovo ho sempre un po’ di timore. E’ normale, non devo nascondermelo. Ma non mi blocca: "Posso contare su di me, sulle mie forze e anche se dovesse andare male, mi dispiacerebbe, ma non sarebbe così grave!". Non devo nascondere la paura dietro ad un volto lieto o ad una espressione sorridente. Non devo resistere alla paura con tutte le mie forze, ignorarne l’esistenza e dominarla con una volontà ferma.
La paura mi appartiene. Mi dice che ciò che sto facendo mi costa, mi mette in gioco, è qualcosa d’importante, ma so che il padrone di casa (io) è più forte (di lei, della paura).
Altre persone si vergognano da morire di ciò che hanno vissuto o di ciò che provano. Ma le beatitudini dicono che Dio ha un cuore così grande che può contenere ogni cosa, che Lui non prende paura di ciò che a noi fa paura o ci fa sentire in colpa; che la nostra dignità (siamo figli di Dio e della Vita) rimane intatta qualunque cosa abbiamo fatto.
Allora non mi devo nascondere più nulla perché Lui è Accoglienza, perché Lui non prova vergogna delle mie "vergogne", perché Lui ama anche ciò che io non riesco ad amare. E se non c’è più niente da nascondersi ai suoi occhi allora si è davvero liberi e liberati.

4. La povertà è la nostra unica e reale condizione.
La prima beatitudine (forse Gesù ha pronunciato solo questa o solo le prime tre) le racchiude tutte.
Il ptochos (povero) è colui che è vuoto, rannicchiato, mendicante, bisognoso. Il peccato, allora, per Gesù è bastare a se stessi, credere di essere a posto, di non aver più bisogno di imparare nulla, di sapere più o meno tutto, di non aver bisogno degli altri e di Dio.
Povero qui significa distaccato, nel senso di chi vive dentro a tutte le cose, totalmente immerso, ma senza aggrapparsi ad esse (quindi distaccato perché se ne va quando è ora di andare, e lascia andare quando è ora di lasciare andare).
Pensate ad una cosa e ditele: "Tu sei mia". A che cosa potete dire: "Tu sei mia!". Vostra moglie è vostra? I figli sono vostri? La vostra vita è vostra? No, neppure la vostra vita è vostra. Non siete poveri? Non vi pare di essere i poveri più poveri! Non possedete nulla, nemmeno la vostra vita!
"Povero", in ebraico, (anì) ha le stesse consonanti di ‘ani, "io". La povertà, l’essere nulla (diverso dall’essere niente) è la vocazione dell’uomo. La realtà è che io non possiedo nulla. Essere umani è vivere questa verità. Questo è il grande segreto della vita: chi non ha niente ha tutto. Chi non si attacca a nulla può vivere tutto.
Quando si ama, ad es., la paura di perdere l’altro ci può distruggere. Iniziamo a temere che qualcuno ce lo sottragga, diventiamo gelosi e iniziamo a controllarlo. Iniziamo a temere che l’amore finisca o cambi e leggiamo ogni situazione alla luce di questa paura, vedendo ciò che i nostri occhi vogliono vedere (cioè, che sta proprio per finire). Iniziamo a volerlo trattenere, ad aver paura quando esce di casa, a proteggerlo troppo, a sentirci soli quando non c’è. Iniziamo a pensare a quando non ci sarà più e come sarà la nostra vita senza di lui e se potremmo vivere ancora. Se poi si insedia il dubbio che l’altro non ci ami più allora è la fine.
Ma la verità è che prima o poi, comunque, perderemo quest’amore (in questa vita). E’ la realtà! Ma se vinco questa paura posso amarlo con tutta la forza della mia anima e con tutto il sentimento del mio cuore, senza far calcoli e senza farmi spaventare, senza attaccarmi o possederlo (mica è mio!). Sono grato di ciò che vivo e se le cose un giorno cambieranno le affronterò con la pienezza di oggi, che diverrà la forza di domani.
La prima beatitudine dice la grande verità della vita: Dio è tutto, il resto è niente. Dove ti appoggi? Su cosa puoi davvero con-fidare? Sulle cose: passano tutte e si usurano. Sulla gloria? Rimane forse un nome ma tu non ci sei più. Sulle persone? Non ti salvano. Qual è l’unica cosa che tiene? Qual è l’unica cosa dove ci si può appoggiare, agganciare, per non cadere nel vuoto?
Nella lingua ebraica zerà vuol dire sia zero, niente, da cui il nostro "zero", sia "seme". Noi siamo zero, nulla, vuoti, poveri del tutto, mendicanti. Ma nel nostro essere niente è nascosto, come in un seme, il nostro essere tutto.
Nel nostro essere niente c’è il Tutto. Nel nostro essere poveri c’è la Ricchezza. E più io mi spoglio e smetto di con-fidare in me e più posso ri-mettermi nelle mani di Dio ed essere al sicuro.
Quando non avrai più nulla, allora avrai il Tutto. E quando sarai spoglio di ogni cosa, allora sarai vestito d’eternità. E quando tutto morirà, allora sarà la Vita. E quando tutto cadrà, allora sarà l’inizio. E quando sarai an-nienta-to, sarai tutto.
Beethoven quando cadde nel dramma della sordità, tagliò le gambe del pianoforte, ne sentì le vibrazioni sul pavimento e compose la Messa Requiem. Sullo spartito scrisse: "Dio è una fortezza incrollabile".
Sì, Dio è l’unica fortezza incrollabile.


