Omelia (04-05-2003)
don Fulvio Bertellini
La profondità della fede

La prima difficoltà che impedisce la fede nel Risorto è la paura, lo spavento che nasce dall'ignoto. I discepoli si trovano di fronte a qualcosa che essi non possono controllare, che ha a che fare con la presenza stessa di Dio. Questo genera incertezza e timore.

Il dubbio
La seconda difficoltà è quella del dubbio: "Perché sorgono pensieri nei vostri cuori?". Il dubbio che prende i discepoli è che si tratti di un fantasma, di uno spirito. Un fatto paranormale dunque, ma non divino. L'evangelista intende negare decisamente qualunque interpretazione simile della risurrezione, che ne riduca la portata salvifica. Per questo sottolinea i segni che evidenziano la consistenza reale del corpo del Risorto: mostra le mani e i piedi, invita i discepoli a toccarlo, chiede di mangiare e bere con loro.

La gioia
L'ultima difficoltà, paradossalmente, è proprio la gioia dei discepoli che hanno riconosciuto il Maestro. Come può la gioia impedire di credere? Occorre considerare quale tipo di fede abbia qui in mente l'evangelista. La vera fede non si riduce ad un moto di entusiasmo o di trasporto emotivo. Si può riconoscere il Risorto, essere pazzi di gioia, e ancora non credere. La vera fede consiste nell'andare oltre l'apparizione. Nell'essere in grado di assumersi una responsabilità globale.

Una presenza ingombrante
La fede si ha nel momento in cui i discepoli sono in grado di ascoltare le parole del Risorto: "Devono compiersi tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". La fede permette di scoprire il legame tra il Risorto di cui stanno sperimentando la presenza, il Maestro con cui hanno vissuto a partire dalla Galilea, tutta la storia di salvezza testimoniata nelle Scritture di Israele. La fede nel Risorto non si limita alla constatazione della sua presenza, ma comporta il rendersi conto di tutte le sue implicazioni, passate e future.

Sta scritto...
Le parole che Gesù aggiunge sono per certi aspetti sorprendenti. "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire...": queste parole alla lettera non si ritrovano in nessun passo dell'Antico Testamento. Né tantomeno troviamo esplicite affermazioni di una predicazione a tutte le genti. Eppure è questo il senso profondo del complesso delle Scritture. Il Risorto non trasmette informazioni parziali, ma un senso globale, che non si limita al passato, ma comprende anche il futuro dei discepoli, li coinvolge per sempre: "saranno annunziate nel suo nome la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni".

Oltre il dubbio
Ciò che vediamo nel mondo ci fa dubitare del senso della storia. Vediamo dietro di noi secoli di guerre, discordie, violenze, anche da parte di chi si diceva cristiano. Può facilmente insinuarsi nel nostro cuore la sfiducia. Il pensare che in fondo Gesù risorto, ammesso che crediamo in lui, non può fare più di tanto. Spesso il nostro peccato personale ci appare come una realtà insormontabile. Proprio a noi sfiduciati e delusi viene incontro il Vangelo di questa domenica, per rafforzare la nostra fede scossa dall'incertezza, minata dalla frammentarietà a cui ci sentiamo esposti. La Parola di Dio continua ad illuminare le nostre vicende tribolate. La conversione e il perdono dei peccati, che anche noi siamo chiamati ad annunciare fino agli estremi confini della terra, non hanno esaurito la loro carica di rinnovamento. Anche noi possiamo essere testimoni del Risorto.

PRIMA LETTURA
Siamo nel contesto del discorso di Pietro, dopo la guarigione del paralitico. Nel libro degli Atti è il secondo discorso pubblico in cui gli apostoli annunciano al popolo la risurrezione. La pericope liturgica individua all'interno del brano, l'annuncio propriamente pasquale.
"Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri...": La caratteristica sorprendente della religione ebraica è che Dio si lega agli uomini, e pertanto può essere chiamato come Dio di Abramo, di Isacco, di Mosè... Dio si fa vicino all'uomo e si manifesta nella storia del popolo di Israele. Pietro prende le mosse del suo discorso proprio da questa conoscenza previa che i suoi interlocutori avevano di Dio.
"...ha glorificato il suo servo Gesù...": viene effettuato il collegamento tra il Dio che gli ascoltatori di Pietro credevano di conoscere e la vicenda di Gesù. Il Dio dei Padri è anche il Dio di Gesù, il Dio che lo ha risuscitato, dando avvio ad una tappa decisiva della storia della Salvezza. Pietro chiede ai suoi uditori un duplice superamento delle loro convinzioni: deve cambiare la loro immagine di Dio, ma deve cambiare anche l'immagine di sé.
"...voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita...": la scoperta del progetto di Dio si traduce immediatamente in constatazione del proprio peccato. Pietro parla con estrema franchezza, senza tentare di addolcire il discorso. Ogni discorso di evangelizzazione porta con sé inevitabilmente la dolorosa scoperta di un peccato che prima non era neppure sospettato. Ogni crescita nella fede porta a rivedere il proprio passato, con la scoperta o la riscoperta di gravi mancanze.
"... so che voi avete agito per ignoranza...": Pietro non calca la mano sul peccato. Il suo discorso non vuole essere denuncia polemica, ma offerta di salvezza. La risurrezione apre la possibilità della conversione, di un cambiamento profondo della vita.

SECONDA LETTURA
"Vi scrivo queste cose perché non pecchiate...": non c'è nessuna rassegnazione al peccato negli scritti del Nuovo Testamento. Domina l'entusiasmo per la salvezza operata da Cristo, e la convinzione profonda che in Gesù si è verificata la vittoria sul peccato e sulla morte, per cui il discepolo può tendere ed aspirare ad una vita libera dalla forza del peccato.
"Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre...": anche la considerazione realistica che di fatto il peccato fa parte della nostra vita, si apre immediatamente alla considerazione del perdono che Cristo offre. Una vita senza peccato non è possibile per virtù nostra o attraverso lo sforzo personale, ma per l'unione con la morte e risurrezione di Cristo.
"Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati...": si usa qui la terminologia, presa dall'Antico Testamento, della liturgia dell'Espiazione, che dopo l'Esilio era divenuta la festa fondamentale del giudaismo. L'affermazione è nuova e coraggiosa: solo in Gesù si ha una vera