Omelia (01-11-2008)
mons. Antonio Riboldi
La vita, un cammino verso il Cielo

È vera saggezza quella della Chiesa, che invita tutti a riflettere su due verità così strettamente ‘legate’ da formarne una sola: commemorare i morti e la festa di tutti i Santi.
Quando nasciamo - se crediamo - Dio ci fa dono della vita per una sola ragione: ‘correre’ verso la Sua Casa. In altre parole, come un papà, Dio, creandoci - siccome Lui è solo Amore e crea per Amore - ci invita ad un cammino con una meta fissa, che è tornare a Lui, per conoscere e condividere ciò che Lui è: la Felicità, frutto dell’Amore.
La Chiesa, con saggezza, celebra dunque prima la Solennità di tutti i Santi, poi la Commemorazione dei defunti.
È come, in un istante, ricordare l’immensità della creazione del genere umano. Impossibile contare quanti sono passati dalla creazione dell’uomo e della donna, fino ad oggi. Tutti, senza eccezioni, hanno conosciuto il passaggio dalla vita terrena (ben poca cosa di fronte all’eternità) fino al ritorno al Padre.
Tra di loro c’è l’immensa moltitudine dei Santi e - speriamo pochi - coloro che si sono persi e vivono nel dolore di non poter ‘vedere Dio’.
Con solennità, degna del caso, Giovanni l’Apostolo, nell’Apocalisse, così descrive la gioia dei Santi: "Vidi ancora una grande folla di persone di ogni nazione, popolo, tribù e lingua, che nessuno riusciva a contare. Stavano di fronte al trono e all’Agnello, vestite di tuniche bianche e tenendo rami di palma in mano e gridavano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio: a Lui che siede sul trono e all’Agnello. Uno degli anziani mi domandò: Chi sono queste persone vestite di bianco e di dove vengono. E io: Tu lo sai meglio di me, Signore. E lui: Sono quelli che vengono dalla grande persecuzione. Hanno lavato le loro tuniche, purificandole con il sangue dell’Agnello. Per questo stanno di fronte al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario e Dio, che siede sul trono, sarà sempre vicino a loro" (Ap 7, 9-15).
Certamente in quella moltitudine ci sono tanti che abbiamo conosciuto e stimato per la loro fede e la loro continua ricerca della verità, dando senso all’esistenza.
Fratelli, sorelle che, in tanti modi, hanno vissuto un doloroso viaggio nella sofferenza, ma sempre rivolti con serenità al giorno dell’incontro con il Padre, davvero - per loro - un Padre amato, cercato, di cui ora godono la Presenza, con la Sua visione in Cielo.
Quanti ‘santi’, e non lo sappiamo, sono in quella moltitudine. E quello che conforta ancora di più, non è solo saperli felici, ma avere la certezza che ora in Cielo continuano ad amarci e intercedono per noi.
Davvero non siamo soli!
Sapere Che la loro vita è stata un pellegrinaggio verso il Cielo, deve oggi farci interrogare se la nostra vita segue le loro orme o se - Dio non voglia - siamo ‘fuori strada’, percorrendo un cammino che non ci può portare a ricongiungerci con loro in Cielo.
Ma è possibile, oggi, diventare santi, ossia essere domani uno di quella felice moltitudine di fronte a Dio?
Se lo chiedeva anche Paolo VI, in un discorso del 1968: "Può un cristiano oggi essere un santo? Può la nostra fede essere davvero un principio di vita concreta e moderna? E può ancora un popolo, una società, una comunità esprimersi in forme autenticamente cristiane? Ecco, figli carissimi, una buona occasione per porre subito in azione la nostra fede. Rispondiamo che sì. Nulla ci deve spaventare, nulla ci deve arrestare. È di Santa Teresa questa parola: Nada te espante. Ripetiamo a noi stessi le parole di S. Paolo ai Romani: Se tu confessi con la bocca il Signore Gesù e nel cuore hai fede che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
Questa è la bussola. Nel mare infido e agitato del mondo presente, teniamo fisso questo orientamento: Gesù Cristo. Lui, luce del mondo e della nostra vita, subito infonde nei nostri cuori due cardinali certezze, quella su Dio e quella sull’uomo: l’una e l’altra da perseguirsi in una totale dedizione di amore.
Se così, non abbiamo più paura di nulla. Chi - dice S. Paolo - ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, o l’angoscia, o la fame, o la nudità, o il pericolo o la persecuzione o la spada? In tutte queste cose siamo più che vincitori per opera di Colui che ci ha amati (Rom 8, 35-37)".
