Omelia (01-11-2008) |
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"A volte si pensa che la santità sia una condizione di privilegio riservata a pochi eletti. In realtà, diventare santo è il compito di ogni cristiano, anzi, potremmo dire, di ogni uomo! Scrive l’Apostolo che Dio da sempre ci ha benedetti e ci ha scelti in Cristo "per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità" (Ef 1,3-4). Tutti gli esseri umani sono pertanto chiamati alla santità che, in ultima analisi, consiste nel vivere da figli di Dio, in quella "somiglianza" con Lui secondo la quale sono stati creati. Tutti gli esseri umani sono figli di Dio, e tutti devono diventare ciò che sono, attraverso il cammino esigente della libertà. Tutti Iddio invita a far parte del suo popolo santo. La "Via" è Cristo, il Figlio, il Santo di Dio: nessuno giunge al Padre se non per mezzo di Lui (cfr Gv 14,6)." Papa Benedetto XVI Siamo ormai quasi al termine dell’Anno Liturgico, che soprattutto nella celebrazione della Eucaristia, ciclicamente rinnova attualizzando le tappe fondamentali della Storia della Salvezza, la quale nella Pasqua del Signore Gesù ha il suo ‘telos’ o culmine verso cui tende il Mistero del disegno eterno di Dio nell’offerta della sua Alleanza d’ Amore alla libertà dell’uomo. La solennità di Tutti i Santi si inserisce in questo contesto dal quale deriva il suo vero significato. Infatti la Chiesa – quella trionfante, cioè tutti i santi- insieme a quella terrena, è il frutto di quella Pasqua, essendo formata dall’umanità già salvata, e da quella che lo è ancora in potenza, vale a dire dall’umanità tutta, che nel Cristo Risorto forma con Lui l’unico Figlio del Padre, nell’eterno abbraccio dello Spirito–Amore. Di qui il timbro assolutamente pasquale dell’odierna solennità, evidenziato dalle letture della celebrazione eucaristica. Nella celeste visione della 1a lettura tratta dall’Apocalisse (7,2-4.9-14), un angelo imprime sulla fronte degli israeliti il sigillo del Dio vivo: il tau" (a forma di croce) della visione di Ezechiele (9,4 seg.), sigillo di salvezza per gli appartenenti alle dodici tribù di Israele. Insieme a loro la salvezza si estende ad una immensa moltitudine che non è possibile conteggiare, proveniente da tutti i popoli della terra. Il sigillo della salvezza è la loro veste paradossalmente resa bianca dal sangue dell’Agnello, unitamente alla palma, simbolo della vittoria di Cristo Risorto, da Lui estesa ai suoi seguaci battezzati nella sua stessa morte e risurrezione (cfr Rm 6, 4-5). Sigilli diversi, ma con lo stesso significato salvifico! La 2a lettura è uno dei tesi più belli delle lettere di Giovanni: l’esclamazione, vibrante di entusiasmo, di gioia, di adorante gratitudine: "Vedete di quale amore ci ha fatto dono il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente!,....ora siamo figli di Dio, ma ancora non si vede ciò che saremo. Sappiamo che quando sarà svelato, saremo simili a Lui perché lo vedremo come Egli è". Sì! Siamo figli del Padre, non figli adottivi secondo l’abituale significato sociologico del nostro linguaggio, ma figli veri, perché nel Figlio risorto siamo ormai un "unum", un unico Figlio del Padre e da Lui fin dal battesimo riceviamo la sua stessa Vita, la sua stessa natura divina, come afferma Pietro nella sua 2a lettera: "siete diventati partecipi della natura divina" (1 Pt 1,4). Se ci pensassimo seriamente, se ne fossimo convinti e ne sapessimo trarre le conseguenze nel nostro vissuto di cristiani, quante cose cambierebbero! I Santi che stiamo celebrando – specialmente quelli ufficialmente conosciuti come tali - ne sono eloquente testimonianza. Torna qui a proposito una significativa parola di Giorgio La Pira: "Un vero cristiano non può portare storta la sua cravatta...". Paolo nel capitolo 8 della Lettera ai Romani precisa: "Chiunque è agito (cioè guidato. mosso) dallo Spirito di Dio, è figlio di Dio....avete ricevuto lo Spirito dell’ adozione a figli, nel quale gridiamo: Abbà (papà), Padre! (8,14.16). I Santi oggi celebrati, con il purificante passaggio nella morte, hanno raggiunto la pienezza di questa vita divina e sono ormai eternamente figli nel