Omelia (04-05-2003) |
mons. Antonio Riboldi |
Resta con noi, Signore, è sera Mi è dolce aprire la mia riflessione, in questo inizio del mese di Maggio che è il mese di Maria, nostra dolcissima Mamma, il dono più grande di Gesù dalla croce, mese del S. Rosario, con un saluto a Lei, a nome di tutti. E lo faccio con le parole che ancora una volta "rubo" al mio dolce amico che ora è in cielo, Mons. Tonino Bello: "Santa Maria, donna in cammino, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate. Siamo pellegrini come te, e qualche volta ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che tante volte dà senso ai nostri itinerari. Donaci, ti prego il gusto della vita. Fa' che i nostri sentieri siano come lo furono i tuoi, strumento di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine" (da Santa Maria del cammino). Una "aristocratica solitudine che è solo inferno o voluto o a cui ci condanniamo. La solitudine non solo non comunica la gioia del Risorto, ma crea quel pericoloso silenzio del cuore che ha bisogno di voci amiche per sentirsi in giusta compagnia. Un giorno accompagnando un fratello cristiano, che veniva dal povero Kenia, per le vie di una grande città, questi non riuscì a trattenere la sua meraviglia e sofferenza nel vedere come 1a gente sembrasse in preda ad una frenesia che la faceva correre non si sa dove, ignorando, se non spintonando quanti incontrava. Ad un certo punto ebbe a dirmi: "Come è povera tutta questa gente! Viaggia senza amici. In Africa da noi siamo molto più felici perché non troverai un africano che non cammini in compagnia con altri; in altre parole che non conosca la gioia dell'amicizia che fa percorrere lunghe e faticose strade con serenità, la serenità di essere in compagnia". Il Vangelo di oggi inizia proprio con il racconto dei due discepoli che si recavano ad Emmaus, fuggendo da Gerusalemme dopo la crocifissione di Gesù, il loro caro amico e maestro. Lo videro farsi loro compagno di viaggio, in un primo tempo senza farsi riconoscere, limitandosi, come è nella natura della vera amicizia, ad ascoltare la grande delusione per ciò che avevano visto a Gerusalemme. Non sembrava possibile che Chi avevano seguito per anni con pienezza di fiducia, ossia Gesù, ed in cui avevano posto la vita, avesse conosciuta la fine sulla croce, su cui sembravano morire speranze e gioia di seguirLo. Ma poi come continuare ad essere discepoli di uno che oramai era chiuso in un sepolcro? Gesù ascolta tutta questa tristezza senza battere ciglio. Poi chiede la ragione di tanto smarrimento. "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?" Si fermarono, racconta il Vangelo di Luca, col volto triste ed uno di loro di nome Cleopa gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che è accaduto in questi giorni?" E così raccontano tutto ciò che riguardò Gesù Nazareno che fu profeta potente in opere e in parola davanti a Dio e a tutto il popolo". Gesù non interrompe il racconto del dolore. L'amico non lo fa mai. Alla fine dice: "Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" Arrivati vicino al villaggio, Gesù fece la parte del pellegrino che continua la sua strada abbandonando i due. E sono i due che lo pregano di restare: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Gesù accetta e a cena mostra chi veramente è, "dicendo la benedizione e spezzando il pane". A quel gesto di Cristo, "si aprirono i loro occhi e lo riconobbero". E il filo della speranza, della gioia di continuare a credere e seguire il Maestro si riannodò. (Lc.20;19-31). E, come narra il Vangelo di oggi "andarono subito a riferire ai discepoli che erano riuniti e nascosti per la paura, ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane". Ma mentre parlavano è Gesù in persona che appare in mezzo a loro e dice: "Pace a voi!" Gli apostoli, stupiti e spaventati, credono di vedere un fantasma. Ma Gesù ancora una volta fa giustizia delle tenebre della incredulità: "Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?" (Lc. 24,35-48) Capita a tutti noi, a volte, di essere smarriti di fronte a ciò che può accadere nella nostra vita personale, o in famiglia, o nella società. Sono i momenti insopportabili che tolgono la voglia di vivere, perché sembra proprio che la vita abbia perso il suo perché, la sua bellezza, quella che solo il Risorto sa donare e le cose di questo mondo sanno solo rubare, offuscando il cielo della speranza. Ricordo la lettera che un giovane aspirante bersagliere scrisse ai genitori prima di togliersi la vita: "Cara mamma e caro papà, tutto quello che la vita poteva offrirmi e voi mi avete insegnato e dato, è finito, l'ho consumato. Ora non ho più un perché vivere. Vi ringrazio, ma vi restituisco ciò che mi avete donato, ossia la vita". E si impiccò. E chissà quanti come lui fanno lo stesso. Sono i momenti in cui veramente abbiamo bisogno dell'amico che sceglie di farsi compagno di strada: che ascolti la nostra solitudine; l'amarezza che a volte sembra stagnare sul cielo della nostra vita, togliendo quelle piccole gioie che sono il respiro per continuare il cammino faticoso. Quante "sere" viviamo! Basta, incontrando la gente, fissare qualcuno negli occhi, che sono lo specchio dell'anima, per leggere le tempeste che agitano la vita: occhi che a volte non cercano neppure più un amico che ti faccia compagnia, senza giudicarti, accogliendoti per quello che sei, ascoltandoti, che è come raccogliere nel proprio grembo le amarezze e poi con un gesto di amore, come lo spezzare il pane, fare tornare il sereno. Uno dei doni che tanti di voi che mi leggete, mi fate è quello di farmi partecipe delle vostre sere con le stupende e-mail che ora sono come l'arredo di casa mia. E' come se mi dicessero, come i due a Gesù: "Resta con noi, perché per me è sera". Senza contare la grande sera che agita la coscienza dei buoni in questo momento di guerre, di violenze che pare non abbiano fine, allontanando il dono della pace. "Resta con noi, Signore perché è sera: ma non restare solo per non essere soli, ma per farci dono del tuo amore, con "lo spezzare il pane della tua dolce amicizia". Voglio fare mia la preghiera di un bambino dell'Irak: "Padre, ti prego, fa' che non venga la pioggia di fuoco. Fa' che possa cantare ancora: che si spezzi mai la mia gioia. Fammi diventare grande, grande sì, ma mai uomo di guerra. Voglio giocare ancora con gli amici e innamorare un giorno la mia ragazza bella. Costruire una casa e coltivare i campi. Padre, ti prego, dimmi che non è vero. Dimmi che è solo un brutto sogno. Fammi guardare il cielo senza più paura. Padre, ti prego, portami lontano. Portami in una terra senza odio, dove vivere senza temere gli sguardi dei vicini. Padre, racconta a chi vuole ucciderci l'orgoglio del nostro popolo. Digli che vogliamo essere uomini e donne come loro. Ferma i grandi uccelli dalle ali nere che portano morte e distruzione. Fermali, ti prego. Ascolta la mia preghiera, o Padre e perdonali. Credono di possedere il mondo, ma non sanno che i nostri occhi spenti non vedranno mai la loro gloria. (preghiera di Ahmed, piccolo irackeno). Per tutti quei bambini, per tutti i bambini del mondo che soffrono, per i loro genitori, anch'io, ti prego Padre, resta con loro e fa cessare la "sera". |