Pensiero della Settimana

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che riconoscono di aver bisogno. Beati quelli che sanno chiedere aiuto. Beati quelli che non bastano a se stessi. Beati quelli che non si attaccano a nessuna ricchezza perché nessuna ricchezza può salvare. Beati quelli che vivono non possedendo, e amano non trattenendo. Ci verrà tolta ogni cosa, ogni persona, perfino la nostra vita: più poveri di così! Chi vive così ha Dio, il regno dei cieli. Chi vive così è libero, non ha più niente da difendere, niente da nascondere, niente da vergognarsi. Chi vive così, si appoggia solo a Dio, perché Lui solo può salvare.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati quelli che sentono il dolore, lo provano, non se lo nascondono, non lo fuggono. Il dolore li rende sensibili e insegna loro il bisogno di trovare pace solo nella Pace. Beati quelli che sanno piangere, che non si vergognano delle lacrime. Beati quelli che sentono nel loro animo l’urlo che grida di fronte alle ingiustizie e alle prepotenze. Beati quelli che riescono a sentire la sofferenza dei cuori degli uomini. Chi è così sensibile, sentirà che Dio ci con-sola, non ci lascia soli, nel nostro cuore.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati i non-violenti, quelli che non usano la forza e il potere per imporsi, per far valere le proprie posizioni e i propri interessi. Beati quelli che non sono violenti né con le parole, né con gli sguardi, né con le mani, né con le pressioni psicologiche. Beati i non-violenti perché erediteranno la vera terra, la vera casa che è la Pace. Chi ha la Pace, la non-violenza, non combatterà nessuna guerra né fuori né dentro.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati quelli che hanno fame e sete di vita vera, perché la troveranno. Beati quelli che cercano le cose essenziali, quelli che aspirano a qualcosa di grande, quelli che hanno sete di verità, di libertà, di profondità. Chi vive con questa fame troverà ciò che cerca.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati quelli che si lasciano toccare dall’amore gratuito di Dio (la misericordia) e che lo vivono e che lo danno, perché lo troveranno. Beato chi sa amare in modo gratuito, senza aspettative, senza pretese. Ama così solo chi sente amato così. Beato chi ama incondizionatamente. Beato chi sente che l’amore è un dono e non un merito.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati quelli che sono trasparenti perché vedranno Dio in ogni cosa e in ogni volto. Beati quelli che hanno gli occhi trasparenti e riconosceranno Dio nel cielo, nell’aria, nell’acqua, nella vita e nella morte. Vedranno Dio in tutte le cose. Chi ha gli occhi così, chi ha il cuore così è pieno di stupore e di meraviglia. Beati quelli che non guardano, né amano, né agiscono dissimulando, per secondi fini, manipolando, con malizia o sotterfugi. Dio non può essere visto da persone così. Dio è e-vidente solo per chi ci vede.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati quelli che sono pacificati e pacificatori. Chi ha la pace con sé ce l’ha anche fuori di sé. Beati quelli che lottano per unire e non per dividere. Beati quelli che vivono perdonando, lasciando andare, non portando rancore e risentimento. Riconoscono il male, non lo nascondono, ma si adoperano per portare acqua nel deserto, fiori nel fango, pace nella violenza, perdono nella rabbia. Chi vive così assomiglia a Dio che vuole l’unità di ogni cosa.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno....
Beati quelli che conducono una vita giusta, libera, autonoma, autentica. Beati quelli che non si piegano ai "forti", ai re, ai potenti. Beati quelli che sanno lottare e appassionarsi per la verità anche quando hanno paura, anche quando sono minacciati, anche quando sono in pericolo. Perché può vivere così solo chi ha il regno dei cieli in sé, solo chi confida in Dio e lo sente vicino, solo chi sa che anche se perde la vita, poi c’è Dio e con Lui non si muore mai. Allora si può vivere anche osando e si può osare ad essere felici.