Figlio del Padre. Ci invitano a fermarci davanti a questa divina realtà, che ogni battezzato riceve e che lungo il cammino della vita deve svilupparsi, assecondando appunto il suo dinamismo interiore, sotto l’azione dello Spirito, che si concretizza nella comunicazione della Agape, cioè di quell’ Amore divino assolutamente gratuito, che costituisce la natura di Dio, perché Dio è AMORE (Agape), come dice Giovanni (1 Gv 4,8). E’ invito alla contemplazione che si apre su un abisso di luce, ma è anche invito a una verifica. Se questa Vita divina è in noi, deve manifestarsi nel nostro modo concreto di vivere. Cioè: in modo graduale e crescente, come è naturale, spesso anche con passo incerto per l’innata fragilità umana, deve affiorare dal cuore e tradursi in gesti concreti nel nostro agire, l’Agape divina appunto, l’amore gratuito, che è cantato nella II lettura. Nella misura in cui l’Agape prende possesso del cuore nel vissuto quotidiano, anche le Beatitudini della III Lettura, quella evangelica, con quelle paradossali affermazioni, diventa una realtà possibile, vissuta, esperimentata: la beatitudine dei poveri, degli afflitti, degli affamati... Una prima precisazione su questa solenne proclamazione evangelica. La prima "beatitudine" nel testo originale suona così:"beati i poveri in spirito": le altre beatitudini ne sono in qualche modo l’esplicitazione. In questa prima il verbo adoperato è al presente: "...di essi E’ il regno dei cieli". Nelle altre (salvo la penultima) il verbo è al futuro. La differenza verbale sembra suggerire che questi "poveri" hanno già acquisito il diritto al possesso del Regno, mentre l’effetto delle varie modalità di questa "povertà" è soggetto a maturazione (anche escatologica). Ma, chi sono questi "poveri"? Sono "i piccoli" di cui il Vangelo parla con tanta insistenza, gli stessi di cui Paolo parla nella 1^ ai Corinzi con altrettanta forza: "Guardate alla vostra vocazione, fratelli! Perché (tra di voi) non sono molti i sapienti secondo la carne, non molti i potenti, non molti i nobili, ma ciò che è stolto secondo il mondo Dio lo ha scelto per confondere i sapienti, ciò che è debole nel mondo per confondere ciò che è forte, e quello che è ignobile e disprezzato Dio lo ha scelto ...." (1,26s). Appunto perché tali, questi ‘poveri’ spesso soffrono le dolorose conseguenze di questa loro situazione così disprezzata e negletta nel mondo, ma così preziosa agli occhi di Dio, perché il loro cuore non sclerotizzato dagli idoli del potere, della fama, della ricchezza, del piacere. è facilmente aperto al suo invito e docile alla sua Parola. Una seconda precisazione. Le Beatitudini non ci mettono davanti a un codice di prassi morale proposto al cristiano, ma alla proclamazione gioiosa di una autentica esperienza squisitamente spirituale additata, anzi offerta a colui che è mosso appunto dall’Agape. Non si tratta di felicità e neppure di gioia. La "beatitudine" evangelica è qualcosa di più profondo e interiore, non condizionata da alcuna situazione esterna e come tale può coesistere anche con situazioni di sofferenza. E’ dono e insieme frutto della presenza dello Spirito Santo (l’Amore stesso di Dio) nel profondo del cuore. Certamente, soltanto Gesù, Uomo-Dio, ha vissuto in modo perfetto secondo questo stile di vita. Tuttavia, come abbiamo detto, anche il battezzato, se asseconda l’interiore azione dello Spirito, lentamente assume lo stesso stile. I Santi, quelli con l’aureola della santità ufficiale, ne sono testimonianza luminosa, ma la stessa testimonianza è visibile anche nei santi anonimi – e sono tanti - che tante volte incrociamo lungo il cammino, spesso senza riconoscerli, perché il nostro occhio non è ancora sufficientemente purificato. Sono semplici cristiani che con costanza, umilmente anche nelle inevitabili prove della vita, cercano di vivere le esigenze del loro battesimo. In quei volti, nelle loro parole affiora inconfondibile una misteriosa, serena. dolce pace interiore. A noi imitarli, rinnovando con la Grazia della celebrazione odierna, la nostra fedeltà nella sequela di Cristo, il Signore Risorto! Commento a cura delle Monache Benedettine di Citerna |