Se ci pensiamo bene, ciascuno di noi si trova sempre di fronte ad un bivio e la nostra scelta già dice dove finiremo. Vi è la strada della fede, della vita veramente vissuta con lo sguardo al Cielo, che porta tra i Santi e il sentiero, spesso contorto e angosciante, di chi ha lo sguardo solo rivolto alle cose della terra, ingannevoli e fugaci, che portano ‘fuori strada’.
Per questo la Chiesa subito dopo la Solennità dei Santi (e speriamo, preghiamo, di vivere oggi, che siamo in tempo, camminando sulla strada giusta) ci invita a ricordarci dei nostri cari defunti, di tutti i defunti, questa immensa moltitudine che ci ha preceduti.
Commemorare vuol dire ricordarci che loro sono entrati nella vita eterna, forse portando con sé tanti sbagli da scontare. Da qui i suffragi e le elemosine. È giusto ornare le loro tombe, portare i fiori e i ceri, ma onorarli, senza offrire i nostri suffragi nulla giova a loro, diviene un’assurda gara di esteriorità, come offrire un mazzo di fiori a chi ha invece tanta sete.
È Gesù stesso che ci indica i veri ‘sentieri’ per giungere alla gioia eterna, con il famoso - e pur tanto misconosciuto - ‘Discorso della montagna’.
"In quel tempo, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo la parola, li ammaestrava dicendo:
BEATI I POVERI IN SPIRITO, perché di essi è il Regno dei cieli.
BEATI GLI AFFLITTI, perché saranno consolati.
BEATI I MITI, perché possederanno la terra.
BEATI QUELLI CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA, perché saranno saziati.
BEATI I MISERICORDIOSI, perché troveranno misericordia.
BEATI GLI OPERATORI DI PACE, perché saranno chiamai figli di Dio.
BEATI I PURI DI CUORE, perché vedranno Dio.
BEATI I PERSEGUITATI, PER CAUSA DELLA GIUSTIZIA, perché di essi è il Regno dei Cieli.
BEATI VOI QUANDO VI INSULTERANNO, VI PERSEGUITERANNO E, MENTENDO, DIRANNO OGNI SORTA DI MALE CONTRO DI VOI. PER CAUSA MIA. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa in Cielo" (Mt 5, 1-12).
Non ci resta che confrontarci con la Parola, per verificare se nella vita già apparteniamo ai ‘Beati’. Ricordo che Giovanni Paolo II, in visita nella Terra Santa, sul Monte delle Beatitudini, rivolgendosi a tutti e, soprattutto ai giovani, le definì ‘la carta di identità del cristiano’.
È l’augurio e la preghiera che faccio a me e a chi mi legge: facendo festa per i nostri Santi in Cielo e ricordando i nostri defunti, impegniamoci, secondo le indicazioni del nostro Signore e Maestro, ad essere ‘BEATI’ già qui sulla terra.
Così il poeta Mario Luzi descriveva la sua vita, cammino verso il Cielo, ‘modellata’ e quasi ‘identificata’ con la vita del Maestro: "Padre mio, mi sono affezionato alla terra, quanto non avrei voluto. È bella e terribile la terra. Io ci sono nato di nascosto, ci sono cresciuto e fatto adulto in un suo angolo quieto, tra gente povera, amabile ed esecrabile. Mi sono affezionato alle sue strade, mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti, le vigne e i deserti. Questa terra è solo una stazione per il figlio tuo ma ora mi addolora lasciarla. E perfino gli uomini e le loro occupazioni e le loro case mi dà pena doverli abbandonare. Il cuore umano è pieno di contraddizioni ma neppure un momento mi sono allontanato da Te. Ti ho portato persino dove sembrava che Tu non ci fossi o avessi dimenticato di esserci stato. La vita della terra è dolorosa, ma è anche gioiosa: mi sovvengono i piccoli degli uomini, gli alberi, gli animali. Mancano oggi qui su questo poggio che chiamano Calvario. Congedarmi mi dà angoscia più del giusto. Sono stato troppo uomo tra gli uomini oppure troppo poco? Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho sfuggito? La nostalgia di Te è stata forte e continua e tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna. Padre, non giudicarlo questo mio parlarTi umano quasi delirante, accoglilo come un desiderio di amore, non guardare alla sua insensatezza. Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà, eppure talvolta l’ho discussa. Sii indulgente con la mia debolezza, te ne prego. Quando saremo in cielo ricongiunti, sarà stato una prova grande, ed essa non si perde nella memoria dell’eternità. Ma da questo stato umano di abiezione, vengo ora a Te, comprendimi, nella mia debolezza. Mi afferrano, mi alzano alla croce piantata sulla collina, ahi, Padre, mi inchiodano le mani e i piedi. Qui termina veramente il mio cammino. Il debito dell’iniquità è pagato all’iniquità. Ma Tu sai questo mistero. Tu solo".